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GUARDIANO DELLA SOGLIA - CAP.V -fESTA DELLA GOCCIA

di Maria Pace
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Pubblicato il 12/03/2012 13:23:13

 

 

 

 

 

CAPITOLO  V      La Festa della Goccia

 

Rimasta da sola, Isabella posò il capo sul cuscino.

“Voglio tornare a Tebe – pensava sottovoce – Voglio saperequale delle figlie del Faraone, gli ambasciatori di Ugarit hanno scelto per illoro Re.”

Osor le si avvicinò, ma scosse il capo.

“Morirà, la mia signora, se tornerà ancora nel tempo chenon le appartiene.” l’ammonì.

Anche Isabella, però, scuoteva il capo; la sua mente eraun vulcano e faticava a tenere insieme pensieri e sensazioni o, piùesattamente, frammenti di pensieri e sensazioni che appartenevano a due vitediverse, vissute in due tempi diversi e che mai avrebbero potuto formareinsieme un unico mosaico di vita.

Capirlo era stata una folgorazione, ma accettarlo eraquasi impossibile.

“Non corro alcun pericolo.” rispose caparbia.

“Morirai. – la voce della prodigiosa creatura era dolce mainquietante e faceva fremere l’aria nella camera-sepolcro come frollio d’ali –Morirai, perché colei che ti ha preceduto, la principessa Nefer di Tebe,  morirà!”

“Io non voglio che la principessa Nefer muoia!” replicò laragazza.

“Così sarà! – fece l’altro con espressione sfingea  stampata sul voltom– E’ già deciso!”

“Io tornerò laggiù per impedirlo... Ho una ragione validaper farlo.”

“A nessuno è permesso cambiare il corso del propriodestino… né entrare nel destino di altri.”

“Non voglio entrare nel destino di nessuno, ma voglioimpedire che la principessa muoia e so come fare… chiederò aiuto al principeThutmosis.”

“Anche il principe Thumosis di Tebe morirà.” continuòimplacabile Osor.

“Allora sono due le ragioni per tornare laggiù, ma primadimmi… quando morirà Thutmosis? Voglio saperlo.”

“La Notte della Goccia. – rispose Osor – Ilprincipe morirà durante le Feste della Notte della Goccia.”

La Notte della Goccia?... il quindici delmese di Thot! – esclamò con accento preoccupato Isabella – La notte delFerragosto? Cioè questa notte? Che cosa accadrà questa notte? – domandò convoce incalzante la ragazza - Dimmi, Osor, che cosa accadrà a Thutmosis questanotte?”

“Il principe di Tebe questa notte  berrà alla Coppa della Verità e siincamminerà per la Terra che gli uomini mischia.”

La Coppa della Verità?... significa chemorirà avvelenato. Santo Cielo!...  –impietrì - Devo correre laggiù. Ti prego, Osor… ti ordino di mandarmi laggiù!” 

 E Osor posò ilprodigioso indice sulla sua fronte e subito ogni cosa intorno a lei andòdolcemente sfocando in un etra fluido, leggero ed impalpabile, entro cui andòincamminandosi, libera e staccata e sempre più lontana.

 

“Nefer… - una voce fluttuò in mezzo all’aria rarefatta,quasi impercettibile – Nefer… Nefer…”

“Chi mi chiama?” pensò a bassa voce.

“Nefer. – ancora quella voce, la sua eco bassa eprolungata – Nefer, ma perché non mi ascolti?”

Isabella aprì gli occhi e l’aria andò espandendosi intornoa lei, più chiara e nitida. Sorrise, cosciente di essere là, lontana neltempo. Il sorriso era quello di Isabella, ma lo sguardo era quello di Nefer: unsorriso lucente e radioso, così simile al lucernaio appeso alla parete delLaboratorio di Kamose.

“Thutmosis!” gridò, lasciando il posto di posa che Kamosele aveva assegnato – Kamose era lo scultore di corte e Nefer era nella suabottega perché egli affidasse la sua immagine all’Immortalità.

“Dolce Figlia di Iside,. – lo scultore le prese un braccio– permetti all’indegno Kamose di toccare la tua sacra persona affinché possariportarti in posa.”

Nefer-Isabella tornò ubbidiente all’immobilità.

