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Aut.Os.Tima

di Elisa Mazzieri
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Pubblicato il 01/12/2014 23:28:12

Tre due uno. Lauren ingoia. Ora si tratta di solo di aspettare qualche minuto. La procedura è la stessa anche se il fornitore è diverso. Qualche minuto di nebbia, spilli nelle palpebre, lento risucchio di bagnasciuga, poi l’alba. Bruciore sordo, lo stomaco, una caverna implosa e vomito di lava fino allo sterno, poi ancora risacca. Conati a scatti e guance cave prima dell’ultima lenta salita di piacere. Lauren lo sa, quando ingoia, ogni volta è lo stesso, non la riguarda. Per quell’ultima salita vale tutto il baratro.

All’inizio pensava che non ce l’avrebbe fatta una volta di più, gli spasmi, la vertigine, la nausea e quel buco nero perforante tra l’inguine e il cervello, troppo alto il prezzo, si diceva, all’inizio. Poi, giorno dopo giorno, una settimana e un’altra ancora, strati identici di tempo confuso,  capitolati alla certezza contraria. Non ce l’avrebbe fatta senza: la sua dose di aut.os.tima, la sua dose per continuare. Solo prima del prossimo colloquio, si diceva, solo prima di quel giorno di lavoro o quelle ore extra, si diceva in seguito: per reggere lo stress, per sopportate l’umiliazione. Per sopportare la morsa allo sterno, quel tarlo parlante che l’attraeva come un canto, la dannava come una maledizione svelando nel canto o nell’ingiuria un doppio familiare. Solo questa sera, per festeggiare, si era detta più volte, quelle poche, che riusciva a trovare un impiego che le permettesse il guadagno di pochi giorni extra di lavoro per il mese successivo. E così, allentata la catena dell’ultima occasione speciale, sono nove anni che Lauren, tutte le sere, appoggia la fronte contro il metallo del suo distributore personale di autostima e si lascia squarciare la mente.

Le aveva provate tutte, da quando qualcuno una volta, non ricorda chi, le aveva detto che cambiando tipologia si limitava il rischio della dipendenza. Tutte e senza risultato. Autostima da giovane manager tipo Milano anni ottanta del secolo scorso, tenacia da migrante del Nord Africa anni dieci, orgoglio americano evergreen dell’uomo che si è fatto da sé, anche qualche virata in coscienza di classe e lotta studentesca, anni… che anni? Quelle avevano funzionato meno delle altre, non ricordava. Certe parole erano in disuso ormai, alcune fuorilegge, inutile rischiare altre multe per un trip di coscienza. L’importante era limitare, finire, una, due, tre dosi e da capo, solo stavolta, stavolta soltanto. Ma il patchwork non era servito a mitigare la dipendenza. Ormai non poteva farne a meno, lei come gli altri, lei come nessuna. Senza obblighi, senza limiti e senza parole.

Sdraiata sul letto, aspetta. Tra poco inizierà la ricerca. Forse sul video apparirà l’icona di Luise-2h, ma non risponderà ora. Sa bene che i primi venti minuti dopo il passaggio del flusso di autostima sono i più proficui, i migliori, nervi tesi e sensi all’erta, sa bene che non può permettersi di perderne uno. E, si chiede, se fosse vero? Gira la voce che abbiano iniziato a usare anche quest’altra tattica di distrazione. Luise-2h l’aveva contattata in un virtual bar qualche mese prima: qualche chattata, poi l’incontro. Erano state insieme la notte stessa e da un po’ si vedevano, troppo spesso perché durasse. Prima o poi, lei, le avrebbe chiesto l’esclusività e Lauren: no. Come sempre avrebbe chiuso, senza ripensamenti. Lo spazio era pieno di Luise, Michelle, Mikhail e ancora, lo spazio era pieno di lei: autostima. Eppure, stavolta, non era la solita asfissia da legame a farla sentire in pericolo, qualcosa di nuovo, come un altro tarlo. Luise-2h la chiamava spesso, e sempre più spesso in quei fatidici venti minuti e così aveva deciso di non risponderle più. Forse stava diventando paranoica. Probabile. Lo sapeva che la dipendenza da flusso provocava paranoia e alterazioni delle percezioni sensoriali, ma non poteva permettersi, alla sua età, nessuna distrazione. Se fosse vero, continuava a chiedersi, che queste bellissime creature, e Luise era una di loro, ancora in grado di provare e dare piacere, fossero lì apposta per distrarre?

