Pubblicato il 15/09/2025 08:48:49
La figura spartiacque tra la classicità e la modernità è certamente quella di Zeus, re degli dei, un archetipo che segna il teorico passaggio da un’era primordiale, selvaggia e caotica, a un’epoca di reale o apparente ordine e progresso.
Con l’avvento del cristianesimo, e quindi con la discesa in terra del figlio di Yahweh, Gesù Cristo, il mito del figlio di Crono è certamente declinato restando solo come ricordo sbiadito di una fase storica passata e idealizzata, di un periodo per certi aspetti oscuro di storie e leggende.
Molto più profonda e “sacra” era invece la sua immagine per gli antichi greci, i quali esprimevano le loro convinzioni “religiose” (se di religione si può per loro parlare) nel fermo credo negli dei e nel loro riferimento supremo.
Una realtà complessa indebolitasi nel tempo, ma che ad oggi non smette di influenzare, a volte adombrandolo, il nostro sentire.
Il ritorno di Zeus all’inizio di questo nuovo millennio attraverso il racconto del Mito di Unus (Artista Totale, semidio, figlio dello stesso Zeus/Giove) credo sia alquanto simbolica verso una società solo dichiaratamente religiosa, ma che nella realtà delle cose non segue generalmente i crismi del cristianesimo né tanto meno del cattolicesimo.
Inoltre, Zeus riappare in un periodo di Caos determinato dalla nuova età della tecnica e della tecnologia imperante che per ora ha stravolto alquanto gli uomini incapaci di adattarsi alla sua scintillante meraviglia e ai troppi rapidi, quasi magici, mutamenti che la stessa tecnologia impone continuamente.
Ed ecco come lo stesso essere divino trovi terreno fertile per riproporsi o almeno per ricordare agli uomini che dalla sua presenza non sarà mai possibile liberarsi veramente facendo poco o molto vacillare le convinzioni delle religioni monoteiste.
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