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Morire d’odio. (Ipotesi)

di Bianca Fasano
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Pubblicato il 12/07/2019 14:23:10

IPOTESI Il mio racconto “Morire d’odio”, è stato ispirato dalla consapevolezza che, benché sia necessario punire un colpevole, ancora più importante sia non porre in carcere un innocente. Non si riporta un caso soltanto in cui la vittima “sia scomparsa” e mai ritrovata, malgrado le ricerche. In America secondo l'Fbi nel solo 2012 i casi di missing sono stati oltre seicentomila, poco meno di 500mila sono ragazzi sotto i 18 anni. In Italia “abbiamo fatto l’abitudine” agli assassini che non confessano il loro delitto, malgrado ogni pressione o prova possibile ed anche agli omicidi in cui la vittima scompare misteriosamente ed il cui cadavere, prova certa del delitto, non viene mai trovato. In alcuni casi “il colpevole” è posto sotto inchiesta e, in seguito, con alterne e lunghe vicissitudini legali, anche, condannato. Benché continui a professarsi innocente dell’omicidio di una persona che non viene mai ritrovata né viva né morta. Se il corpo non c’è e l’omicida (o presunto tale), non confessa, si ha un bel dire che in carcere sia finito il colpevole: il dubbio resta. Da questo dubbio, senza alcun riferimento di realtà rispetto a casi che l’opinione pubblica sta discutendo in questi anni, è nato il mio racconto “Morire d’odio”. La vittima “muore d’odio”. Muore, spesso, perché non fugge. Non fa come la lucertola che, pur di salvarsi, lascia la propria coda nelle “zampe” del nemico. La vittima, solitamente, muore perché non accetta la verità. Vuole restare al suo posto. Ha mille ragioni per farlo, però una sola per andarsene: il rischio di andarsene per sempre. Il mio consiglio, dunque è la fuga. Qualsiasi cosa ci si lasci alle spalle, c’è modo di riconquistarla, vivendo, oppure ricostruire. Da morti non c’è più speranza. Buona lettura. MORIRE DI ODIO. Elisa ci aveva provato. Davvero, ci aveva provato. Fosse soltanto per non lasciare i figli. Lui, però, glielo aveva detto più volte: “Posso aiutarti. Prima ti togli da quella situazione impossibile, poi ti riprendi la tua vita altrove e infine ti riprendi anche i bambini”- Ma non era facile. Intanto vedeva il marito sempre più impazzito per l’altra e faticava a fingere di non sapere chi fosse la ragazza che intendeva distruggere la sua famiglia. Poi era accaduto quello strano fatto di cui aveva parlato anche ad una amica. Una banale caduta dalle scale, senza alcun danno. Scendevano assieme da quella soffitta dove lui si rintanava per ore privo di nessuna ragione apparente, finché lei aveva capito che davvero lui amava un’altra e con lei parlava al cellulare per ore. Aveva anche intuito di chi si trattasse. Dopo l’incidente si era chiesta se fosse stata davvero involontaria la spinta che l’aveva fatta cadere, oppure lui, inconsciamente, sperasse che lei battesse il capo e morisse? Intanto Gianluca, con cui si sentiva (nascostamente), continuava a ripeterle: -“Scappa. Finirà per ucciderti. Non ti dico di lasciarlo e venire a vivere con me per sempre, lo so che ci sono i bambini, però dovresti allontanarti il tempo di riprendere il controllo, poi decidi. Chissà che vedendoti fuggita non rinsavisca e lasci l’altra.”- L’aveva conosciuto come ospite dell’albergo e avevano preso a parlare. Sta di fatto che si tende a raccontare la propria vita più ad un estraneo che agli amici. Si erano tenuti in contatto e lui le aveva suggerito di andare via di casa. Che l’avrebbe aiutata. Non perché volesse vivere con lei. Soltanto per amicizia. Da tempo aveva cominciato davvero a pensarci, ad un piano che, nondimeno, doveva avere il merito di far passare un brutto periodo al marito. Insomma, sì, sarebbe scomparsa, in ogni caso facendo in modo che nulla lo facesse ritenere possibile. Doveva risultare allontanatasi di corsa, in pigiama, con le pantofole, lasciando tutto a casa, ma proprio tutto. Doveva fare sì che al marito di quel suo spontaneo allontanarsi nessuno potesse credere, quando fosse andato