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Astuzia delle fonti

di Maria benedetta cerro
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Pubblicato il 17/09/2017 08:32:06

ASTUZIA DELLE FONTI

E se fosse quel frammento di vero la saetta che incide le sorgenti?
*
Promessa che mai più sognerai stretti sogni e buie soglie, perse le catene della luce, a precipizio nei
mentali pozzi.
*
Tradito il gesto, spezzato il fuoco del ritorno, quella soltanto, parola l’ogni tenerezza, resta fuori dal
dubbio la sola evidente certezza.
*
Sarà ancora puro il giorno, purché ignaro della falce. Papavero assetato nel rogo delle spighe, viva
ferita, bacio mai più prodigo di colpe. Mai più segreto.
*
Non ho mai incontrato il tuo pensiero. Non aveva, quando mi sovvenne, lasciato impronte. Chi ha
moltiplicato il delitto della distanza?
*
Da questa brama al respiro del progetto. Folle! L’impotenza non calcolasti. L’onnipotenza non cessa
di assalire la nostra fragilità.
*
Non sopporta libertà, chi di libertà non ha più sete. Estingui il sogno. Non è generoso consolare la
spina. E morse sul dito la perla di sangue che sapeva di rubino.
*
Verrà, mano sul fianco, con sublime altezza ripiegata nello sguardo. Crederai trascorsa la sponda
della notte, distante l’edera tenace, Ma dove il fuoco che arresterà la tenebra?
*
Il corso del pianto è celato nelle mani, quello delle parole dalle mani sgorga e tradisce il tuo segreto.
Anima, che hai di spine il letto.
*
Crollerà nelle ali il vento. Il volo non più essenziale sarà ridicolo e disperato. Persisterà un dolore
così smarrito che dovremo indicargli dove andare.
*
Apprende a volare alla scuola del vento, ma dubita che mai presso i Troni poserà stanche le ali.
*
Ho cercato di Lei e creduto su labbra scarlatte di scorgerne il riso. La dove di lei si ragionava erano
vesti discinte e mani prodighe di anelli. Oh, meschina la coppa che al suo nome non brinda!
*
In questo sogno di aver dimora concedimi: Al modo delle gazze avere alto il nido e alle trecce del
vento aggrovigliate. Ora, prima che mi tradisca il tempo. Prima che mi detesti la bellezza triste di
ciò che poteva e non è stato. La peonia splende nel mio cranio. rallegra alla morte il suo trofeo.
*
La veglia si adegua al suo diamante. Splende e va in frantumi. Perfetto e costante è il battito che si
desta nell’improbabile luce.
*
Non v’è attesa per chi solo l’andare conosce e il disgiungere. Cos’è la carezza seguita dal rifiuto?
Un buco nel petto dove passano come in un ago i fili che non faranno mai un legame tessuto in
mille nodi.
*
La memoria non si volge indietro. Morde il futuro e vi si aggrappa. E’ un morto che da solo non se
ne vuole andare.
*
Chi paga i vostri concerti? Forse la fame pigolante che vi sgrida le piume. Chi al poeta i suoi deliri?
La febbre, l’impervia tenerezza che preserva dall’infamia. Sillabe aperte, avventurose concertano la
partitura delle cose.
*
A quale luce ho aperto gli occhi stamani? Chi mi difenderà dalla morte altrui? Sul perno della resa
ruota con fermezza la mia desolazione. L’inseguita bellezza, la sua categoria. Intollerabile l’eccesso,
ferito il paradosso.
*
Le promesse hanno nomi ingiustamente lunghi. Scritti nel più disabitato silenzio.
*
Inclemente è la veglia: Rapida volge la dinamica del sogno. Ossessiva ma non ribelle scava nel
fango degli anni. L’acqua che lambiva la gola allenta al respiro la morsa.
*
Il silenzio è una melagrana acerba dove le parole sperano di crescere. O forse è un grido che ha
perso l’acuto e si esprime per assenza. E’ un frutto di scarlatto dolore.
*
Gli anelli spergiuri pagano le cicatrici del profondo. Emergenza è vivere per gli uomini che hanno
scritto e affisso con uncini da beccaio frasi elementari che sanguinano.

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