Dirai ai tuoi figli che quando tuo marito
ebbro di fortuna e sazio di carne
mi uccise confondendomi col tramonto
fu un atto dovuto.
Le cartilagini erano già impresse da un collaudato
destino e le membrane mai divenute palinsesti.
La gente del posto era così abituata
ai cieli di sangue di quella terra infame
da scambiarli per teloni
gettati sulla carne che i camion
portavano ai depositi.
Mi misi in testa di portarti via ai tuoi
e non riuscivi a capire come l’eterno
crepuscolo nei tuoi occhi
potesse essere dimenticato
per un profilo riemerso
da combusti ricordi, sciamanti
come da un disturbato alveare
durante una visita a un cimitero occidentale.
Ma io avevo parole di sangue caldo
come i mattoni del muro maestro
calcinato dall’ira perseverante del leone estivo
e i parti e gli aborti e l’aver procurato
vita e morti come acqua sorgiva dal grembo
non poteva salvarti dall’alito in rivincita
di scoperchiati sepolcri –
sghembi nel mondo i figli uscivano dal tuo ventre
torniti pipistrelli, come da una grotta
grondante buio e seme di decreti.
A loro curiosi della mia morte
come di ogni luogo incantato
dirai che di notte vedevi tra i campi
intorno alla vostra casa aggirarsi un’ombra di luce
avvoltolata espandersi raggomitolarsi tra i lampi
diventare un punto ingigantirsi volare via improvvisa
nuvola fola minaccia esorbitante veleno
alle radici di tutto che mai sarebbe stato mosto
bollente per un convivio di lemuri di paglia
a chiudere il giorno biblico agghindato in salmi.
Che poi essa ritornava dallo zenit alla vostra casa
tu diventavi la casa e quella cosa stringeva
in vita te e i muri e scendeva superba in cantina
e slegava i nodi e svitava tutte le viti e tutta la vita
e scuoteva i pilastri e la terra e l’acqua e l’aria
ed era fuoco che s’era messo in cattedra, e altre cose
del genere.
Ma poi essi si faranno più pressanti e alla tua lingua
verrà in soccorso il fiato monotono del tempo narrante
ed essi non acquietati vedranno finalmente la madre
e le sue mani alla carne silenziosa e al carnefice
cantante e l’ombelico arcaico del giorno consueto
secco di polvere di rovine felici di una morte solare.
Non l’avrai detto, ma anche loro sapranno infine
che anche tu volevi salvare qualcosa di quello
che nella quinta stagione mi fece danzare su un filo d’ombra
nella ardente freschezza del crepuscolo, ma solo qualcosa,
non più di tanto, quello che a una madre tocca salvare,
il passaggio, ma in cosa consistesse quel passaggio
era al di là delle labbra umide del tuo prosperoso destino.
Così la cosa fu risolta in un sol colpo con un colpo solo
e dalla voce del fanciullo chiamata: il cielo che cade
e dalla pietra confortata in memorabile oblìo.
Ora i tuoi figli hanno scoperto dove sono sepolto
e spesso vengono a trovarmi confidandomi i loro silenzi
mentre ignota tra le braccia stringono
l’eco sapiente del tuo grembo vuoto.
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Pietro Menditto, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.