alla polizia a denunciare la sua scomparsa. Neppure uno doveva prestargli fede e, invece, dovevano pensare ad un delitto, con occultamento di cadavere. Non riteneva che davvero lo credessero un omicida, visto che il suo corpo non si sarebbe trovato. Tuttavia non era facile. Possibile, non facile. Aveva cominciato da quasi un anno ad organizzare la sua partenza nei minimi particolari, con l’intenzione di lasciare indizi della colpevolezza di quell’uomo che la tradiva da anni sotto il suo naso. Gli aveva scritto lettere in cui gli chiedeva ragione del distacco sentimentale, aveva pronunciato agli amici, alle amiche, frasi in cui precisava che mai e poi mai si sarebbe allontanata dai figli. Davvero mai l’avrebbe fatto: sarebbe ritornata, più forte, con l’aiuto di un legale, dopo che il marito fosse stato messo sotto accusa per la sua sparizione. Voleva vederlo soffrire come un cane per il male che le aveva fatto. Chissà se quella sgualdrinella acchiappa mariti gli sarebbe stata vicina anche quando avesse rischiato di trovarsi inserita in una accusa di omicidio. Infine, continuava a ripetersi, lui non rischiava nulla, vista la mancanza del «corpo del reato», Dato che era lei a gestire il denaro dell’albergo dove tutta la sua famiglia lavorava ed era sempre lei a tenere i conti di cassa e lasciare il necessario per le spese (pagando personalmente i fornitori e quanti vi lavoravano), niente di più facile che mettere da parte del denaro. Non somme evidenti, ma tali che nel giro di un anno le sarebbero bastati per la fuga. Il suo amico poi l’avrebbe aiutata. Chiaramente, per fare sì che non si potesse pensare ad una fuga (però le dispiaceva per i ragazzi. Troppo piccoli per informarli: avrebbero detto tutto al padre), doveva lasciare tutti i vestiti appesi nell’armadio e allontanarsi, d’inverno, in pigiama e ciabatte. Come fare l’aveva capito: sotto gli occhi del figlio che l’osservava, aveva messo degli abiti invernali, compreso un giaccone pesante di pelle e le scarpe, in varie buste, precisando che doveva portarle in chiesa per i poveri. Invece il tutto era stato nascosto tra le mura diroccate di un vecchio locale abbandonato, in prossimità della strada che avrebbe dovuto raggiungere per entrare nell’auto che l’avrebbe attesa, L’idea era semplice: allontanarsi dopo che il marito fosse salito in camera, facendo credere di restare alzata allo scopo di scrivere la lista della spesa per il giorno dopo o qualsiasi altra idiozia: Lui non ci avrebbe fatto caso: non vedeva l’ora di lasciarla e dedicare quel tempo a qualche telefonata dal cellulare. Nell’allontanarsi, naturalmente, non avrebbe dovuto chiudere la porta d’ingresso e, invece, tirarsela dietro soltanto. Aveva pronta una borsa piccola, con il denaro e la copia fotostatica di un documento d’identità. Separarsi? Dividersi? A lui non conveniva: erano in comunione di beni e l’albergo era a nome di lei, per cui se si fossero separati lui avrebbero perso tutto. Ecco perché non la lasciava. Lei, invece, era decisa a salvare la famiglia. La fuga sarebbe stata momentanea. Dovevano restare assieme dopo il suo ritorno a sorpresa e anche al marito avrebbe fatto comodo scagionarsi dalle accuse. Il perché della fuga? Dove si era nascosta? Beh: qualcosa si sarebbe inventata. Intanto, dopo la caduta dalle scale, aveva come un senso di spossatezza, persino la sensazione di cominciare a compiere un gesto e non ricordare più quale fosse. Lo aveva notato anche il marito che, preoccupato, si ostinava a volerle prenotare una visita ospedaliera. Però per il resto aveva le idee chiare: in effetti doveva prendere per i campi, perché si perdessero le proprie tracce, compiendo un percorso che già aveva provato più volte allo scopo, poi, di ritornare più avanti dell’abitazione, sulla strada principale, per entrare in auto, laddove, con calma, si sarebbe cambiata. La notte in cui decise davvero di allontanarsi le cose andarono proprio come previsto. Vero: faceva freddo e camminare attraverso i campi antistanti la villetta dove viveva con la famiglia, a pochi metri dal ristorante, non fu