L’intellettuale moderno non è un intelle(a)ttuale,
non acquista i volumi a cui collabora,
disprezza ogni forma di auto-finanziamento,
maneggia denaro scontento (se non sia un versamento);
tra il dire e il fare c’è di mezzo un finanziatore,
tutti intellettuali del dire, niente da fare,
nessun intellettuale del fare, niente da dire,
tutti intellettuali a giocare ai ricchioni
col buco del culo di accaniti anfitrioni.
La casa editrice non è casa di proprietà,
è casa in affitto, in cui all’inquietante inquilino
conviene rubar le finestre e bucare il soffitto
in base al diritto d’autore, si crede umanista integrale,
mantenuto come un cane, sotto il tavolo, a tentar di arraffare,
come se due testi del cazzo scritti in cinque minuti
fossero onesto cambio a ogni rischio editoriale.
Presto avverrà il saldo di fine stagione,
l’importante è non fare saldi nel burrone,
in un’Italia stramazzata dalla T.a.r.e.s,
finta repubblica, senz’ombra di res,
col pubblico attaccato alla canna del gas,
autori imbecilli, che vi sentite Dumas,
fallita ogni forma di microeditoria sotto i colpi dell’Imu,
inquilini di case fallite, come co-intestatari,
vi divertirete a subire la T.a.r.i,
e saran cazzi amari.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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