Pubblicato il 25/04/2017 23:25:18
DIMORA DELLA FOLLE INSONNIA I. Non ti chiedo di amarmi - estatico e mite il filo di parole inattuabili che alimentano il segreto fiume del sogno – Rapisci le caste ore delle selve - cappe dissolute coprono i fiori - Versa nelle pupille l’indaco e il verde di intatte collane. II. Si aggira estatico nel bosco delle case. Non vede, non comprende, solo aspira un appena percettibile odore - il nespolo fiorisce nella imminente neve - Lui ne beve il polline ferito. Gemono le note le braccia ascoltano le forme amate. Il furto dello stupore lo rende folle e intemerato. III. Amasti più di lei la Musa. Fosti l’amante del rifiuto la sentinella delle sue palpebre chiuse. Le tue lenti non la riconobbero. Chi ha rubato il senso dei discorsi e profanato le sue profondità? Chi ha percosso le margherite? Quali labbra frequentasti che dissetano l’oblio? Almeno la uccidesti con gentilezza? Può dirlo l’occhio arroventato che frequenta le altezze della folle insonnia. IV. Non parlare. Scrivi. Piccoli segni lascia divenire ciò che non ha voce. Con occhi tardivi leggi l’universo. La storta quercia che si abbraccia le radici le puntiformi tra le secche foglie. Voglio in questo letto dormire essere cosa tra le tante inanimate e spente. Sentire inquieto il vento ed esprimere il sonno un suo discorso lieto. V. Sedeva dirimpetto al sasso - ne scrutava la prigione – Un passo persino udiva, fuor di ragione. Avanzare e ritrarsi fino a sparire. Gridare: C’è qualcuno? Può darsi. VI. Che ampia casa è la follia! Non l’anima. Sanguina il laccio dei calzari. Il guanto a rete le sue lacerazioni considera con assoluta mestizia. Ma il laccio spezzare non può la perfezione. Il verso ammalato ha preso appunti. Non frequenterà le tue finestre Musa delle altezze e dei fatali inganni.
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