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Corvi con la museruola di Sergio Gallo: una libera lettura

Argomento: Poesia

di Alfredo Rienzi
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Pubblicato il 16/04/2017 21:49:50

Del regno degli alati e degli umani: una libera lettura di Corvi con la museruola, di Sergio Gallo (Lietocolle, 2017), divagazioni su poesia e scienza con testi di Giancarlo Baroni, Fabrizio Bregoli e Roberto Maggiani e traduzioni di quattro Corvi.

 

 

C’è una pagina che non c’è, in Corvi con la museruola, che sarebbe veramente straordinaria se ci fosse: in effetti c’è, ma come se fosse conscia della propria straordinarietà, si eclissa e si disperde. lasciando di sé solo la traccia. Si trova oltre l’estremo confine della numerazione delle pagine, ed è l’indice!

Che riporta solo i titoli delle sei sezioni del volume. Lo ricostruisco qui, con la licenza delle parentesi di mia creazione, come a ritrarne gli oggetti su un cartellone illustrativo della flora o della fauna di un parco naturale. Mi limiterò, perché intendo semplicemente fornire un’esemplificazione, all’indice virtuale della seconda sezione, Animalie: Flamingo road (ovvero Del fenicottero), Il rospo e la natrice, L’argironeta, Il ritorno dei guardabuoi, Le urla del riccio, Massaciuccoli (Hic sunt tarabusi, folaghe, cormorani, martin e falchi pescatori e, giocoforza, qualche carpa a rappresentare il pescato), L’invasione (di una coccinella dai sette punti), Bombardamenti (di scoiattoli rossi), Chiocciole, Ardea cinerea, Lepisma saccarina, Salamandra lanzai, Le capre del Mèris, L’uccello dalle ali di farfalla (cioè il picchio muraiolo, l’eletto tra gli altri diciassetti alati considerati), Turdus merula, Solo un piccolo codirosso, Passerotti suicidi. Per ultimo: Corvi con la museruola.

Credo basti e avanzi questo giocoso indice per cominciare a tracciare un invece serio percorso di esplorazione dell’ultimo lavoro di Sergio Gallo, poeta saviglianese, autore che ha già varcato il quarto di secolo di testimonianza poetica, da  Pensieri d’amore e di disastro, 1991, fino a Pharmakon edito da Puntoacapo nel 2014. Ma se si volesse proseguire lo stesso divertissemant per le altre Sezioni, sarebbe confermato al di là di ogni superfluo commento la caratteristica principale del poeta, prima ancora che della sua poesia: una vigilissima attenzione e una voracità di sguardo inesausta. Che poi, in questa raccolta, e in parte significativa nelle due precedenti (Canti dell’amore perduto, poderosa raccolta del 2010 e, la già citata, Pharmakon) l’occhio viaggi nei Tre Regni pre-umani della Natura, non sposta questa attitudine all’esplorazione e al viaggio: «attraverso la varie fasi della vita, nella natura, nell’umana sofferenza, alla ricerca di sé, nel silenzio e nella parola, nel microscopico mondo cellulare» ecc, secondo la personale geografia cartografata dallo stesso Autore nella Nota confidenziale, in Canti dell’amore perduto (p. 237) e finanche tra visibile e invisibile, come evidenzia Alessandra Paganardi nella Prefazione, ispirandosi, per l’occasione, al testo-sezione Lo spettro di Broken. Concordo perfettamente con la stessa prefatrice, quando sintetizza ottimamente che: «Come i libri precedenti […]  Corvi con la museruola non è “soltanto” una raccolta di poesie. È un’enciclopedia, un trattato filosofico, un diario di viaggio». Sull’asse primariamente visivo, s’inscena, dunque, un catalogo che non è arida tassonomia, ma ricettario del mondo, vista del mondo, ed anche pronuncia delle leggi note e ignote che lo costituiscono e lo governano, dell’intreccio infinitamente complesso tra uomo e natura. Tutto questo avviene grazie ad un’operazione a cui Sergio Gallo sta lavorando da tempo, apportando tecnicamente (ovvero lessicalemnte) un pregevole contributo al non certo nuovo o raro rincorrersi interrogativo, di poesia e natura, celeste («Che fai tu, luna, in ciel?») e terrestre (dalle celebri Correspondances baudelairiane) o al più episodico intreccio di poesia e scienza o tecnologia.

