Pubblicato il 01/02/2021 08:32:32
ORIENTE
Questo spazio infinito questo odore di sabbia questa luce accecante questa spada di Allah questa Aden lontana questa morte di Paul. Non salirà sino al cielo l’immeritevole scritto solo mia l’emozione imperfetta coscienza.
Dasht-e-kavìr, dove l’acqua svanisce di timida vergogna per non offendere il sole, la terra segnata, l’agnello sgozzato e un’ombra nera di donna iterante, incerta e sicura in marcia ed immobile.
Questa strada a Marùn questa origine vaga di fuochi eruttati dalla terra profonda manomessa dall’uomo malusata nel mondo. Notti abbaglianti guida per le stelle i nomadi ignorano la strada è già nota.
Villaggio di pietra dove vita è silente, dove il creato ebbe il suo inizio non detto, non avvenuto ma senza dubbio creduto, l’entropia nelle parole in sequenza acquieterà le afasiche credenze di tanti.
Quelle volte sonanti quell’odore di erbe quel pavimento invisibile quella porta nascosta quel portone immanente. Un sottile confine d’argilla che la strada ferisce dal bazàr sino al sole da rumori indistinti al suono certo del vento
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