L’Isola
Nel lontano meriggio, l’ansia d’imbarco rotta,
furono tutti al ponte a salutare. Furono una cosa
il gesto e il cuore, e le mani ed i visi e i palpitanti addii
fluttuarono entro il sogno, brevemente.
Qui lo sguardo non vide che un tormento interiore:
cosa, il destino, se non la fedeltà agli eventi?
Poi si disciolsero i nitidi profili, il mare fu
un azzurro trepidante, gonfio d’angoscia tersa,
le fronde, unico verde in lontananza,
incupirono i pensieri, e tra la solitudine marina,
lungi dal dileguarsi, recò l’affanno incerto smarrimento
come anima che, libera dal corpo, senta la nudità
tremante e sola.
“Questo mio corpo è l’Isola –pensò il navigatore- mia prigione,
per questo con ansia e con dolore mi diparto. Quanto seminai
e produssi entro gli angusti limiti, ivi ha cuore e sostanza:
questa è la vita, la terrena vita che ci diede il destino,
è questa fedeltà ch’io pago con dolore, nel rimanere io stesso,
nel non volere che il dolore da cui fuggo. Così, pare,
decisero gli dei; così, da sempre, chi degli uomini tesse le vicende,
i corpi legò alla terra da cui nacquero, d’un desiderio
oscuro fornì l’esule, per cui sentì il richiamo del grembo
da cui venne, e in cui, giacendo, altre vite saranno a germogliare.
Ma cosa, allora, porta fuori di me quest’ansietà di vita,
dove il desiderio corre lontano dalla fonte e perché, in eterno,
la contraddizione mi dilania? Quand’ero la mia Isola
ero solo e negato all’esistente, ma a volte, anch’io sentii
d’essere goccia dell’immenso fiume o lacrima assorta
nel torpore di ghiaccio d’un mattino.
Mi feriva il mio “essere-me”, soprattutto ciò ch’era più mio:
gli aranceti dorati nel mio sole, la campagna aperta
e sospirante e i teneri ronzii d’un mondo infimo
che nessuno ode, distratto, per avere quel mondo cancellato
e che talvolta alla memoria irrompe con accenti d’una vita pura.
Quest’ansietà di crescere, che il figlio separò dalla madre,
con eguale dolore mi rapisce all’Isola, mia condanna,
ma nel distacco puro vedo crescere solo il peso inesorabile:
poiché questo è destino d’ogni umano: che varchi il suo confine
e a sé ritorni. Così, colui di cui bene sappiamo il navigare,
non visse un tempo solo: sempre un Ulisse fu ov’è un porto
e un’Isola che attende; un porto, una promessa
o un dolore da cui fuggiva nel lontano giorno”.
Rossella Cerniglia
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