Parlo di ciò che Alessandra Paganardi chiama «la scelta apparentemente bizzarra di scrivere versi in linguaggio tecnico».

 

§ § §

 

Qui si aprirebbe un discorso potenzialmente esteso, che, non nego, mi è stato, in certe fasi della mia scrittura molto a cuore e che tutt’ora reputo di estremo interesse e su cui apro un necessariamente breve inciso. Chiaramente andrebbero fatti dei distinguo sulla diversificazione dei metalinguaggi: una cosa è, sulle orme di Linneo, avventurarsi tra generi, famiglie e specie animali latinizzate, un’altra è attingere a quanto, innominato, in quanto “inesistente” ha preteso nominazione all’atto della sua comparsa agli orizzonti delle nuove scienze, tra bosoni, buchi neri e magnetosfere. Ma ci porterebbe troppo lontano. La curvatura gravitazionale del linguaggio a nuove e vecchie, ma ai margini letterari, scienze/tecnologie è certo poco osservata e viene elusa, ma non del tutto.

Ha di certo un’inevitabile ricaduta lessicale anche lo scenario del Realismo terminale, pervicacemente proposto da Guido Oldani ma senza alcuno smarginamento matalinguistico, perché gli oggetti “terminali” sono ormai impiantati ben saldamente nella lingua corrente (petroliere, betoniere, lavatrici, camion). Ma, a parte questo minimo tributo lessicale ad una tecnologia addomesticata, GuidoOldani va in senso opposto a quello di Sergio Gallo e del suo padre ideale Pier Luigi Bacchini (il maggior poeta indagatore del mondo naturale, non a caso di formazione scientifica, come Gallo) quando dice, evidentemente sbagliandosi, almeno in questo caso: «La natura è stata messa ai margini, inghiottita e addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza […] Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile» (Manifesto breve del realismo terminale).

Colgo invece, oltre alla esemplare ricerca e riflessione di Sergio Gallo, segni tra i poeti contemporaneissimi, che questo problema del rapporto tra linguaggio (e pensiero) umanisitico e scientifico si sta ponendo con insistenza.

 

Particolarmente interessante in tal senso sono il pensiero e l’opera di Roberto Maggiani, classe 1968, Fisico Nucleare e divulgatore scientifico che si occupa in particolare del rapporto tra scienza e poesia e che ha dedicato un interessante saggio alla questione  Poesia e scienza: una relazione necessaria?, CFR, 2011. Commentato su Poesia 2.0 (sic!), da Maurizio Soldini (altro medico, ma di parola nitida e classica) Maggiani argomenta come «non solo che la liason tra poesia e scienza sia necessaria, ma ancor più che è indifferibile ed ineludibile», fino alla  «poetizzare la scienza», Coerentemente, nella sua già ampia produzione poetica, Maggiani attinge con frequenza ad espressioni del linguaggio scientifico («universo metastabile», «risonanze elettromagnetiche»). Questo brano sembra fungere da personale manifesto:

 

Il rapporto tra poesia e scienza,

 

[…] Dove appoggi il tuo piede

la sua forma crea labirinti

e pozzi imperfetti e amari

dove i poeti

cadono spersi,

ma non io che non sono poeta ma scienziato

e ti parlo per tua gioia

di quel mondo così piccolo

o così lontano –

di atomi o stelle.