La statua che la riproduceva, un blocco dalla struttura aparallelepipedo, atto ad esaltarne la figura, era quasi completata e Nefer sicompiaceva a sfiorarla  con lo sguardo eil sorriso; guardava il fluire leggiadro delle linee di contorno e l’eleganterifinitura dei particolari.

C’erano molte statue in lavorazione nel laboratorio, cheprincipi e dignitari di corte avevano commissionato per la loro tomba e moltiblocchi erano appena giunti dalle cave. Su alcuni erano ancora appoggiati ifogli quadrettati che riportavano le proporzioni delle statue, fedeli allalinea del blocco, adattando così il modello alla pietra e non viceversa.

“Andiamo. – Thumosis tornò alla carica – Vieni con me,Nefer. Ho qualcosa da farti vedere.”

Negli occhi del ragazzo c’era un scintillio di gaiezza cheera contagioso e prima che il povero Kamose potesse replicare, Nefer seguì ilfratello; Thutmosis la prese per mano.

“Come faremo ad uscire dal Palazzo?” domandò lei.

“Con questa confusione non sarà difficile, se indosseraivesti da serva come ho fatto io.” 

Il principe Thitmosis, infatti, indossava un perizoma dalcolore indefinibile e niente altro e tese alla ragazza una modesta tunica dicanapa sottratta a qualche ancella.

Pochi attimi dopo i due fratelli sgattaiolarono fuori,oltre il portico della corte esterna su cui si aprivano i laboratori degliscultori di corte. Strisciarono veloci come le ombre del pomeriggio sui muri efurono fuori della Porta Grande.

 Nefer si sentìsubito il più libero degli ibis e il più felice dei loti e una gran tenerezzala prese, per il viale, le palme, i sicomori e per ogni cosa.

 

                                               ************

 

La Festa della Goccia era una delletante manifestazioni che la gente del Nilo tributava al suo fiume e ad Hapy, ilDio che lo rappresentava.

A nessun’altra Divinità l’antico popolo egizio fu tantograto quanto a questo Dio sempre ornato di fiori di loto e steli di papiro,rappresentanti l’Alto e il Basso Egitto, donde il nome: Paese delle dueTerre.

Hapy fu per il popolo egizio un Dio Vivente acui non era necessario elevare Templi, essendo il Nilo stesso il suo Tempio.

Le Feste in suo onore avevano inizio con l’arrivo dellerondini e della Piena, il quindici del mese di epiphi (giugno). Sothis,la rilucente stella di Iside, aveva dato inizio alla stagione di Akhet odell’Inondazione, già da due mesi; le altre stagioni, la Peret oGerminazione e la Shenu o Secca, segnavano il momento del riposo dellaterra e quello del raccolto.

La Festa della Goccia voleva ricordare il mito diIside che piangeva Osiride: nello straripamento delle acque, il popolo niloticovedeva le lacrime della Dea.

 

La valle sommersa pareva un mare verde e la gente, un popolomarittimo e naufrago in un torrente, come scriverà più tardi un faraonedella XXIII Dinastia. Quello della Piena era uno spettacolo che toccava l’animoe riempiva di stupore lo sguardo e l’immaginazione. L’acqua rompeva gli arginied assaliva la Valle con rapidità crescente e formava paludi ed isolotti. Nonc’era al mondo spettacolo più gradevole di quel fiume in cui uomini, donne,bambini ed animali, si tuffavano con gioiosa armonia.

Il Palazzo del Faraone, avvolto di nubi iridescenti, silevava possente, sopra tetti e cime di alberi e gareggiava con le guglie deiTempli;.Le punte dorate degli obelischi e le sommità dei Piloni, occupavanol’orizzonte.

I due ragazzi dettero loro le spalle senza rimpianti,correndo lungo gli stretti vicoli che scendevano al molo, dove si aprivanofrequentatissime bettole e botteghe e dove si ammassavano le case deipescatori. Raggiunsero il greto del fiume sulla scia di una banda di marinaiubriachi che cantavano a squarciagola.

Era una giornata fatta per l’avventura!

Il vento frusciava fra le canne del Niqlo e Nefer erafelice; l’odore del limo e quello delle canne la inebriavano      stridori di anatre ed in mezzo ad un maredi alti sicomori, ricurvi papiri e palme svettanti. Voci, suoni e rumori sistaccavano dagli argini e l’aria ne era piena.