Stava diventando paranoica. Sicuro. Doveva alzarsi dal letto altrimenti avrebbe perso la possibilità di quei venti minuti, eppure qualcosa la teneva inchiodata sguardo al soffitto. Una sepoltura scomposta che riaffiorava lenta. Quanti anni potevano essere trascorsi? Era una bambina, sapeva leggere a malapena, sua madre era ancora viva e la nonna appena morta. Era qualcosa lassù, proprio oltre il soffitto. Libri di carta a mucchi, non ne aveva mai visti tanti tutti insieme, solo qualche sample nel museo del modulo scuola di TipoF, ma così tanti mai. E ancora, lassù, nella soffitta della nonna, sua madre convulsa a raccogliere altra carta ammassata una scritta oscura l’aveva colpita. Qualcosa che aveva a che fare con la riduzione dell’orario di lavoro, questo non poteva saperlo allora, soltanto adesso ricostruiva. Forse aveva a che fare anche con quella nonna strange che era sempre vissuta in soffitta senza mai uscire? La madre le diceva che era malata ma a lei sembrava che stesse bene anche se a volte non capiva cosa dicesse. Aveva vissuto negli anni delle Rivoluzioni, c’erano altre parole, anche questo lo ricostruiva adesso. Allora, c’era soprattutto quello sguardo a spiegare, un bagliore fulmineo. Appoggiava la fronte alla sua, come adesso faceva Lauren con il monitor. Era la prima volta che questo ricordo la chiamava — forse. Chissà cosa sentiva, la nonna, a quel contatto. Di lei ricordava soprattutto quello strano modo di sorridere, all’ingiù, e lo sguardo precipitato all’interno per il tempo del sorriso. Ora, insieme al tarlo, un dubbio scavava rapido le sacche dense della memoria. E se la nonna non fosse stata malata? Se fosse stata una non-conforme? Ma no, impossibile, sua madre non l’avrebbe cresciuta in una situazione così pericolosa, sarebbe morta di paura lei per prima. Da sempre ricordava meglio la nonna della madre, ma ora, per la prima volta – forse – si sorprendeva di questa evidenza. Tutto era limpido fino a quel giorno della soffitta, il flyer — da dove arrivava questa parola? — e quelle parole — quali? Alcune in disuso, altre fuorilegge: meno lavoro ma più lavoro — com’era? Più lavoro e meno ore di lavoro? Che significava? Da sempre – davvero? – si  lavorava per legge un giorno ogni sei e poche ore facevano la differenza, eppure quella scritta sembrava un inno. Una vendetta? No, una ri-vendetta? Rivendicazione? Niente, la galleria si è chiusa di nuovo, il tarlo ci soffocherà dentro anche stavolta, nessun ricordo, nessun bagliore. Quell’ultima visione della madre che le strappa dalle mani il pezzo di carta colorata, un fischio di sirena, camici bianchi, scoppi di neon e fuochi di artificio negli occhi, poi niente. Di nuovo il soffitto e il bruciore latente all’emisfero destro che annuncia la fine del viaggio.

Aveva sentito dire che alle discendenti delle non-conformi veniva reimpostata la memoria alla nascita ma sembrava che qualche fronda sfuggita ai rastrellamenti, vivesse separata e si stesse riorganizzando. Quante voci, sussurrate ovunque e senza volto. L’unica realtà era la scadenza dei suoi venti minuti e il fallimento della ricerca, ora, senza sostegno e con le tempie gonfie e vuote. La fine dell’effetto era immediata, il ritorno alla stasi del modulo abitazione di TipoF, il più economico, una caduta fredda senza ovatta alle pareti e tutti insieme i sintomi dell’ascesa ribaltata. Nausea, crampi, ferro liquido tra inguine e cervello, coagulazione istantanea. Avrebbe dovuto iniziare a cercare senza sostegno, subito. L’astinenza era più dura se la ricerca falliva, ma insopportabile se neanche era partita. Venti minuti consumati nei meandri, inutili. Lo sapeva, Lauren. Ci aveva provato altre volte, all’inizio, quando trovava in fretta molte ore extra di lavoro e ne ricavava dosi sufficienti per le ricerche successive e per qualche ora nei meandri. Ma le cose erano cambiate in fretta, non poteva permettersi neanche un minuto di distrazione. E ogni volta, come questa, quando ritornava nella soffitta ricordava di esserci già stata, ricordava tutto per dimenticarlo subito dopo. E ogni volta lasciava un segno da ritrovare al prossimo viaggio, ma sempre troppo tardi, sempre prima di quel bagliore da fine effetto che non riusciva a collocare come memoria o precipizio dell’astinenza.