 

(da Scienza aleatoria, Lietocolle, 2010)

 

  

Un altro giovane e talentuoso poeta di formazione scientifica che ha recentemente contribuito ad irrorare il linguaggio poetico con apporti plurilinguistici, senza perdere un atomo di letterarietà (sostenuta anche da un maturo endecasillabo) e di potenza comunicativa è Fabrizio Bregoli, ingegnere elettronico lombardo del 1972. La sua opera prima, Il senso della neve (puntoacapo, 2015, prefatto da Ivan Fedeli e con postfazione di Tomaso Kemeny) è un esempio di «compenetrazione di termini tecnici […], o della tradizione, di neologismi impreziositi dalle forti cesure», dove viene adattato «il plurilinguismo a un qualsivoglia dettato comunicativo» (I. Fedeli).  Una breve sezione, Compendio di fisica applicata, o forse un solo testo o anche solo qualche verso, dicono sull’uso del linguaggio naturale-scientifico in poesia, ben più di quanto io abbia finora detto in questo scritto:

 

Complementi di fisica

 

Si sdipanasse in uno scioglilingua

l’appallottolata mappa del cosmo

- elettromagnetismo gravità

interazione forte forza debole -

si stanerebbe forse la ricerca

del cocktail squinternato che ci inebria

l’equilibrismo cronico del vivere

fra sponde contrapposte, sabbie mobili.

Quella corrente insana sotto pelle

di stimoli indizioni potenziali

che ci rabbrividisce di sorpresa,

unita all’ancoraggio insopprimibile

dell’attrazione antica per la terra

il suo farsi sostanza, esser radice

alla levitazione del pensiero,

imbrigliarlo al reticolo del cuore

avvilupparlo stretto, con tenacia

a quel sedimentato vecchio amore

e rianimarlo, non gettarlo a mare,

sorreggersi al precario delle gambe

a volubilità di cartilagini

all’innata debolezza delle ossa,

il loro sfarinarsi, svaporare

è il nucleo d’unità che ci affratella,

sintesi spiccia di quest’azzardata

teoria del campo unificato.

 

 

Genesi

 

Mulina attesa nel laboratorio

l’energia del fascio d’ha d’accrescere

a disgregare scindere collidere

sempre più minuti più esili più

più pargoli tasselli d’elementari e

più primordiali esotici pulviscoli

in più sottili opalescenti lamine

esponenziale vertice del nulla.

 

Gluoni bosoni

neutrini tachioni

barioni fermioni

quark ora pro nobis.

Neutrino muonico

protone barionico

leptone elettronico

miserere nobis.

 

Così l’ottavo giorno

l’uomo scomodò Dio

in surroga d’incrollabile scienza.

 

Amen.

 

 

Un’altra scrittura che usa come strumenti precipui l’occhio che reperta e la penna che registra è quella di Giancarlo Baroni, parmense, almeno nelle sue ultimi due opere edite: il pregevole Le anime di Marco Polo (Book Editore, 2015) e I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli, edito da Mobydick nel 2009 e ripubblicato nel 2016. Infatti, sia che volga la sua attenzione alla Storia (luoghi, vicende e soprattutto viaggi e viaggiatori), sia alla Natura (nella sua rappresentanza alata e pennuta) lo scandaglio di Baroni esplora territori non privilegiati dalla scrittura poetica e, quel che qui più interessa, lo fa redigendo repertori inclusivi e attingendo a famiglie di res e  nomina inconsueti, per erigere i pilastri delle raccolte. Nel nucleo eponimo Federico II e i merli del giardino di San Paolo, i due territori, storico e ornitologico, coesistono e i linguaggi in osmosi delineano tutta la peculiarità di questo volume.

