Pubblicato il 02/10/2016 18:14:19
Mentre cerco di mettere a fuoco l’immagine (due candele che parlano in una stanza – così vorrei ci parlassimo noi due– nella posa solenne della fiamma che contempla l’altra fiamma – vuota, in silenzio), le parole arrivano sulla punta delle dita e si fermano, la musica invece va avanti. C’è una parola che cerca grazia, una parola felice e una parola che irride tutto questo... Quale ascoltare? La musica che ho in mente prosegue e appare il corpo a corpo col tempo, un altro tema spropositato, illimite*, e quindi subito confinato sullo sfondo dove le cose, i nomi, i fiori e le città accadono e si modificano, e dove tutto è compiuto, anche noi stessi – già stati: espulsi, assolti, dissolti e consumati fino allo stoppino annerito di quel che resta e che nessuno testimonia. Ma quell’immagine torna e mi risucchia nel buio che la stringe, mentre le candele parlano e continuano a raccontarsi senza che alcuno possa intenderne la lingua– al massimo, le si può vedere – ammesso vi sia uno spettatore – imperterrite e pazienti guardarsi, farsi per poco luce l’una all’altra. Nella stanza la musica suona ancora, la mia mente arranca dietro le note.Tutta la musica si regge sul tempo, e il tempo, avanzando, sopravanza ogni nota, ma quando le note finiscono, o nell’intervallo, chi può dire se vi è più tempo? Dove è finito l’avanzo? E mi chiedo, mentre cerco di mettere a fuoco l’immagine, se le candele discorrano di tutto questo, se conoscano il segreto dell’attesa, o se piuttosto non siano, nel reciproco ammirarsi, sorde mute e cieche al buio, al tempo e alla musica, che pure le assediano; la forma perfetta d’amore. * sta per “illimitato”
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