Si rialza dal letto a fatica, come sempre e  si avvicina al monitor. Luise non l’aveva chiamata stanotte e neanche le ultime tre. Che avesse deciso di troncare? Peccato, ma non poteva certo permettersi, alla sua età, altre distrazioni. La ricerca di lavoro senza autostima neanche a provarci ormai, questo mese aveva lavorato già quattro giorni, tre con lo stesso incarico, mancava pochissimo, bastava un altro giorno ancora e avrebbe ottenuto il bonus per i mesi successivi. Aspettative inutili, aveva perso il suo tempo per oggi e sentiva ancora di nuovo quella morsa allo sterno, come un richiamo. Esita solo un attimo prima di appoggiare la testa al monitor: mezza dose. Sa che domani sarà più dura con solo l’altra metà a disposizione, ma stasera andrà meglio, stasera troverà e avrà soldi a sufficienza per comprarne altre e forse anche per i meandri. Le avevano detto tempo fa, troppo per ricordare, di fare attenzione a quel tipo di viaggio. Sembrava che ci si potesse perdere, ma questo non la riguardava. Tre, due, uno. Lauren ingoia. Ora si tratta solo di aspettare qualche minuto.

 

Dal 2072 nel tentativo di sedare le rivoluzioni in atto in tutto il mondo a partire dal 2056, i governi mondiali hanno messo in atto un piano di reinserimento lavorativo e assicurazione forzata di un totale minimo di ore lavorative per ognuno. Da subito, il movimento dei non-conformi ha cercato di resistere trovando terreno sempre meno fertile. La maggioranza della popolazione mondiale, infatti, stremata da anni di guerriglia e blandita da nuove chimere, è stata indotta a trattare con i governi, migliaia di non-conformi, soprattutto di genere femminile, sono stati rastrellati e spariti nel nulla. Qualcuno è riuscito a sfuggire ma la riorganizzazione di un altro movimento, a ora, non sembra un obiettivo realistico. Per legge, non è permesso lavorare più di un giorno ogni sei, ma neanche meno, per consentire a tutti un tetto minimo di ore lavorative a fine mese, tuttavia, per chi riuscisse a ottenere lo stesso tipo di incarico per quattro volte consecutive, è previsto un bonus spendibile in una giornata in più di lavoro al mese per i successivi tre mesi o tre dosi di autostima. Entrambe, le dosi e le giornate extra, sono nominali e non cumulabili. Dal 2085, nel tentativo di debellare il traffico illegale di autostima, la sostanza viene fornita legalmente; volendo, e a chi ne facesse richiesta per tempo, in luogo del salario per le giornate lavorative. Tra gli effetti collaterali dell’uso prolungato di autostima, i più diffusi sembrerebbero essere paranoia e anorgasmia, si giudica che l’incidenza di quest’ultima sia più rilevante nella popolazione di genere maschile. Negli ultimi anni, l’uso prolungato della sostanza ha provocato autocombustione, catalessi, schizofrenia, afasia e logorrea. In qualche caso, soprattutto nel genere femminile, all’episodio catatonico segue un rush di glossolalia. Alcune pazienti, in fase di trattamento, presentano allucinazioni uditive; quasi tutte collocano la fonte delle “voci” nella zona centrale del torace. Questa recente neo-patologia sembrerebbe essere associata soprattutto alle consumatrici di “autostima di coscienza” del vecchio tipo - in gergo “viaggio nel meandro”.

 

 

  


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