Il fatto che l’opera,già edita nel 2009 sia stata riproposta e ampliata nel 2016, e accolta con buon interesse dalla critica, può testimoniare il bisogno di nutrimento della poesia attuale con lieviti e sostanze da ampi settori o almeno il beneficio che da questi apporti ne riceve il linguaggio. Ottime puntualizzazioni sulla «modalità di fare poesia», «giocata su un codice sostanzialmente denotativa», che mi sento di poter estendere anche a Le anime di Marco Polo, sono contenute nella Prefazione alla Seconda parte di Fabrizio Azzali: «La cifra realistica, a tratti scientifica […] proprio per il suo carattere “fisiologico”, nomenclatore, quasi lenticolare con cui vengono esibiti e studiati i più comuni attori della scena, raggiunge un effetto di straniamento […] e ci porta in una dimensione iperrealistica, diremmo di metafisica immanente». (Quanto di questa considerazione è esportabile anche a I corvi… di Sergio Gallo? Molto, a mio modo di vedere lo è spirito delle opere, ferme restando le differenze di stile e tono il diverso peso delle molecole di morale, raggrumate in Gallo e più aeree in Baroni.)

Anche in questa operazione aviaria ideale Nume tutelare è Pier Luigi Bacchini, che non a caso porge la sua delicata Prefazione all’edizione del 2009, dove rileva, tra l’altro, come tutta la «precisione ornitologia» utilizzata da Baroni non sia fine a se stessa e come l’osservazione del poeta prediliga un tono di distaccata ironia.

Non potendo, per brevità, soffermarmi sulle tante caratteristiche dei pennuti e, soprattutto, su quelle dello sguardo del poeta, mi limiterò a un'altra elencazione, didascalicamente utile. Così troviamo che (quando non in gabbia) transitano e vociano (tra ippocastani, querce, faggi, castagni, pioppi, cespugli d’erba selvatica e di sambuco ecc) passeri, fringuelli e pettirossi, gazze e cornacchie, merli e merli, storni, colombi e pavoni, quaglie, tacchini e fagiani, rondini e rondoni, anatre e morette, falchi pecchiaioli e pescatori, allocchi e civette, aironi, tarabusini e ibis, avocette e chiurli, beccaccini, pinguini, colibrì e altre livree senza nome, descritte o raffigurate nelle illustrazioni di Vania Bellosi e Alberto Zannoni (sì, c’è anche una montaliana upupa). Spesso si descrivono comportamenti o caratteristiche dei sottintesi attori pennuti i quali, non di rado, si trasfigurano, a specchio, negli umani che osservano e che li stanno osservando.

 

(Merli)

 

La melanina che scurisce il corpo

e ci rende simili a fantasmi

fa paura all’allocco.

Allora gonfiamo il petto

gli gridiamo te l’abbiamo fatta

un’altra volta, gioiamo

ma piano

come avessimo in gola dell’ovatta.

 

 

Airone

[…]

*

Da predatore a preda

il passo è breve

basta solo una svista. La mossa

del nemico che ti spiazza

impàri e la fai tua.

 

 

Da quassù

[…]

*

Dicono discendiamo

da un dinosauro immenso

ma i suoi figli risultano

piatti più della terra

a noi che li osserviamo

oggi dal cielo.

 

§ § §

 

Ma torniamo a Corvi con la museruola, perché, detto dello spirito enciclopedico e dell’operazione linguistica, altri aspetti meritano di essere notati.

La raccolta è composta da sei Sezioni: Dendrologie (ovvero “discorso sugli alberi”), Animalie, di cui si è già detto, Il bruco e la formica, altro corposo repertorio zoologico ed entomologico. Seguono tre sillogi più brevi: L’abisso e la sapienza, dove l’autore si fa viaggiatore ed esploratore alpino, Lo spettro di Broken, dedicata al fenomeno di illusione ottica ben noto ai frequentatori di quelle realtà tra magia (prima) e (ora) scienza; l’ultima sezione Antropocene, più composita, compendia molti degli elementi dell’intera raccolta, ed estende l’attenzione al Quarto Regno e alla condizione umana nella sua forse breve avventura, tra prime selci e «rischio d’estinzione», avventura della quale «resterà/ solo/ la poesia», verso che chiude il volume e che pare riconoscere sia la soggettiva necessità dell’Autore, sia il potere al tempo stesso demiurgico e testimoniale della parola.

