Pubblicato il 06/04/2024 08:33:09
I luoghi dei labirinti
I labirinti sono affollatissime vie. Sono luoghi d’incontri e prigionie. I labirinti sono nodi insolubili allegorie dei più profondi affetti.
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Chi mi venne in sogno stanotte sapendo che ero sul punto di morire? Cercò di salvarmi ma le mani ricadevano e il corpo riprendeva la postura della vita nel grembo. Gemeva il gomitolo – come per nascere – gemeva. Il filo nascosto che mi avrebbe tirato via da quell’inferno non fu mai trovato.
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Mi sono assentata. Sono stata – anche per me stessa – introvabile. E non chiedermi dove sono stata. – Non lo so – Neppure adesso che cerco di capire come fa l’anima a smarrirsi. È il castigo dei labirinti il contrappasso dell’amore smisurato per la vita – il confino negli abissi –
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Tutto è cominciato col dover andare nel buio. Un ammaestramento a discernere nel nulla un cammino possibile. L’Anima ha passi pesanti – porta in salvo un bambino tra le braccia – L’Anima è femmina e conosce il parto. L’Anima è piena di pesi perciò sprofonda – pur avendo ali –
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Ti avrò percorso come una pianura dalla paura inseguita o appena da lei scampata. Non avrò dolore del ritorno non avrò pensiero. Il tragico è la follia che non vede il suo principio.
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Destarsi nello stupore che altra vita è il sonno – più dolorosa e senza pace – Non riposa nel buio la stanchezza ma per una strana bizzarria a quella aggiunge altra fatica. Ed è come avere il doppio degli anni costringere il cuore al saliscendi di muri a picco sul mondo allenarsi a immaginare che cadere oltre può essere infine una fine migliore.
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A chi hai dato ragione che non sa nulla delle nostre pene? Quale notte contiene tutte le albe promesse? Anch’esse furono recluse ed è passato il tempo di nascere. L’orrore narrato / più di chi lo vive ferisce fino all’osso. Ciò che sfinisce è lo sfioramento del dubbio che sia la barbarie a cessare prima della vita.
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Così profondamente / o più lieve come una foglia erosa la cui filigrana in trasparenza d’un gioiello costoso evoca la foggia. Come una pioggia leggera o certi veli di sposa tale e impalpabile cala la tristezza. Ed io vorrei a volte essermi madre darmi una carezza / smettere il rifiuto di un’attenzione / un gesto e persino di una bella parola sentire sul capo come un peso.
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Di una gentilezza quasi colpevole del suo sembrare sentire su le antenne di chiocciola come una carezza e ridursi nel guscio ché un gesto amorevole può a volte anche spaventare – o semplicemente – deve farsi avvezzo il cuore a un altro modo di amare.
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Dei gerani ridotti a scheletri piegati alcuni restano vivi e stretti alla lanterna forata che manda dal fregio luce arabescata. Una ciocca di fiori quasi schiusi un verde illuminato un’isola estiva il crudo inverno sfoggia come non avesse le altre piante ucciso e fosse gloria sua quel piccolo miraggio. Così agli umani basta uno sguardo luminoso un sorriso a fugare il sapere doloroso d’essere sospesi al caso.
~52~
Che nessuno si ricordi / di questa porta. Una cosa / anche / vuole star sola non cigolare più non vedersi attraversata lasciare imbrunire la maniglia restituire passaggi lavare impronte con la polvere che ha bendato il respiro accecato in bocca le parole che avremmo potuto ancora dire
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