La Solitudine e la Croce
La solitudine vera non è quel che si crede. Essa è un bene raro. Come la verità - pensò - rappresenta una conquista in perenne movimento e non può essere data una volta per tutte.
Quella del mistico in realtà è un’astrazione, un esser-fuori-di-sé, mentre invece la solitudine che intendeva lei dovrebbe essere lo stato di perfetta aderenza all’IO, come quella del Cristo che diventa una sola cosa con la Croce a cui è inchiodato. Per essere solo, in primo luogo devi esserci, come singolo: un'individualità inscritta direttamente nella propria condizione esistenziale.
Ma si è mai veramente soli? La solitudine perfetta e immutabile è forse solo quella dell’opera, essa è come la Croce per il Cristo, qualcosa che assimila a sé ciò che vi si affida, fino a diventarne la verità, riconoscibile per sempre, nella assoluta autonomia del simbolo. Come la Croce non ha più bisogno del Cristo per parlare in Suo nome, l’opera diviene la voce stessa del suo Autore, ne assume e ne riassume il punto di vista. E lo dilata, fino a farne uno dei tanti piccoli specchi in cui l’umana esistenza potrà sempre scorgere un frammento della sua imprendibile realtà.
Sospirò... La sua era una tensione originaria verso il proprio centro più profondo e inaccessibile. E tuttavia era altrettanto originariamente segnata dalla contraddittorietà, perché percorsa da “momenti” di tensioni opposte, verso il contatto e la comunicazione con l'esterno, con ciò che non era lei stessa. Oppure l’atteggiamento del ritrarsi era la conseguenza psico-logica di una precocissima intuizione dell’impossibilità di uno scambio autentico? Perché le era preclusa la via di un equilibrio verso le due modalità di esistenza? Se l’uomo è un compromesso incarnato tra animalità e divinità perché a taluni sembrava negata la possibilità dell’adattamento alla virtuosa “via di mezzo”?
(24/12/94)
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