Mi pare una questione significativa il fatto che il poeta compia questo suo personale viaggio nei Quattro Regni, nella loro remotissima origine utilizzando un estensione lessicale spinta fino al tecnicismo scientifico contemporaneo, ma incida epigrafi alle sezioni di ispirazione classica e sapienziale. Così vengono citati Aristofane (da Gli uccelli) e Seneca, brani Vedantici o Buddisti, Sure coraniche (XXVII, Le formiche), il Siracide e il poema persiano di Farīd Ad-Dīn ‘Attār, Il verbo degli uccelli, quello del Simurgh, per capirci (a cui Robero Mussapi ha dedicato bei versi e il titolo della sua ultima raccolta La piuma del Simorgh, il «grande uccello/ che fece nascere la vita nel mondo/ e il regno degli alati e degli umani/ con una remigante dell’ala sinistra», p. 9).

Si potrebbe leggere in questa trama l’esplicito pensiero o la criptica coscienza che la nostra umana osservazione transeunte può aggiungere una goccia all’oceano delle ere e del divenire, ma che questa immensità ci precede e ci seguirà. Un respiro macrocosmico e un microcosmo popolato di ragni e ammoniti!

 

La primazia del contenuto non induca, però, a trascurare gli aspetti stilistico-formali dell’ultimo Sergio Gallo. Mi soffermerò solo su un paio di questi (ché altri saranno immediatamente evidenti nei testi che seguiranno, come l’uso di un verso libero con prevalente bassa tonalità musicale, più narrativo che lirico, o la ricorrenza in chiusura di componimento di asserzioni gnomiche di valenza morale). Il primo è l’uso talora ellittico della proposizione, arginata da una severa punteggiatura, dove il verbo è a volte assente o riecheggiato da strofe adiacenti o può essere reso all’infinito:     

«Appollaiati su pali/ al centro della laguna/ o dispersi sui rami/ d’un grosso albero morto.», p. 47

«Seguire le orme/ lasciate nella polvere/ da una coccinella/ dai sette punti», p. 48

 

Va ancora notato come l’arco lessicale sia sobrio e opportunamente calibrato per poter accogliere, senza frizioni e stridori la terminologia di settore, che già pretende attenzione, e come l’Autore solo in rari casi ceda alla tentazione di un’aggettivazione superflua, così che nell’ampiezza della raccolta i testi si mostrano asciutti e governati e mantengono molte delle suggestioni che la narrazione promette. Beppe Mariano, a ragione, sottolinea l’«accresciuta compattezza formale» di quest’ultima raccolta e come fortunatamente alla «precisione scientifica» si accompagni l’«emozione poetica». (Il Saviglianese, 11.3.2017)

Alcuni testi, isolatamente, si fanno particolarmente apprezzare per inventiva, originalità e sensibilità, ma è l’insieme dell’opera – a questo punto direi delle opere, coinvolgendo le precedenti – che merita attenzioni. In questo tempo di dispersione stilistica e disseminazione di poetiche, prendo atto che quella di Sergio Gallo è messaggera di fondamentali istanze.

 Alfredo Rienzi, aprile 2017

 

Poesie tratte da Corvi con la museruola (“Crows with the muzzle on”)

Traduzione di Dario Rivarossa (il Tassista Marino website).

 

Da Pinus cembra(nel millenario bosco dell'Alevè)

 

2.

È il cirmolo all’apparenza

ombroso e impenetrabile,

in realtà un savio dall’indole

mite, dall’esperienza secolare.

Capace di opporre resistenza

a persistenti siccità, a venti

siberiani, piegare i rami

 

sotto il peso di forti nevicate.

Un re dal taumaturgico potere,

il cui legno assai ricercato

al contempo docile e compatto

non conosce corruzione di tarlo.

Ancestrale sciamanico contatto

di prezioso effluvio balsamico…

 

Squame di corteccia resinosa

adagiate sul palmo, tra le dita

il rosario di verde-azzurri aghi

raccolti in fascetti di cinque;

sotto i polpastrelli i noduli

dei germogli ancora silenti

nella quiescenza invernale.

