In attesa nel Vercors
Chino il capo alla dimora del vento,
le mie mani inabili
sperdono scaglie di tabacco
sul tavolo lustro di mogano nero.
Fragore lontano di un’acqua amica,
il torrente nella piena del disgelo.
Un velo mi separa dalle foglie sorelle,
l’anta sbatte ribelle.
Le margherite appassite
ergono ancora timide corolle
tra il loglio e l’erba secca.
Il trifoglio si ostina a rinascere pulito.
Svanito è il sole tra nubi cocciute e nere.
Nelle assolute distese del tempo
chino ancora il capo,
e nel frattempo rinuncio a sperdermi,
mentre l’acqua canta
e la nube diventa birichina
mi dona una lamella di sole,
mi sprona,
le querciole e il camedrio
svettano virgulti audaci
nella pace del fosso.
Il tordo non si è mosso,
rimane fiero sul ramo che oscilla.
Una scintilla riduce in briciole
il poliedrico paesaggio di foglie.
Sono giunta fin qui,
lascio nel verde spargersi i pensieri,
dissolversi al canto del ruscello.
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