
Nei mattini ignari d’esser luce, l’occhio al cielo,
cercherò oltre le nubi il tuo pensiero,
un sempreverde che mai saprà
del rosso ed il marrone di sentieri
cosparsi dalla pioggia di foglie espulse dai rami.
Quel tuo verde m’assomiglia
m’incendia le pupille
quando sconfiggono l’opaco velo del grigio,
sceso provvidenziale a celarti lacrime amare
di stagioni mai vissute.
Annovero così le perdite subite
rimembro la magra di carezze e baci
un disegno in bianco e nero
incollato alla finestra e rievoco
le primavere esplose nelle sere
d’un tempo nostro,
intorno il fruscio
di tende danzanti
innalzate a baluardo,
il desiderio cresciuto
com’erba selvaggia sui rovi
le spine benedette
le promesse del gregge
mesto all’ovile, dopo il verde pascolo.
Nelle notti buie ho implorato
copiosa la manna dal tuo cielo
e atteso profumo di zagare
il sangue dei papaveri
mature vendemmie
castagne ridenti
l’olivo della pace.
Corsi e ricorsi,
tramonti ripetuti di fuoco e cenere
e ancora quei mattini ignari d’esser luce.
Gorgheggi sui rami, l’upupa, chissà dove…
unica certezza il suo sillabare,
un grido di rondini in un cielo indeciso.
E il tuo pensiero come un vessillo
una vela in mare aperto
un’ala distratta all’orizzonte
ed il vento gravido di gelsomino in fiore
ad inebriarmi il cammino.
E il tuo pensiero come un’ombra
ad accarezzare i miei occhi chiusi
sulla luce che non ho visto
sulla luce che ho inseguito
quando dentro m’abitava,
sulla luce dei miei giorni ignari d’esser luce.
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