facile in pieno gennaio. Ebbe la sensazione, nel farlo, che una persona passata in bicicletta l’avesse vista, però chissà se sarebbe stata presa sul serio nel corso delle indagini! Altri forse, in altre occasioni, in paese l’aveva vista parlare con lui, che l’aspettava a circa 600 metri da casa, in auto, pronto a portarla fuori d’Italia appena si fosse decisa al grande passo, giusto per il tempo che le occorreva. Se pure l’avessero vista non si trattava altro che di chiacchiere. Soltanto chiacchiere. Forse sarebbero state utili al marito per discolparsi dall’averla uccisa. Appena ritrovati i panni, nel buio, dopo pochi metri si infilò sul sedile di dietro, nell’auto che l’aspettava, senza scambiare neanche una parola con il guidatore e indossò panni più caldi. Pensò ai figli, cui aveva dato il bacio della buonanotte (si sentiva davvero triste per doverli lasciare), ma era certa che li avrebbe rivisti presto. Odiava quel marito infedele e che forse l’avrebbe voluta morta. Lui l’odiava. Non aveva altro da fare. Fosse per lo stress o anche per il tepore improvviso dell’abitacolo, si addormentò. Il guidatore la lasciò dormire. Si svegliò che era l’alba, mentre si dirigevano verso un paesino della Francia, dove lui aveva un appartamento. Sarebbe stato un viaggio lungo, però era previsto che si fermassero più volte per strada, cercando di non farsi notare, ma dopo essersi allontanati di molto dai luoghi in cui avrebbero potuto riconoscerla. In Francia, difatti vi arrivò: anni dopo la sua scomparsa qualcuno, che abitava in un sobborgo di Parigi, avrebbe sostenuto, senza essere preso troppo sul serio, di averla incontrata assieme ad un uomo, asserendo che fosse proprio lei, che l’aveva riconosciuta dallo sguardo. Anni dopo. In realtà le cose però non erano andate come si aspettava. Quei giramenti di testa, quei vuoti di memoria, si erano trasformati nei giorni seguenti alla fuga in un mal di testa che aveva costretto l’amico a ricoverarla in una clinica, sotto altro nome. L’aveva presentata come sua moglie e, visto che, intanto, in Italia, le cose si erano messe davvero male per il marito di lei, non volendo rischiare di trovarsi impicciato in quel fatto giudiziario, lui strappò l’unica cosa che poteva farla riconoscere: la fotocopia del documento d’identità. In effetti la donna aveva subito un lieve trauma cranico nella caduta dalle scale. Il cervello aveva ricevuto un danno, anche in assenza di fratture gravi, per un coagulo di sangue. Difatti, dopo il ricovero, la donna cominciò ad avere difficoltà nel formulare frasi di senso compiuto e sembrò colpita da amnesia. Cadde in un lieve stato di coma. Al momento in cui gli esami rilevarono un’emorragia interna alla calotta cranica, che si era lentamente andata formando nel tempo, si rese indispensabile intervenire chirurgicamente per evitare che l’aumento della pressione intracranica, potesse causare danni permanenti. Lui, durante e dopo l’operazione le restò accanto mentre veniva costantemente monitorata nelle ore e nei giorni successivi. Ci vollero mesi perché si riprendesse, rischiò di morire, tuttavia poi migliorò. Quando la condusse a casa propria, lei sembrava un’altra. Si guardava intorno smarrita, senza comprendere bene chi fosse lui (e lui le disse di essere il marito), finché, molto lentamente, prese a vivere una vita quasi normale. Appena stette meglio trovò piacevole curare il giardino, poi cominciò ad uscire nel piccolo centro dove abitavano, sorridendo a tutti. Si presentava con il cognome del compagno e lui fece bene attenzione a non farle giungere notizie dall’Italia. In effetti cosa poteva interessargli di quanto andava capitando al vero marito di lei? Rischiava la galera per omicidio? Se l’era voluta. Certamente lei, per la caduta, senza le sue cure sarebbe morta. Intanto in Italia, si cercava un cadavere occultato. Bene. Lasciamo che si creda così. Si diceva lui. In effetti la moglie di quell’uomo era davvero morta: morta d’odio. Bianca Fasano Moriniello Disponibile in ebook gratuito sul web.


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