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A carta


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Pubblicato il 02/10/2017 12:00:00

 

Senhores:

hão-de a dor e a ausência ter sabor,

um certo cheiro doce e demorado,

em forma de mil olhos

 

Pois vós olhastes essa minha ausência,

dissestes que dali criei palavras,

mas não por minha mão

 

Na vossa história, senhores,

eu fui só voz,

em vez de gente inteira

 

Inteira, nunca o fui,

dobrada ao meio pelo escuro das vestes,

pelas juras forçadas que cumpri,

pelo dever que me ditou meu pai

 

Porém, fui eu que as fiz, às letras dessas cartas,

eu, que as fui construindo devagar,

na escuridão da cela

 

O resto foi roubado por vós

e noutra língua,

e em mitos que vos eram

necessários

 

Não fui só voz:

fui eu, dona de mim,

porque as letras me foram, e o amor,

e o ódio vagaroso

 

Só para isso me valeu viver,

para compor, igual a sinfonia,

tudo o que considerei

 

Ele foi só palavras que em palavras forjei,

bigorna onde moldei espadas e lanças,

o lume necessário

 

Só não moldei

as grades da prisão onde vivi:

essas, moldastes vós

até incandescência

 

Mas eu, nas letras que compus,

eu inventei a ausência como mais ninguém.

Eu fui a mão da ausência

numa cela escura

 

E os actos dele foram-me as metáforas,

imagens a seguir-me, mais fortes

do que a vida.

Por isso me chamastes, senhores,

no vosso tempo, uma palavra nova e ágil:

literatura

 

E assim eu fui-vos voz,

e doce mito. E nada mais

vos fui

 

Quero dizer-vos hoje,

neste tempo tão escuro,

mas de um escuro diverso do que tive:

adeus

 

Deixai-me o escuro, o meu.

Porque ao lado da minha,

a vossa ausência, essa que em mim plantastes,

nada é.

Tomáreis vós saber o que é ausência

 

Ausência: eu: demorada nestas linhas.

Dizer com quanto escuro

a noite se desfaz

e se constrói –

 

[ da EscuroAssírio & Alvim ]

 

 

 

 *

 

La lettera

 

Signori:

saranno il dolore e l’assenza ad avere sapore,

un certo profumo dolce e atteso,

in forma di mille occhi

 

Poiché guardaste questa mia assenza,

diceste che da lì creai parole,

ma non per mia mano

 

Nella vostra storia, signori,

fui solo voce,

invece di una persona intera

 

Intera, mai lo fui

piegata a metà dall’oscurità delle vesti

per i giuramenti forzati che prestai

per il dovere che dettò mio padre

 

Pertanto fui io che feci le lettere di questi fogli,

io, che le costruii lentamente,

nell’oscurità della cella

 

Il resto fu rubato per voi

in un’altra lingua,

e in miti che vi erano

necessari

 

Non fui solo voce:

fui io, signora di me stessa,

perché le lettere furono mie, e l’amore,

e l’odio molto lento

 

Solo per questo mi è valso vivere,

per comporre, come una sinfonia,

tutto ciò che considerai

 

Furono solo parole che in parole forgiai,

incudine dove modellai spade e lance,

il fuoco necessario

 

Non modellai però

le grate della prigione dove vissi:

esse, le modellaste voi

fino all’incandescenza

 

Ma io, nei testi che composi,

io inventai l’assenza come nessun altro.

Io fui la mano dell’assenza

in una cella buia

 

E i miei atti mi servirono come metafore,

immagini che mi segnano, più forti

della vita.

Per questo mi chiamaste, signori,

nel vostro tempo, una parola nuova e agile:

letteratura

 

E così fui la vostra voce,

e dolce mito. E nient’altro

fui per voi

 

Voglio dirvi oggi,

in questo tempo così oscuro,

ma di un’oscurità diversa da quella che avevo:

addio

 

Lasciatemi nell’oscurità, la mia.

Perché vicina alla mia,

la vostra assenza, che in me avete innestato,

è niente.

Vorrei sapere da voi che cos’è l’assenza

 

Assenza: io: indugio in queste righe.

Dire con quanta oscurità

la notte si disfa

e si costruisce –

 
 
 
[ traduzione di Roberto Maggiani approvata dall'autrice ]
 

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