La ricostruzione dell’Umano attraverso il Movimento Empatico.
Introduzione
Il Movimento Empatico fondato da Menotti Lerro si impone come una delle più significative proposte estetico-filosofiche del XXI secolo. Le sue 32 Tesi rappresentano una vera e propria antropologia del sentire, un progetto di rifondazione etica dell’arte e della conoscenza. In un tempo dominato dall’iper-razionalismo tecnologico e dalla crisi del soggetto, l’Empatismo riafferma il valore della relazione come principio costitutivo dell’essere e dell’atto creativo.
L’Empatia — intesa non come semplice sentimento ma come metodo conoscitivo e prassi ontologica — diventa la chiave di volta per ricomporre la frattura tra individuo e mondo, tra io e tu, tra arte e vita. In questo senso, il pensiero di Lerro si situa in continuità con la fenomenologia dell’alterità (Husserl, Lévinas, Merleau-Ponty), ma anche con le tensioni umanistiche di un Pasolini o di un Pound, per i quali l’arte non può mai essere disgiunta dall’etica e dalla polis.
I. Le radici umanistiche e la critica alla specializzazione.
Le prime tesi del Movimento Empatico reclamano il ritorno a una cultura classica, vista non come nostalgia del passato ma come fondamento per ogni innovazione autentica. La riscoperta degli studi umanistici si configura come atto di resistenza contro l’appiattimento specialistico e il dominio tecnico che hanno esiliato la complessità del sentire. L’Empatia diventa qui atto di sintesi, capace di unire saperi, arti e discipline in una visione olistica dell’uomo.
Il rifiuto del principio di “tabula rasa” ribadisce che ogni creazione nasce in dialogo con la tradizione. Come ricordava Eliot nei suoi Saggi su Dante, il nuovo non è mai puro inizio, ma una variazione nella continuità del senso. Lerro sembra riprendere questa intuizione e proiettarla nel presente, opponendo all’amnesia culturale dell’era digitale un’etica della memoria empatica, nella quale il passato non è ingombro, ma nutrimento.
II. L’Artista Totale e la sfida al Narcisismo.
La figura dell’Artista Totale — capace di abitare simultaneamente più linguaggi — è una delle più potenti immagini del Movimento Empatico. Essa rovescia il paradigma moderno dell’artista isolato e autoreferenziale, sostituendolo con una visione relazionale del genio come interconnessione.
In questa prospettiva, la creatività è un atto di apertura: l’artista non domina la materia, ma la attraversa; non impone un’idea, ma ascolta le vibrazioni dell’altro.
Il Narcisismo (che per Lerro è anche un movimento faullo e sotterraneo nel mondo delle arti) cifra patologica della cultura contemporanea, viene qui identificato come l’antitesi dell’empatia. Laddove il narcisismo chiude e consuma, l’empatia apre e genera. L’arte, dunque, non è più un riflesso dell’io, ma una rivelazione del noi: essa costruisce ponti, riconosce alterità, restituisce spazio al silenzio dell’altro.
In ciò il poeta di origini salernitane si pone in dialogo con la lezione levinasiana: l’altro non è oggetto di conoscenza, ma volto che interpella eticamente.
III. Contro la tecnocrazia e la falsificazione dell’esperienza.
Molte tesi denunciano la deriva tecnologica dell’arte contemporanea — quella “non-poesia” prodotta da algoritmi o intelligenze artificiali o semplicemente dall'io ipertrofico e diaristico che vuole essere poesia pur non avendone i giusti presupposti. Quanto alla tecnologia bisogna dire che il Movimento Empatico non la rifiuta a priori, ma ne condanna il suo uso disumanizzante: l’arte empatica è “tecnicamente consapevole”, mai meccanica.
In questo senso, Lerro richiama la distinzione heideggeriana tra techne come disvelamento e tecnica come dominio. L’arte autentica non riproduce, ma rivela.
L’empatia, allora, non è un semplice sentimento soggettivo: è condizione di possibilità dell’esperienza estetica.
Solo quando l’artista è capace di “sentire con” — e non solo “su” — l’altro, nasce una forma d’arte che non aliena ma riconcilia. È l’antica funzione catartica dell’arte, reinterpretata in chiave postmoderna e neuroetica.
IV. L’etica empatica e la rinascita della polis.
Il "Decalogo dell’Empatia" proposto da Maria Rita Parsi, parte integrante delle 32 Tesi, trasforma l’estetica in etica civile. L’empatia non è un fine in sé, ma un modo di abitare il mondo.
Il “conosci te stesso” socratico, reinterpretato alla luce delle neuroscienze (neuroni specchio, intelligenza emotiva), diventa oggi “conosci l’altro in te stesso”.
Questo passaggio dal soggetto isolato alla relazione interiore segna la rinascita di un umanesimo empatico, nel quale la conoscenza si fonda sull’affettività condivisa.
Lerro propone così una nuova polis dell’arte, dove il gesto estetico torna a essere atto politico e morale. Come nei tempi di Pericle o di Dante, l’artista torna ad avere una responsabilità verso la comunità: non soltanto rappresentare il reale, ma trasformarlo.
V. L’Empatismo come nuova fenomenologia del sentire.
In termini filosofici, l’Empatismo si configura come una fenomenologia relazionale: ogni coscienza è, per definizione, aperta all’altro.
La percezione stessa è empatica — come mostra Merleau-Ponty — perché il corpo è già sempre “nel mondo” e “per l’altro”.
In questa luce, le 32 tesi non vanno lette come dogmi, ma come fenomeni del pensare empatico: espressioni di un movimento che tenta di restituire profondità al vissuto, corpo alla parola, anima alla conoscenza.
L’empatia, allora, non è soltanto il cuore dell’arte, ma il nuovo logos dell’umanità postmoderna.
Essa sostituisce l’episteme della separazione con quella della comunione: dove l’oggetto non è opposto al soggetto, ma co-esistente con esso.
È, in fondo, il sogno di un mondo in cui l’estetica si riconcilia con l’etica, la forma con la vita, la poesia con la filosofia.
Conclusione.
Le 32 Tesi del Movimento Empatico segnano una svolta nel pensiero estetico contemporaneo.
Esse non si limitano a proporre una nuova poetica, ma inaugurano una ontologia relazionale dell’essere umano, in cui la bellezza non è ornamento, ma condizione della verità.
Menotti Lerro e il Movimento Empatico ci invitano a superare il paradigma della distanza per tornare all’ascolto: ascolto del mondo, dell’altro, e infine di noi stessi.
Nel tempo del disincanto e della frammentazione, l’Empatismo si offre come un atto di fede nella possibilità dell’incontro: una filosofia della vicinanza, un’estetica della cura, un’arte che finalmente torna a essere, come scriveva Rilke, “cosa viva”.
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