I loro sguardi rapaci, ebbri di della libertà appenaconquistata, sfioravano ogni cosa e l’eco dei passi eccitati e gioiosi, siinfrangeva contro il rumore delle acque gonfie.

“Fermati, Thutmosis. – il sole rubava bagliori alle acquee li gettava sulle loro facce ansanti – Guarda questi piccoli frutti rossi epolposi.”

“Sono bacche.”

“Sono molti buoni. Assaggiane anche tu.”

Nefer tese i frutti; un gruppo di operai intorno ad unabarca in riparazione, con aghi d’osso e filo di canapa, cuciva vele erattoppava reti arrotolate per terra.

“Non mi piacciono.”

Thutmosis rifiutò i frutti; Nefer ne colse ancora e ne mangiòavidamente.

“Guarda quel vitellino, Nefer.”

“Ohhhh!...”

Nefer si girò; gli occhi le ridevano.

C’era una barchetta di papiro in mezzo al fiume etraghettava un recalcitrante vitello che si trascinava dietro, al guado, unariluttante mandria di bovini. I due fratelli seguirono la scenetta ancora perqualche attimo, poi lasciarono l’assolato greto arruffato di papiri e tornaronosulla Grande strada, la Strada degli Arieti, lastricata ed elevata sul livellodelle acque, che conduceva a Karnak da Luxor, i due Santuari fatti costruiredal faraone Amenopeth III.

Prima di lasciare il chiassoso e caotico quartiere,  attraversato da carri stracarichi di mercidestinate ai santuari e frequentato da Sacerdoti e fedeli venuti da ogni partedel Paese, i due si fermarono ad osservare le acrobazie di funamboli eprestigiatori.

“Se fossi libero ed indipendente, - esordì il ragazzo -viaggerei da una città all’altra per apprendere cose ignote. Andrei nella terradei Mitanni per gustare la loro raffinatezza, poi a Babilonia per interrogaremaghi e sapienti. – Nefer ascoltava interessata e il fratello, lusingato,continuò – Andrei anche ad Hattusa per informarmi sull’ultimo tipo di lancia esui cocchi da guerra dalle ruote uncinate… Visiterei Creta per scoprire come èfatto un Labirinto e poterlo utilizzare per la mia tomba.”

“Potremmo andare… perché io verrei con te, vero, Thut? –un sorriso d’assenso e la principessa continuò – Potremmo andare nella terradove i fiumi scorrono all’incontrario, la terra di Ur.”

“Certo. E poi a Troia. Ora, però, andiamo al quartiere di Isherm..Voglio mostrarti una Casa del Piacere. Hai mai visto una Casa del Piacere? –Nefer scosse il capo – I soldati ci vanno quando è giorno di paga.”

“Tu come lo sai? Ci sei stato anche tu?”

“Per le Sacre Dita di Horo! – il ragazzo assunseun’espressione di compiaciuto orgoglio – Io ci sono stato. Sono stato alla Casadel Loto Blu… ma che cos’hai? Sembri un cencio sbiancato.”

“Mi sento come se una mandria stesse passando sopra la miapancia.” si lamentò Nefer.

“Colpa di quelle bacche. Ti avevo detto di non mangiarne.”

“Oh, che male! Che male! Mi sento divorare dalle fiamme.”

“Torniamo a Palazzo.”

Il fratello la prese per mano e si fece strada tra lafolla.

“Ohhh!... – continuava a piagnucolare la ragazza – Nondovevo uscire… questo è giorno infausto. Oh, Dei dell’Orizzonte, prendetemi permano e conducetemi lontano dal luogo dove non si può mangiare, vi prego.”

“Non piangere. – cercava di rincuorarla il fratello – Ilsaggio Imhopet sanerà la tua pancia.”

 

Imhopet, il medico di corte, era un cherwebb, sacerdotedi massimo grado, temuto e riverito. Conosceva a memoria tutti i Testi Sacri eil Faraone ne aveva un gran rispetto. Grasso, maestoso, il cranio calvo elucido d’olio, le sue parole, appena giunto negli appartamenti dellaprincipessa furono:

“Ti renderò la salute, o Figlia del cielo, se Ptha mi permetterà di farlo.” Disse e distese lelabbra nel più radioso dei sorrisi.