 

Formidabili radici s’innervano

nelle profondità del terreno

al suolo saldamente ancorate;

bramose di sostanze minerali,

di nuove sorprendenti simbiosi.

Barbe di licheni ricoprono i

rami, indice di buona salute.

 

Pinus cembra

 

2.

[…]

A Swiss stone pine appears

shadowy and inscrutable,

actually a sage whose nature

is meek, experience age-long.

Able to offer resistance to

persistent droughts, Siberian

winds, to bend its branches

 

under the weight of snow.

A king with a healing power,

whose wood––in great demand––

easily worked however solid

can ignore the wormʼs decay.

Ancestral shamanistic contact

with a rare balmy exhalation…

 

Scales of resinous rind lying

on your palm, on your fingers

the rosary of blue-green needles

in little bundles of five; under

your fingertips the nodules

of shoots still silent in

their quiescence of winter.

 

Tremendous roots innerved

down in the terrainʼs depths,

strongly anchored to the soil,

they long for minerals

for new surprising symbioses.

Branches covered by lichen

barbs, a sign of good health.

 

 

Flamingo road

 

Tutto mi sarei aspettato

quella tersa mattina di marzo

in via Cappuccini a Milano

che in un sontuoso giardino

tra esplosioni di magnolie

sorprendere immobili

un gruppo di fenicotteri

intenti a sonnecchiare.

 

Il dominante trampoliere

fulmineo capace d’estendere

il lungo e sproporzionato collo

per emettere dal becco curvo

grottesco e possente

uno stridente grido di protesta

come di tromba maldestra

al molesto passaggio d’un aereo.

 

L’intero stormo tra cacofonie

ridestarsi ma invece di prendere il volo

verso ancestrali rotte migratorie,

elegantemente ripiegare il collo

sulla nuvola rosa delle piume

e, celando la testa

sotto le ali color cremisi,

armoniosamente

 

riprendere a dormire.

Così altrettanti

avvezzi alla cattività

vivono incapaci di spiegare le ali.

 

Flamingo Road

 

Anything I expected

in that clear March morning

in Capuchins Street, Milan,

rather than, in a luxurious garden

among magnolia explosions,

catching a motionless

flock of flamingos

devoting themselves to dozing:

 

the imposing stilt-bird

capable of suddenly stretching

its long, disproportionate neck

to utter, out of its curved,

grotesque, powerful beak,

a shrill cry of protest

as with a clumsy trumpet

against one annoying airplane.

 

Lo! the whole flock cacophonically

wakes up, but, instead of taking off

towards ancestral migratory routes,

they elegantly fold their necks

on the rosy cloud of their feathers

and, hiding their heads

under their crimson wings,

harmoniously

 

go back to bye-byes.

As many as them,

accustomed to captivity,

live unable to spread their wings.

 

 

Lepisma saccharina

 

È in quel tuo apparire effimero

veloce lampo argenteo

di notturna creatura

che esposta all'improvvisa luce

fugge in cerca di riparo

 

o nell'argentea tua traccia

di sottili scaglie metalliche

lasciate sulle dita di chi

invano tenta di catturarti;

 

nel continuo inanellare di mute

che accompagnano da neanide

diafana a sfuggente imago

l'intera tua esistenza fragile

 

l'essenza dell'essere lepisma.

 

Quello stesso spirito

che sin dal tardo Siluriano

animava i tuoi illustri antenati,

tra i primi insetti

a colonizzare la terraferma.

 

Con cosa banchetterai oggi

zigzagando tra i detriti:

farina, forfora o francobolli?

Scaglie di pelle, fibre d'arazzi

rilegature di libri polverosi?

 

Avrai per dessert colla

a strati, inusitati

carboidrati o la tua stessa

dismessa esuvia?

