Radia un lucore il geco
Radia un lucore il geco
nella penombra della stanza,
nella quietata notte estiva
che pare umetti la tua fronte
pura e quella del tuo sonno.
Sono certo del tuo,
il sogno del figlio che non nacque.
' Così a me piacque' portava
a firma la calce del decreto
e noi ce ne facemmo
una ragione sfamata di silenzi.
Dura un buio di confuse presenze,
concitate e mi strania in un suo
gorgo dove una faida si strema
di anfibie chimere.
E il geco, la nobile creatura
che abita la luce, gonfia
impercettibili vene ai molli
fianchi di un baldacchino
d'ombre intorno al nostro letto;
nella notte estiva trascorsa
dal cuore assente che non batté nel sole,
che non si addormentò stringendo
nella mano la stella del dio marino,
né quella del suo primo mattino.
La mano che non poté tessere
una storia di minime dolcezze
ai nostri occhi inteneriti né un nido
inestimabile a un tesoro di conchiglie.
Tu dormi e sogni e anche le tue labbra
dischiudi al rosario di ciò che fu negato:
' i tuoi piccoli panni non asciugheranno
al sole della mirabile stagione;
l'iride tua non trasalirà al transito
scomposto del ramarro
nella foresta del basilico;
da una barchetta il tuo grido
non ci avvertirà che in cielo appare
e sghembo si abbandona
il precipite gabbiano
nella estatica rotta'.
Tu dormi e vedi la tua mano tendere
il cibo ad una bocca che scompare.
Ma può l'amore una ferocia
tale che un'anima redima
prima che essa viva.
Sia la tua, assente, la sorte
di chi è salvo nudo del sudario,
quella di un re che ebbe il suo regno
in un piccolo giardino oltremondano,
in un cielo che non ha Calvario.
Tu dormi, io ascolto la presenza
viva che sollecita un tuo ansimo
improvviso; colgo sul viso che contrae
la domanda di oggi, d'allora,
la visione che in sogno ti opprime
e per tutte le ombre due dita
astrali levo che sfiorano il tuo,
il capo della nostra creatura,
del sauro gentile, e un lembo,
solo un lembo, ma infinito, di paura.
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