Aveva tutti i denti incapsulati d’oro e la bocca luccicavaquando l’apriva, cosa che faceva di continuo.

“Ma senza stregoneria alcuna.” aggiunse dopo un po’,alludendo a quelle persone che giravano per le strade assicurando di curare lemalattie in virtù di incantesimi. Come rimedio al male della principessa Nefer,egli preparò un sacchetto di sabbia e sassolini da porre sopra la pancia ed unabevanda calda ed amara, infine disegnò sul palmo della mano della principessauna testa di ibis, caro al dio Thot, e le ordinò di leccarla fino a che“traccia non ne fosse rimasta”. La figura era disegnata con un liquidocontenuto in una misteriosa ampolla e Nefer vi passò sopra la lingua con grandiligenza; subito dopo, l’eco di rumori prolungati e lontani, la spinselentamente verso uno stato di profondo sopore.

 

 

                                               **********

 

                 Omaggioa Te, Hapy,che appari su questa Terra

                  giungendo in pace per far sì che l’Egitto viva…” declamava a granvoce il Faraone dalla prua della grande Barca Reale sommersa di steli di loto epapiro.

Possente e maestoso nell’umiltà dell’officiante, ilmantello conteso dal vento, il torso unto d’olio sacro, il Faraone attirava asé ogni attenzione. L’eco delle parole giungeva a riva e qui, mille e millevoci la moltiplicavano e l’assolato e riarso altopiano roccioso di Sakkara larestituiva carica di mistica suggestione: il rito della Notte della Goccia.

                  Tudai acqua ai campi creati da Ra

                  Tu dai vita ad ogni animale.

                  Mentre discendi dal Cielo

                 Dai vita incessantemente alla terra…”

La barca saliva lenta la corrente, seguita dalle numerosealtre imbarcazioni che componevano il corteo.

Meremptha, tredicesimo figlio del faraone Ramesse II,miracolosamente sopravvissuto ai fratelli maggiori,aveva ereditato un Regnovastissimo e pacifico, cosa che gli aveva consentito di dedicarsi conparticolari cure alla celebrazione di riti religiosi ed istituzionali come laCerimonia d’Unione delle Due Terre (Il Basso e AltoEgitto) o quella della Notte della Goccia.

La Festa della Goccia era un Pattod’Alleanza tra il Nilo e il Faraone ed aveva inizio il quindici del mese di epiphi,con sacrifici e con il lancio nel fiume del “Libro che fa sgorgare il Nilo dalle sorgenti”

Il corteo si lasciò alle spalle la città e risalì il fiumefino a quando la sagoma dell’isola di Rhoda, dove sorgeva l’unico Tempiodedicato ad Hapy, non profilò l’orizzonte davanti alla Barca Reale.

Nella palude allagata, una grande moltitudine festanteammassava gli argini per respirare il profumo di incenso che bruciava sullebarche  e che, espandendosi, restavasospeso nell’aria. Donne, uomini e bambini, il popolo tutto, partecipavano allacerimonia. Vestivano a festa: tuniche di lino e ampi mantelli; portavano tutticollari ed amuleti e cantavano e danzavano al suono di nacchere, sistri eliuti..

Lasciate le barche, il corteo procedette verso ilSantuario; l’argine del fiume rimase occupato da barche di ogni tipo edimensione, da quelle dei poveri, fatte di canne di papiro cosparse di bitume aquelle dei ricchi a vela o a remi.

Il grande Portale di bronco si aprì e nel vano apparvel’Hapy, il Toro Sacro; musiche e canti cedettero ad un fragoroso applauso..

Ampie corna dorate e levigate, zampe svelte come colonne,sguardo penetrante e mansueto come quello di un vitello da latte, il Dio procedevacon aria un po’ annoiata. Dietro di lui avanzavano i sacerdoti, col capo untod’olio sacro e le figure nascoste in ampi mantelli.

La folla si dispose in due ali e il Toro Sacro, ghirlandeintorno al collo e insegne d’oro fra le corna, cominciò a sfilare.

