La parentela tra i bambini
che giocano con la sabbia
e il vento che lo fa con la polvere;
questi paralleli della vita,
la carezza dell’innocenza,
il crimine elegante della corrida,
l’elenco delle somiglianze,
mi tengono impegnato
durante la tua assenza,
nella penombra delle mie stanze.
L’uomo alto e corpulento
che abita poco lontano,
che incontro con una frequenza
da numeri primi, è un’urna
che contiene le ceneri di mio padre
e di alcuni stretti affini.
La signora del quarto piano
che a tavola dopo il terzo bicchiere
litiga furente col figlio divorziato
nasconde tutto il risentimento
di mia madre, mai vomitato.
Mia nonna che nutriva di pietà
uomini e animali a distanza
immobile su una sedia
è la signora anziana
del palazzo di fronte
morta di sorda inedia.
E quel vecchio magrebino,
che passa di domenica, al mattino,
il venditore di tappeti,
con gli occhi un po’ velati,
all’apparenza per niente scaltro,
è mio nonno che chiuse il suo negozio
per gestire quello di un altro.
E quell’altro, quello pelato,
fermo all’angolo che segue
con lo sguardo macchine e passanti
finché non scompaiono,
girando la testa come un periscopio
è mio zio che premorì a mia zia
che premorì e basta, evitando il manicomio.
E le merde di cane che costellano la piazza
sono alcuni miei compagni delle elementari
e quelle che segnano i marciapiedi
alcuni del liceo e tutte queste
insieme ad altre specie di escrementi
compongono l’intero collegio dei docenti.
Tutto questo, dicevo, mi tiene un po’
occupato durante la tua assenza,
che non so capire.
In questo elenco, dimenticavo,
tu sei la primavera,
quella che tarda a venire.
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