 

È in quella strana danza d'amore

per attirare le femmine fino

al sericeo bozzolo di sperma,

la tua vita oltre la vita,

la tua vita oltre la morte.

 

Fuggendo ragni, millepiedi, forficule

a differenza d'estinte lucciole, cervi

volanti, sempre più rari lepidotteri... tu sì

che ci sopravviverai, insieme forse

a qualche robusto ratto delle cloache.

 

Silverfish

 

In appearing ephemeral

swift silvery flash

of a daughter of night

who suddenly enlightened

flees for a shelter

 

or in that silver strip

of thin metallic scales

left on the fingers that

tried to catch you, in vain;

 

in that chain of moults

that - from diaphanous neanis

to shifty imago - accompany

the whole of your frail life

 

is the essence of silverfishness:

 

the very same spirit

that from late Silurian

animated your great ancestors,

insects among the first

who colonized dry land.

 

What about your banquet today

zigzagging among debris:

flour, dandruff, post stamps?

Skin scales, tapestry fibres,

the binding of dusty books?

 

And, your dessert? Layer

glue or, just for a change,

carbohydrates or your

own cast-off exuviae?

 

In that strange love dance

to attract females towards

your silky sperm cocoon

lies your life beyond life

your life beyond death.

 

By escaping spiders earwigs millipedes -

unlike extinguished fireflies, stag-beetles,

rarer and rarer butterflies - you will

survive us, perhaps together with

a bunch of brawny sewer rats.

 

 

Gli amanti di Valdaro

 

Vi è un segreto tra gli amanti che non è possibile spiegare.

Né la penna né le parole lo hanno raccontato alle creature

As-Sulamî da Introduzione al Sufismo

 

Stimmi di zafferano

color sangue di bue

rosso oro dall’odor di miele

che solo delicate esperte mani

all’alba sanno raccogliere

e finemente lavorare…

 

Così di rubino le imenee strie

miste a rugiada di sudore

tra i corpi albini

parevano brillare

e sugli acerbi organi sessuali.

Lei dolce gli sorrise

ai primi raggi di luce,

la nuca carezzandogli.

 

Così mi piace immaginarli

e nel museo di Mantova

i loro scheletri politi

ancora poter ammirare:

da seimila anni giacciono

teneramente aggomitolati.

 

La zolla che li accoglie

al contempo è alcova

e neolitica tomba.

Sepolti nella necropoli

uno di fronte all’altra

 

le gambe intrecciate e raccolte

in posizione fetale; le mani

di lei sulle di lui spalle,

quelle di lui sul collo di lei

in un abbraccio eterno e mortale.

 

Mistero su cosa li abbia uccisi

se freddo, fame, malattia

o una morte volontaria

per astio, atto sacrificale

dissidi tra clan rivali, parole

sprezzanti come punte di silice.

 

Primevi Romeo e Giulietta

in un’epoca negletta,

avida di simboli d’amore

per noi vigliacchi e sensibili

ora riportati alla luce.

 

The Valdaro Lovers

 

Saffron stigmas

ox-blood-colored

red gold, smelling honey,

that only skilled gentle hands

can gather at daybreak

and work delicately…

 

So the ruby hymen stripes

mixed with a sweat dew

between their albino bodies

seemed to shine––on

their immature sex organs.

She sweetly smiled to him

in the first light rays while

caressing his nape.

 

This way envisaging them,

in that Mantuan museum

their polished skeletons

I still succeed in observing,

for six thousand years lying

tenderly curled up.

 

The clump containing both

is the alcove and at the same

time the Neolithic tomb.

In the necropolis buried

in front of each other

 

their legs intertwined folded

in fetal position, her hands

resting on his shoulders

his hands on her neck for

an eternal death embrace.

 

A riddle, what killed them

whether cold, hunger, illness

or a voluntary death out of

hate, a sacrificial action,

wars between clans, words

as sharp as the flint points.

 

Primordial Romeo and Juliet

of a forgotten era

longing for love symbols,

for us cowardly and sensible

brought back to light.

 


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