Simbolo di forza e vitalità, Hapy era nato da una VaccaSacra e, come tutti gli animali sacri, doveva avere inequivocabili requisiti diriconoscimento. Quelli del Toro Sacro erano un triangolo bianco sulla fronte,ali di avvoltoio sulle spalle e una infinità di altri segni; alla sua morte isacerdoti si sarebbero posti immediatamente alla ricerca di un esemplare conquei medesimi segni di distinzione..

           “Salutea Te, Hapy, gli uomini sollevano il volto alla Tua vista.

             Vieni a noi ed accogli le nostre suppliche…”

Pregavano i fedeli ei l brusio era simile allo spirare delvento tra le canne e i papiri. Tutti deponevano ai suoi piedi tavolette dilegno o rotoli di papiro a cui avevano affidato sogni, desideri e suppliche:dalla sua andatura, i sacerdoti avrebbero tratto  gli auspici.             

Più tardi, rientrato il Toro Sacro nel Santuario, la follasi disperse e il corteo tornò alle barche, tra lanci di petali di foglie.

Una manciata di fiori di loto investì la principessaNefet, già a bordo della Barca Reale. La ragazza li allontanò da sé.

“Perché non partecipi alla Festa?” domandò Thumosis, cheera con lei.

Un lungo sospiro riempì la pausa che seguì; Nefer parevatitubante, ma ciò non fece che accrescere la curiosità del fratello.

“Uno strano sogno mi tiene compagnia, da qualche tempo, edassorbe ogni mio pensiero.”

“Un sogno? – fece interessato Thutmosis – I sogni sonoimportanti, ma come possono assorbire tutti i tuoi pensieri? Io so che leragazze della tua età hanno la mente occupata da ben altre cose.” sorrisesornione.

“E tu come lo sai?” anche Nefer sorrise. Maliziosamente.

“E’ quello che sento dire da quando sono arrivato alDistretto di Guerra.”

“Forse prima era così. – confessò la ragazza scuotendo ilcapo, poi riprese, facendo attenzione a conservare l’equilibrio minacciatodalle onde che sciabordavano contro la chiglia della barca –Ora il Bizzarro Besmi manda visioni senza neanche stendermi più sulle palpebre le benefiche Sabbiedel Sonno e mi fa vedere cose che sono nella mente, così come vedo e toccote.”

“Per le Sacre Vigne di Ammon! – sbottò il fratello –Davvero hai il dono della Vista Sacra?”

“Un dono? – replicò lei – Io non so nulla di cose sacre.”

“Forse qualche Dea ti sta chiamando e per farsi sentire tiha fatto il dono della Vista sacra e ti sta inviando visioni. – Neferebbe un sospiro assai eloquente e il fratello continuò – Non dovrestilamentarti di questo dono. Sono sicuro che qualche Dea protettrice delleragazze voglia stendere la sua mano su di te e per farlo di invia dellevisioni.”

“Credi davvero che sia la voce di una DeaProtettrice delle ragazze?”

“Sono sicuro di questo… Racconta. Racconta.” la incoraggiòThutmosis e Nefer, finalmente, cominciò:

“ Arrivano assieme a Bes, il Dispensatore delle Sabbie delSonno. Bes, però, si prende gioco di Nefer e sulle palpebre non distendeBenefiche Sabbie, ma ombre fluttuanti in cui si muovono strane creature.Sembrano uomini e donne come noi, ma non sono come noi e… non sono di questomondo. Le loro vesti sono strane… più di quelle delle genti di Cnosso oColchide, che pure sono assai diverse da quelle della gente di Tebe.”

Una pausa: Nefer parlava piano, lo sguardo affamato diverità. Non di corsa, ma con pause ed interruzioni che rendevano il suodiscorso chiaro e calzante al pensiero ed alle ansie che voleva esprimere eTutmosis ascoltava interessato.

“Prosegui.” la incoraggiò.

“Non è gente come noi. – Nefer riprese il racconto –Quelli catturano il tempo e trattengono il sole.”

“Catturano il tempo? – sbalordì il fratello – Per la SacraBilancia di Osiride! Che cosa significa?”

“Io non so. Portano tutti al polso un bracciale che tieneimprigionato il Tempo e… e non è una clessidra, che lascia passare acqua osabbia… Ed agli occhi portano dischetti scuri che consentono di guardare ilSole senza che la luce li accechi.”

“Prodigioso!”

