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Il morbo di Venere - parte seconda

di Romana Ricciardi
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Pubblicato il 10/02/2015 09:49:04

È da cinque giorni che siamo chiusi nei rifugi sotterranei.

E sono cinque giorni che il dott. Nidhish, l'interprete ufficiale del Monastero, non mi dà tregua.
Quando io e i miei colleghi arrivammo sul pianeta Venere, due anni or sono, sapevamo fin troppo bene che il compito affidatoci  dall' EST, l'Ente Spaziale della Terra, era di vitale importanza. La missione "aurora" infatti, ha come scopo quello di scoprire l'esatta natura del rapporto che lega i nostri pianeti, da sempre chiamati "gemelli ". Per questo ora ci troviamo al Monastero, un polo scientifico all'avanguardia sorto sulle rovine di un antico edificio di culto, dove sono custoditi documenti risalenti nientemeno che agli albori della civiltà venusiana, e dove, secondo l'EST, dovremmo trovare la prova di un misterioso legame tra le nostre specie; un legame dal quale, a quanto pare, dipenderebbe la sopravvivenza stessa del pianeta Terra. 
Ma non vedo proprio che cosa potremmo avere in comune noi umani con questi esseri dal livello emotivo di uno zombie. 
Da quando qualche giorno fa una enorme Tempesta Siderale ci ha costretto a rimanere confinati nei rifugi sotterranei a stretto contatto con il personale venusiano, la convivenza è diventata assai problematica. Soprattutto a causa del dott. Nidhish. 
Mi sento osservata; ovunque io vada me lo ritrovo sempre e comunque tra i piedi. Credo che mi stia tenendo d'occhio e non so proprio il perché.
E pensare che lo chiamano pure "mediatore culturale"!
Ricordo ancora il giorno che arrivammo sul pianeta. Eravamo appena sbarcati al porto astrale di Rashi e lui ci venne incontro per le identificazioni ufficiali. Quando sentì pronunciare il mio nome, mi  fissò con degli occhi così inespressivi da far venire i brividi e, senza la minima inflessione vocale, disse solo: "Eve, come la prima donna della mitologia cristiana ?".  Poi senza neanche aspettare una risposta, si allontanò.
Già da allora, non so perché, pensai che ci fosse qualcosa di strano in quel venusiano. Non che gli altri siano dei gran simpaticoni, come ebbi modo di appurare in seguito, ma hanno un contegno british che sul lavoro è una qualità assai apprezzabile. L'unico di loro che però ha mostrato un vero interesse nei nostri confronti, è stato il direttore del Monastero, il prof. Bashar e non credo che dipenda esclusivamente dal suo ruolo in questa missione o dal semplice fatto che a differenza degli altri può comunicare con noi direttamente, grazie ad un microchip che gli è stato impiantato. Ho osservato in lui non solo una spiccata curiosità intellettuale verso ciò che è culturalmente nuovo e diverso, ma anche una capacità tipicamente "umana" di confronto interpersonale e di adattamento all'ambiente. Ciò nonostante, quello che è accaduto ieri mi ha lasciato assolutamente interdetta.
La tempesta infuriava ed io ero rimasta bloccata nella capsula di attraccaggio, a corto di ossigeno, e nonostante il tassativo coprifuoco, il professore non ha esitato un istante a correre in mio soccorso. 
Lo so che è scientificamente impossibile, perché i venusiani ne sono geneticamente immuni, eppure l'istinto femminile mi dice che... 
 
 
 

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