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Pensieri sovrapposti e senza un ritmo preciso

di Alberto Rizzi
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Pubblicato il 01/02/2016 16:27:14

Quando l’aria di fuori ti rende così cieco

ed una corsa verso le colline

è impossibile o comunque vana

 

quando pensi a quand’eri giovane

e a come i colori siano cambiati da allora

mentre il giorno tende ad accorciare

                                                        perentoria sicurezza di bioritmo

qualcosa ti sfiora accanto

                                       come un soffio di gelo che ti dica

 

                         “È tempo di abbandonare la città”

 

ed è buffo non sapere

                                  dove davvero vadano le nostre parole

al cospetto della vita che ci scorre via

 

l’ultimo scherzo che feci al telefono

è roba vecchia ormai

                                roba di quando si stava tutti in branco

ed ogni passo avanti ci costava molto caro

                                                                 anche se sembrava d’essere tutti insieme

                                 richiedeva spasimo di forza

ognuno che stava stretto all’altro

                   parlava senza dire nulla

 

adesso le donne mi passano accanto

e ignorano perlopiù ogni traccia del mio nome

                                                                        vocali e consonanti

e nessuno che si fermi alla mia porta

 

Io che mi tengo i piedi

bèn’inchiodàti al suolo e

                                      giuro

non capisco

 

potrebbe essere un’altra epoca

                                               io che mi affaccio a salvar qualcuno

ma in bilico tra il restarmene in casa chiuso

a dissertar parole forse inutilmente

 

Non lanciarmi quegli sguardi 

                                             non mi lasciar tranquillo

non è il caso di parlarne ancora

 

Dirottiamo i pensieri come fossero pesanti

                                                       banali

aggrappiamoci stretti a qualcosa di giàvìsto

                                  alla TV

                                  ad un biglietto

che ci garantisca quella meta più sicura

ancorata al fondo giàvìsto della strada

                                                          come bastasse dire

 

                            “Prima porta a destra, prego.”

 

Toglietemi quei vostri occhi così sgranati

giù dal viso

 

sto solo ripensando ai miei colori

                               a quelli pèrsivìa come per caso

mentre il tempo si va facendo fresco

ed i vestiti non bastano per tutti

                                                 ma tardi già non è

per bandir queste parole via dai pensieri

e senza biasimare invece questi nostri tempi

                                       qualcuno dei loro nomi segreti

per la città abbandonata e vuota

 

Non rimane molt’altro da vedere

e la chiave che riposa nel destino

                                                   lo sai

catena lunga dal palato al cuore

                                                 è nascosta in un “laggiù”

che sa di visceri e cemento

da qualche parte ancora fuori mano

 

 

 

(tratta dalla raccolta omonima,

autopubblicata come samizdat e disponibile presso l'autore)


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