“E i loro carri?... se tu potessi vedere i carri che hovisto io!”

“Ho visto i carri di Hatty, dai rostri uncinati delleruote e…”

“I carri che ho visto io – lo interruppe la sorella –strisciano sulla sabbia come pivieri sull’acqua, ma da soli e senza buoi… etuonano come tori infuriati.”

“Oh…” fu il solo commento del ragazzo.

“Ho visto grosse aquile costruite con il minerale degliDei…”

”.. minerale degli Dei? – Thumosisera sempre più strabiliato – Come i grandi Portali della città di Colchide?”

“Proprio quello!”

 Minerale degliDei, così era chiamato il ferro, ancora quasi sconosciuto in Egitto aquell’epoca..

“Parlami di loro.”

“Sono immense e si alzano nel cielo con la voce del tuono.Inghiottono nel loro ventre la gente e la rigurgitano quando tornano a terra,come fa la cicogna che nutre i piccoli e… e io, fratello mio, io sono in mezzoa queste cose e le vivo attraverso l’altra me-stessa.”

“Non capisco. Chi è l’altra te-stessa?”

“Proprio non lo so, ma il suo volto è uguale alla miaimmagine riflessa nello specchio… simile a me, eppure diversa.”

“Oh… le vie che portano agli Dei sono misteriose…”

“Che cosa devo fare?”

“Forse la spiegazione a tutto questo è nascosta nell’Antrodi Mertseger, Colei che protegge la Terra che mischia gli uomini.”

Credi che le visioni vengano da Lei? Credi che laGrande Dea-Serpente mi stia chiamando?... – una pausa dettata da dubbi e timori– Credi davvero che Mertseger, la Dea dei Servitori della necropoli, stiachiamando me?... E perché non Nefrure o Sithator, che tutti dicono siano piùdocili ed obbedienti di Nefer?”

Thumosis si strinse nelle spalle, poi disse:

“Forse Mertseger non desidera una sacerdotessa docile eobbediente.”

“Ma io sono stata votata ad Hathor-la-Splendente, non aMertseger-la-Misericordiosa.”

“Non sta a noi giudicare il volere degli Dei.”

“Cosa può volere da me Mertseger?”

“Forse Mertseger vuole che tu scenda nell’Antro dove Elladimora e l’affronti. Forse vuole questo.”

“Ma io ho paura a scendere là sotto.”

“Se Lei davvero ti vuole, allontanerà la paura dal tuospirito…” ma mentre parlava, sul volto del ragazzo passò un’ombra di tristezza:quelle visioni stavano ponendosi tra loro come un misterioso confine etendevano ad allontanarli l’uno dall’altra.

 

                                                    ********

 

         Lailaha illallah…Muhammad Rasula Allah…”

(Non c’è Dio tranne AllahMaometto è l’Inviato di Allah!”

Il mattino era spuntato sul deserto, carico di brina

Aggirato lo sperone roccioso, dimora di piccole creaturedel deserto, Isabella, che aveva lasciato la stanza-sepolcro, restò a guardareAlì, inginocchiato sul tappetino cerimoniale, rivolto verso la Mecca, la CittàSanta dei Musulmani.

Quand’ebbe finito di recitare la preghiera del mattino, ilragazzo si alzò.

“Buon giorno, Isabella. – salutò, ripiegando accuratamenteil tappetino – Dormito bene?”

“Bene, grazie.” rispose la ragazza.

“Dov’è Osor? Sei sola?”

“Veramente…non so dove sia. -Isabella accompagnò le parolecon un gesto di diniego, poi riprese, assumendo un’espressione che all’amicoparve alquanto insolita –Andò l’Intendente Renzi davanti al Faraone NebkauRadicendo:

         “MioSignore, ho travato uno di questi oasiti, buono a parlare

           inverità. I suoi beni sono stati rubati: egli è venuto a supplicare..”,

Ma che cosa stai dicendo?”la interruppe il ragazzo              

“Si tratta di un antico racconto didattico. – spiegòIsabella – E’ la storia dell’oasita facondo, contadino povero ma furbo, che,come il personaggio di un racconto medioevale, un certo Bertoldo, riesce asalvarsi il collo grazie alla propria eloquenza.”

“Conosci quel racconto? Dove l’hai letto?”

