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Errore - nei panni dell’altr...

di Elisa Mazzieri
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Pubblicato il 24/12/2014 20:43:02

Anche stavolta qualcosa si è rotto. Qualche piccolo ingranaggio, di quelli messi a punto da poco, in sperimentazione ti hanno detto, e tu ci hai creduto, e certo che ci hai creduto e che altro avresti potuto fare? Del resto glielo hai detto anche tu, poco fa, mentre bevevate la bevanda del conforto, che in ogni modo ne saresti uscito più contento, forse contento non era proprio la parola che stavi cercando, ma di cercare neanche avevi tanta voglia e così alla fine te la sei fatta andare bene. Insomma ne saresti uscito, bene o male, probabilmente più bene che male e altrettanto non si poteva  dire per tutti quelli che avevano, e quelle certo, e quelle, che avevano partecipato. Avevate iniziato quasi per scherzo prima che la cosa vi prendesse la mano, avevate iniziato così, più o meno come si inizia una partita a risiko, o a scacchi, certo d’accordo, anche a scacchi, solo che tu a scacchi non ci sai giocare e dato che stai parlando di te, ci starà pure che ti venga in mente un eufemismo, non dico tanto, ma che almeno tu ti ci possa ritrovare, così, se un giorno per caso ti andasse di farlo. Allora avevate iniziato così e ognuno, e ognuna ho capito sì, anche ognuna e ora sì che ci devi stare attent…ci devi fare attenzione a quello che dici e a come lo dici. Avevate iniziato per caso, dicevi, o diceva lui, insomma, ogni persona, ecco! E che era tanto difficile? No di certo, perfetto anzi direi, o direbbe, vabbè che importa, avevate iniziato per caso. La prima era stata Luisa e nessuno ci aveva fatto veramente attenzione, poi Giuliano e quello sì, a quello sì che ci avevate fatto caso, poi era toccato anche a Marco, a quel punto qualcuno, sì qualcuno, non qualcuna e qualcuno, proprio qualcuno e basta, a quel punto insomma c’era stato un sommovimento generale nel cerchio intorno al falò. Qualche bottiglia si era rovesciata, qualche piede, ahi!, nudo, era finito troppo vicino al tizzone e un gran casino di sabbia e saltelli.

Ma insomma che è?

E che sarà mai? Ma mica si ridurrà tutto a questo, a qualche centimetro (centimetro?! direbbe qualcuno, sì proprio qualcuno con la “o” indignato e offeso) di carne pendula? (pendula?!...) sì insomma, pendula, tesa, eretta? Eretta? Eretta va bene? Ma sì, boh, non so, non è che proprio non va bene. Allora che è? È che sarebbe coniugato al femminile, insomma fa un po’ strano. Strano? Come scusa? Fa un po’ strano a te fammi capire che c’hai un mondo coniugato al maschile? E io che è una vita? Voglio dire, una vita proprio intera, mica in senso metaforico una vita che: i bambini, per dire i bambini e le bambine, gli studenti per dire gli studenti e le studente. Studentesse. Studentesse non mi piace. Perché? Perché…lascia stare. I lavoratori per dire …beh, no, lasciamo perdere tra un po’ andrà a finire che le donne di lavorare non se ne parla di nuovo e poi si dirà che quasi quasi era giusto dire lavoratori “i”, anzi, avanguardistico, premonitorio.

 Apocalittico? E che c’entra ora l’apocalisse? E che ne so. Beh, senti, ora sono proprio stanca, ma stanca sul serio e non come in quel modo che poi che ne so, magari basta poco, a volte proprio poco e mi riprendo, sono proprio stanca perché non c’è via di uscita mi pare. Ti pare? Mi pare, mi pare. Certo mica che ora d’un tratto, così, io che ero sempre in dubbio, mica che ora posso avere una certezza netta e limpida, senza ombre, però mi pare che stavolta proprio non ci sia più nulla da fare. Voglio dire, prendi un desiderio. Desideralo. Non si può desiderare un desiderio. Uffa!

Allora, prendi quello che è, prima di essere un desiderio. Nutrilo, aspettalo, poi alla fine lascialo andare. Lo lasci andare e il resto va da sé. Che resto? E che ne so! La vita per esempio, con tutte le sue magagne ma anche con le cose belle. Tipo quella volta al mare? Sì, sì, tipo quella volta. Io ti dico di sì, ma mica ho la certezza sai, che ci stiamo riferendo alla stessa volta. Non ce l’hai? No. Neanche io, però io so che comunque ci riferiamo a un ricordo che è bello per tutt’e due almeno. Eh sì, la fai facile tu. Né facile né difficile, scusami, ma l’importante non era tenere presente che partivamo tutt’e due da un ricordo bello? No. Come no? No. Perché? Perché se per te è bella una cosa che per me non lo è, non vale. Ma cosa non vale scusa? Ma che è, un gioco? Non è un gioco, magari lo fosse, è un morbo, capisci, una malattia, che io proprio non riesco a spiegare né a spiegarti, a questo punto. Cosa? Come siamo arrivati fino a qui. Qui? Sì, tutta questa mescolanza, io non la volevo, io stavo bene come stavo, sì, guarda, alla fine la verità è che stavo proprio bene. Ma se dicevi sempre che ti eri inaridita e tutta quella roba lì. Sì però intanto, sai cosa? Stavo bene. E ora sto stretta.

 

Mi viene da piangere.

Lo so anche a me.

Perché?

Per te, e a te?

Anche.

Anche cosa? Per me o per te?

Per entrambi.

Credo di amarti

Anche io.

Va bene.

Va bene

È finita.

Lo sapevo.

Addio.

Addio.

Senti?

Sì?

Non avremmo mai dovuto desiderare di metterci l’una nei panni dell’altro, sai?

Sì.

Se non lo avessimo fatto ora non dovremmo lasciarci.

Lo so.

Ma ora dobbiamo.

Per forza?

Sì per forza.

Allora è finita?

Sì.

Per sempre?

Credo di sì.

Credi di sì ma non ne hai la certezza?

E che fa?

Chi?

Nel senso: che importa?

Nulla. Però se non ne hai la certezza, magari…

E tu ce l’hai?

Ce l’ho avuta.

E ora?

Ora non lo so.

Ma ce l’hai avuta anche del contrario?

Cioè?

Che non ci saremmo lasciati?

È possibile ma ora non ricordo.

Non ti amo più

Non è vero.

Sì che è vero

No.

No.

Neanche io.

Addio.

Addio.

Io non credo in nessun dio.

Io neanche.


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