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’Nerolio’ - Appunti su un film sbagliato

Argomento: Cinema

di Emanuele Di Marco
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Pubblicato il 23/12/2008 12:40:54

Non è mia intenzione proporre una recensione vera e propria di questo film di Aurelio Grimaldi del 1996, approdato brevemente ma con un certo scalpore nelle sale solo nel 1998, e poi guardato con una diffidenza intrisa di curiosità da molti degli affezionati di Pasolini: la stessa, grande e scontrosa, Laura Betti che professò che non sarebbe mai andata a vederlo, poi ne parlò, a mio avviso, troppo circostanziatamente, e forse aveva ceduto alla curiosità.
Avrei, invece, l'intenzione di offrire un contributo differente; diciamo che vorrei andare più sul personale e raccontare quale tipo di “trauma” abbia rappresentato per un amante dell’opera e dell’esperienza vitale di Pier Paolo Pasolini, la visione di questo film.

Solo qualche coordinata, dunque. “Nerolio” si compone abbastanza evidentemente di tre parti: la prima, e più ispirata, è ambientata a Siracusa, dove un intellettuale omosessuale mai nominato, ma in cui sarebbe semplicemente sciocco non riconoscere Pasolini, anche per la vaga ma significativa somiglianza di questi con l’attore Cavicchioli, ha dei rapporti sessuali con un gruppo di ragazzi sottoproletari che ad uno ad uno entrano nella sua auto, secondo lo schema fin troppo esplicito de “Il pratone della Casilina” di “Petrolio”, il romanzo postumo dell’intellettuale friulano; la seconda a Roma, in cui un Pasolini assurdamente eccessivo, arrogante e megalomane se la prende un pò con chiunque gli capiti a tiro, quasi facendo del prossimo il capro espiatorio di un fallimento artistico personale che sa ma non ammette: l’episodio è coronato dalla sodomia imposta ad un giovane e cinico scrittore in cambio dell’aiuto ad essere pubblicato; nel terzo episodio Grimaldi offre la sua versione dei fatti dell’Idroscalo di Ostia, luogo in cui un Pasolini particolarmente sgradevole e diremmo quasi cattivo, provoca Pelosi fino a farsi uccidere dal ragazzo. Prima dei titoli di coda, breve intervento di una voce fuori campo che propone impietose recensioni al film postumo “Salò” quasi a confermare che l’artista massacrato in mezzo alle baracche in riva al mare fosse, comunque, finito.

Non a caso il sottotitolo di “Nerolio” è “Sputerò su mio padre” (titolo di una pièce teatrale di Grimaldi stesso, adattata per l’occasione): e l’impressione è davvero quella che il regista abbia voluto “sputare” su Pasolini, un “padre”, un maestro, che Grimaldi non è mai riuscito ad avvicinare né per ispirazione né per risultati artistici e che, dunque, aveva bisogno di infangare e dissacrare per superare la propria impasse di figlio “inetto”.
A onor del vero, va detto che proprio alla luce di questa visione a chiave, Pasolini “padre” è, in fondo, anche amato da Grimaldi “figlio” che, in alcuni passaggi della pellicola, lo tratteggia con accenti di misurata e tragica poesia.
Ciò avviene soprattutto (o, forse, solo) nel primo episodio del film, mentre nei successivi due ha molto più spazio la vendetta artistica, la consumazione del “parricidio”.

Per me la visione del film ha rappresentato un’immersione dolorosa in una realtà parallela in cui ho visto un Pasolini odioso, cinico, rancoroso, inutilmente triviale nel modo di parlare, che non è mai esistito, se non nell’immaginazione di Grimaldi. Ma, accidenti!, il Pasolini dello schermo assomiglia fisicamente a quello vero e, a volte, sembra agire e parlare come lui ha agito e parlato: è indubbio che si innesti un corto circuito fra vero e verosimile e che Grimaldi sia abile, magari inconsciamente, nel fuorviare, anche tramite un uso intelligente di finti inserti pseudo-documentaristici (interviste, recensioni di giornali ecc…)
Insomma, l’immagine di Pier Paolo proposta è tentatrice e fa, comunque, riflettere; è capace di fermare per un attimo lo spettatore a chiedersi, con un pò di sgomento: “può essere stato, magari in parte, davvero così?”
Ma la nota stonata la si sente da subito e poi sempre più forte e netta, fino a che a stonare e risultare falsa è tutta la musica: e la risalita da questo “inferno” fasullo è rinfrancante, fortificante. No, quello sullo schermo non è Pier Paolo, non si discute, solo uno che gli assomiglia. L’effetto di questa scoperta è simile a quando ti sembra di vedere da lontano il tuo amore, per la strada, mano nella mano con un altro, fra le sue braccia, e pensi “non è possibile” e ti avvicini di corsa fremente di rabbia e sospetto, col cuore in gola; affretti il passo verso di loro, per poi scoprire con sollievo (“scemo che sono!”) che no, non è lei (o lui), sì i suoi capelli sono dello stesso colore, l’ovale del viso somiglia vagamente, veste alla stessa maniera, ma no, è un'altra persona, come hai potuto dubitare. E magari lo chiami immediatamente il tuo amore, per dirgli che gli vuoi più bene che mai…

Ecco, noi “conosciamo” Pier Paolo (a differenza di Grimaldi): un uomo, sì, a volte ombroso e schivo, soprattutto nei suoi ultimi anni, pronto alla reazione civile anche appassionata e forte di fronte alle follie di una società (quella italiana e non solo) che gli si sfaldava letteralmente dinanzi agli occhi; ma profondamente mite e incapace di violenza fisica e morale, inadatto per natura e, anzi, orripilato da ogni sorta di ricatto e menzogna.
Qui fallisce in maniera plateale “Nerolio”, nel suo obbiettivo principale: il film è incapace di restituire non solo l’immagine vera di Pasolini, ma anche solamente quella di un protagonista credibile. Eccessivo è, prima di tutto, il personaggio principale di Grimaldi: è un esteta da macchietta, un megalomane privo di talento, un odioso, spocchioso intellettualoide borghese che sfrutta fino all’osso il suo prestigio per ricattare chi gli sta di fronte. Fino al ricatto finale, quello al simil-Pelosi che reagisce alla violenza con la violenza e lo uccide.
Francamente, pur con tutto quello che di consonante c’è fra il sentire di Grimaldi e la sensibilità pasoliniana (la scelta delle musiche, la fotografia “frontale” con la sua attenzione ai primi piani, il buon bianco e nero credibile, alcune finte citazioni che aderiscono al pensiero di Pier Paolo, la discreta resa del suo eros sottoproletario e disperato, il, tutto sommato, riuscito primo episodio) la libertà che si è concessa il regista è eccessiva e, per questo, irriguardosa e offensiva del giusto e vero ricordo di Pasolini. E che Grimaldi dica ”questo è il mio Pasolini” non basta assolutamente.

Ma, se potete, se riuscite a trovarlo, magari in videoteca, guardate “Nerolio”. Se c’è una cosa (e certo non è una sola) che Pier Paolo ci ha insegnato è di non scandalizzarsi mai, di non aver timore di fronte a nulla, di guardare tutta la realtà dritta negli occhi, anche quella che non ci piace, che ci ripugna, che ci adira. E dopo, ma solo dopo, a reagire, anche con sdegno, magari con sacro furore, con ardore.

Il Mereghetti, il più noto e autorevole dizionario del film dice di “Nerolio”: << […] un film che solleva più domande di quelle cui può rispondere>>. Il problema è che sono tutte domande sbagliate.

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