Pubblicato il 07/07/2009 17:34:00
Quasi ogni giorno le cronache ci riportano le gesta di misteriosi o fantomatici “mostri”, a cui fa seguito, come coda di cometa, un vasto assortimento di analisi psicologiche, tentativi di spiegazioni e studi sociologici atti a comprendere cosa pensa esattamente il “mostro”. Rugarli con la sua mordace penna riesce a sollevare il velo sulla vita privata dei cosiddetti mostri, quasi collezionandoli in questo libro di racconti, come una sorta di galleria degli orrori. Privatissimi orrori, maturati spesso fra le mura domestiche, con la connivenza di madri incestuose, fratelli adulteri, colleghi superficiali e serve ingobbite e rese insensibili dagli anni. L’armamentario di cui si serve Rugarli è classicamente gotico: giardini incolti, vecchi manieri divorati dallo sfacelo, tunnel di ospedali, anziani professori sbeffeggiati e mogli fedifraghe scomparse in circostanze misteriose. L’autore riesce a tenere il lettore avvinto a ciascun racconto con dedali di perdizione e di abiezione tinteggiata di quotidianità e di insigne follia, coi colori della caparbietà o delle dedizione al bello. I protagonisti ricamano le proprie storie e i propri fallimenti con fili di lucidità estrema che però parte da presupposti che la società non considera limpidi ma che nelle menti dei mostri diventano invece la quintessenza della nobiltà intellettuale o d’animo. Tutti questi ingredienti, abilmente rimescolati dalla sottile mano dell’autore, danno vita a racconti in cui la lucidità intellettuale assume i connotati del grottesco grazie ad una vena magicamente dosata di umorismo, i fatti da tragici si trasformano in grotteschi, dell’orrore di macabri comportamenti non resta che la miseria che ciascuno si porta dentro, esasperata dall’ottusità delle persone cosiddette perbene. Il racconto breve ben si addice alla narrazione di tali fatti, il passo rapido che essi tipicamente hanno è cavalcato da Rugarli con grande abilità, l’autore riesce a fondere l’indagine poliziesca e psicologica con la messa alla berlina dei vizi tipici della nostra società. Ognuno di noi è potenzialmente un mostro, ma poi, per fortuna, i mostri sono sempre gli altri, la società in ultima analisi è sana e sono pochi quelli che scelgono la tenebra del crimine, anche se a ben guardare ciò che rende certe persone criminali è proprio quello a cui ciascuno aspira. “Perché tentare di capire il punto di vista del mostro”, leggiamo verso la fine del libro, “quando è già difficile capire il punto di vista delle persone normali?”, forse perché non vi è differenza tra i due punti di vista, sembrerebbe essere la risposta.
Una raccolta di racconti, quindi, veramente molto bella, Rugarli riesce a narrare con tratto leggero anche pagine dal contenuto lugubre, illuminando i passi dei mostri, e quelli dei lettori che li rincorrono, con luminosa verve ironica, facendo parlare spesso i protagonisti in prima persona per dare una lettura immediata dei loro animi e per gettare una vista d’insieme su ciò che accade nelle loro menti e come la quotidianità li trasformi in eccezioni, in sacche di male da estirpare dalla società della quale loro si sentono invece alfieri. Nei nove racconti l’autore incanta il lettore parlando di temi abbastanza grevi, quali coprofagia, incesto, esibizionismo, matricidio, patricidio ed omicidi vari strappando ad ogni pagina sorrisi divertiti al lettore e dispiegando tutto il suo immaginario tipico, fatto di lune che sorgono sghembe, piogge torrenziali, città insensibili e malinconiche, ma soprattutto, come sempre, Rugarli usa la lingua italiana in modo encomiabile, cesellando periodi con assoluta maestria, facendo scivolare accanto ad un linguaggio moderno un fraseggio che riecheggia i più grandi narratori italiani degli ultimi due secoli. “Il punto di vista del mostro” è costruito con mano felice, nel suo inanellare storie dalla comune radice, l’autore, riesce a far fiorire ciascuna storia in colori e profumi assolutamente inattesi ed originali rispetto alle altre. Al termine della lettura giunge anche la soluzione, una sorta di spiegazione a tanta mostruosità ed abiezione, perché il mostro è tale, perché, per esempio, uccide due vecchiette all’anno, da dodici anni? Forse – semplicemente – “perché gli piace”, ed in questo il gusto del bello ha la sua parte, accanto ad ogni corpo esecutato ci vuole un cartiglio con una poesia del Pascoli. Macabramente, al termine della lettura, il lettore spera che almeno in tutte le nefandezze cui assistiamo ogni giorno, non si rinunci all’ideale del bello, e si immagina il ghigno mefistofelico di Rugarli che anche questa volta, alla fine di un suo libro, lascia ampio spazio alla riflessione, ed instilla un’ombra di dubbio nelle coscienze.
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