“Non l’ho letto. Mi sono svegliata questa mattina constrane visioni e questi versi nella mente.”

“Quali visioni? Quelle che ti manda il nostro Osor quandoti tocca la fronte col suo magico indice? – la ragazza annuì, Alì proseguì –Vuoi dire che puoi tornare laggiù senza l’aiuto di Osor? Per la Barba diMaometto! Racconta. Racconta.”

“Si tratta di sogni un po’ confusi. Ricordo chiaramentesolo Mertseger… l’Antro di Mertseger. La principessa Nefer parlava conil principe Thutmosis dell’Antro di Mertseger.”

“Mertseger? Non era la Divinità Protettrice dellanecropoli di Tebe?” osservò il ragazzo.

“Mi pare di si. Nefer e Thutmosis, nei miei sogniparlavano di lasciare il Palazzo di nascosto e raggiungere la Sacra Grotta.”

“Quei due, ah.ah.ah… - rise Alì – dovevano fare una bellaaccoppiata insieme, ah.ah.ah!”

“Come noi due. Ah.ah.ah!” anche la ragazza rise.

“Che ne diresti di andare anche noi due a quella grotta? –propose Alì - Io so dove si trova. Forse potremmo trovare tracce di quei due.”

“Ne dubito, ma ci andiamo lo stesso.” assentì l’altra.

 

L’Antro di Mertseger, nel cuore della necropoli di Tebe,si apriva nella roccia lungo il sentiero che dal villaggio di Deir-el-Medinaportava alla Valle delle Regine. Era una piccola grotta naturale scoperta edesplorata durante una campagna di scavi d’inizio secolo. L’ingresso era ancora, in parte, ostruito da sassi esterpaglie e le rocce che la circondavano, immote nel tempo, parevano averneprotetto il mistero.

I due ragazzi vi giunsero col giorno che andava giàformandosi; sulle tonde colline disuguali, il sole aveva preso a navigareincontrastato signore.

“Quante risorse l’uomo ha bruciato per i propri morti.”esordì Alì indicando l’orizzonte roccioso, screpolato di anfratti, checustodiva tombe: pietre riarse che evocavano storie passate e raccontavano ladevozione dell’uomo per i suoi simili.

“Cosa spingeva la gente a stipare le tombe dei loro Re ditanti tesori?”

“L’Immortalità! – esclamò il ragazzo; la luce riverberavasulla sabbia e sulle pietre e feriva gli occhi – Il Regno dei Morti dovevaessere il riflesso del regno dei vivi. – disse infilandosi cautamentenell’antro. Il pavimento era coperto di una strato di sabbia da cui emergevanosporgenze pietrose; grosse pietre, forse franate, ingombravano anche le paretilaterali – Allora… senti qualcosa? – domandò – Quando si torna in un posto,rimane qualcosa nell’aria, capace di impregnarla di sé anche a distanza ditempo. Tu non senti nulla? Non ti pare di essere già stata qui?”

Quel posto, immerso nella penombra, aveva in sé qualcosadi arcano e misterioso; Isabella si strinse nelle spalle.

“Che devo dire? Non solo qui, ma in tutta la valle sirespira aria di mistero. Da Medinet Habu ad Anb’ Naga, la necropoli in cui gliegizi seppellirono i valorosi principi che scacciarono gli Iksos…”

“Gli Iksos? – la interruppe il ragazzo, uscendo all’aperto- Quel popolo di Re-pastori che invasero l’Egitto? Il professor Ashraf sostieneche siano gli Ebrei della Bibbia scacciati dall’Egitto.”

“Personalmente non condivido quella teoria. – Isabella loseguì di fuori – Ehi, Alì. Guarda.” disse indicando segni di terra smossa,  vanga e badili – Non ci sono scaviautorizzati, qui, che io sappia.”

“Già! Eppure qualcuno sta scavando proprio qui. Per laBarba del Profeta! - imprecò il ragazzo – Dobbiamo informare tuo fratello.”

“Non informerete nessuno, voi due. – una voce li sorpresealle spalle: Abdel il Rosso – E non andrete da nessuna parte. Questa volta nonc’è quell’infernale gorilla a proteggervi.”

”E’ vero. Accidentaccio, come dici tu! Quando c’è bisognodi lui, quello non si fa vedere!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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