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Tamerisco XVIII

di Salvatore Solinas
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Pubblicato il 08/02/2022 11:36:08

XVIII

 

Piero incontra lo zio di Pietro.

Altra busta

 

Il mattino seguente telefonò Alberta per annunciarmi che lo zio era morto, quello grazie alle cui raccomandazioni avevo ottenuto il posto in biblioteca.

Chiamai la biblioteca e rispose Guido; avvertii che sarei stato assente per quella giornata e forse anche di più. Mi feci passare Adelina e le dissi che avevo quell’impegno, che ci saremmo sentiti.

Presi il primo treno e fui a casa a mezzogiorno, il tempo di vedere mio zio prima che chiudessero la cassa. Il fratello di mia madre era single e viveva in un appartamento attiguo al nostro. Mia madre lo accudiva come faceva col marito e con i figli. Spesso era a tavola con noi. Era insomma uno della famiglia. Per questo motivo fui emozionato fino alle lacrime a vederlo sdraiato nell’abito buono confezionato dal sarto di città che lui indossava nelle grandi occasioni: quale occasione più importante del proprio funerale. Il viso immobile, la bocca livida sotto la fila di baffetti che gli ornavano il labbro superiore; baffi che da vivo gli donavano un aspetto severo e importante, e ora da morto erano come sbiaditi, impotenti a sentire il soffio del respiro che lui asmatico emetteva con un piccolo sibilo appena percepibile da chi gli fosse accanto. Il funerale fu imponente; c’erano il sindaco e i consiglieri comunali, c’era pure una delegazione di professori del liceo classico venuti dalla città con un pulmino. Santoni, il mio professore di storia e filosofia, mi abbracciò paternamente e mi domandò cosa facessi. Quando seppe che ero impiegato alla biblioteca comunale disse che ero sprecato in quel luogo, che avevo la stoffa dello studioso e dell’insegnante. Risposi che era un lavoro provvisorio, non privo di motivi d’interesse, che tuttavia avrei presto fatto domanda per un posto di professore a scuola.

“Allora fai presto, tra poco scadono i termini delle domande; c’è ancora bisogno, tanti posti sono vacanti”.

Sulla strada di ritorno dal cimitero, che distava poco più di un chilometro dalla casa dei miei, mi si mise al fianco un signore, alto e magro, i baffetti come mio zio. “Lei è Piero; ero molto amico di suo zio, grande persona, i suoi scritti sono fondamentali per chi studia filologia romanza. La riconosco perché mio figlio mi ha parlato di lei. Sono il padre di Pietro.”

Rimasi un attimo a raccapezzarmi prima di capire chi fosse questo Pietro figlio del signore che avevo a fianco.

“Mio figlio è scomparso. Nessuno della famiglia l’ha più sentito. Noi siamo molto uniti, per questo motivo il suo comportamento non è normale. Forse lei sa dirmi cosa gli è accaduto”. Risposi, non so perché mentendo, che non ne sapevo nulla, che io pure non vedevo suo figlio da tempo. Mi consegnò una busta: “Se lo vede, gli consegni questa. E’ del notaio; pare che Pietro gli abbia inviato una specie di testamento. Siamo allarmati!”. Un’altra busta, pensai, deve essere una mania di famiglia.

Quando fu l’ora di partire tra saluti e abbracci, mia madre mi disse di salutare Adelina con un tono che voleva sottintendere che era a conoscenza della relazione che c’era tra noi. Aveva senza dubbio parlato con mia sorella che aveva capito tutto.

Da parte mia, avevo meditato a lungo se fosse il caso che mi fermassi a casa dei miei per un certo tempo. Ne avevo parlato per telefono con Tango che mi aveva sconsigliato; era meglio, diceva, non immischiare altri in quella brutta faccenda. Del resto non avrei potuto lasciare sola Adelina. Forse i delinquenti erano a conoscenza della nostra relazione e non avendo trovato niente a casa mia, avrebbero potuto pensare che lei ne fosse in possesso. Aggiunse che la scientifica aveva trovato nel cestino della spazzatura il coltello di cucina che era servito a sventrare il materasso e i cuscini, c’erano numerose impronte, tutte dello stesso individuo, ma nessuna apparteneva ai soliti criminali di cui gli usurai si servivano per inscenare la loro opera intimidatoria. “Evidentemente colui che è entrato in casa tua non è uno specialista. Cercava qualcosa…” 

Cosa mai cercasse, non riuscivo proprio a immaginare.




 


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