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I ragazzi hanno grandi sogni

Romanzo

Alì Ehsani e Francesco Casolo
Feltrinelli

Recensione di Carla de Falco
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Pubblicato il 30/04/2021 12:00:00

 

C’è una linea mobile e sanguinante come una ferita non rimarginata, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord e il Sud del mondo. È sul margine di questa ferita che si disputa il grande gioco del mondo contemporaneo. Ce lo ha insegnato, meglio di altri, Alessandro Leogrande.

 

Nel libro di cui parliamo oggi, si narra la storia di un piccolo eroe che l’ha passata la sua frontiera e una volta arrivato ha dovuto misurarsi con la più dura verità: il viaggio non termina quasi mai alla meta. La meta è, semmai, un nuovo inizio.

 

Se infatti “Stanotte guardiamo le stelle”, primo libro di Alì Ehsani, è il racconto del viaggio da Kabul fino a Roma, “I ragazzi hanno grandi sogni” è invece il romanzo dell’approdo, la testimonianza di come il vero viaggio sia cominciato proprio con l’arrivo.

  

La storia di Alì Ehsani, diversa per molti aspetti rispetto a quelle già tanto raccontate (e penso - giusto per citarne alcuni - a Nel mare ci sono i coccodrilli, I pesci devono nuotare e Non dirmi che hai paura) a cominciare dal fatto che non è un itinerario di migrazione via mare, ma via terra.  Nasce lontano, Alì, in Afghanistan, in un villaggio vicino a Kabul, raso al suolo da bombardamenti che lo rendono precocemente orfano di una famiglia cristiana, in un paese in cui non esistono chiese con crocifissi. Determinati a scappare per anni, liberi come uccelli da ogni legame e costretti alla migrazione dal vento nero della guerra, Alì e il fratello Moahmmad, esuli, attraversano settemila chilometri. Loro meta è l’Europa. Solo Alì  però arriva in Italia, aggrappato disperatamente sotto un camion, dopo avere rischiato di finire sotto le ruote. Nel viaggio ha perso il fratello (la storia è raccontata anche in un cortometraggio molto bello e pluripremiato, Baradar, che di questa storia mostra per immagini un prequel - guardalo su Rayplay: www.raiplay.it/programmi/baradar), ma è andato avanti con la fede, con la determinazione e i sacrifici.

È disorientato e stravolto, Alì, ma non demorde. Ha alle spalle la fatica di un viaggio lungo e doloroso. Per anni ha camminato nel deserto e si è arrampicato sulle montagne, si è nascosto sui tetti dei furgoni e nei cassoni dei camion, è stato più volte derubato, minacciato, imprigionato. Ha assistito a torture atroci passando per Turchia, Pakistan e Iran. Non saranno certo le difficoltà italiane a fermarlo. Benché abbia poco più di 13 anni Alì, quando arriva in Italia dorme all’aperto alla Stazione ferroviaria. Dopo viene accolto in una casa famiglia e poi alla Città dei ragazzi di Roma, dove impara l’italiano e pratica diversi mestieri.

 

Importanti, a mio avviso, due aspetti della vicenda: l’amore per il sapere, l’incontro con la scuola e il rapporto con il professor Eraldo Affinati (che ha raccontato anche la sua vicenda nel libro La città dei ragazzi), divenuto per Alì un punto di riferimento; l’altro aspetto è l’intima e tenace convinzione di questo ragazzino che spiazza ogni qualunquismo anche del lettore più cinico: nulla è indifferente ad Alì, mai. Fa differenza scegliere la legalità o scavalcarla, credere nella giustizia o farsela da soli, essere leali o barare. E Alì sa sempre cosa scegliere. Anche quando gli costa tanto. La sua storia finisce bene, ma non senza testimoniare e denunciare la terribile e drammatica situazione dei minori migranti, dei loro rocamboleschi viaggi, della loro difficile inclusione in Occidente.

 

La pratica della letteratura ci ha insegnato a individuare un oggetto del desiderio nella ricerca che il protagonista di ogni romanzo compie. Ecco, il giovane Alì - alla frontiera anche tra l’infanzia e l’adolescenza - cerca incessantemente il coraggio di farsi attraversare dalla vita, divenendo così simbolo di tanti minori migranti che hanno lottato perché venissero riconosciuti i loro più elementari diritti umani. In fondo, Alì è alter ego dell’Ulisse che è in ogni uomo, a Oriente come a Occidente, e che, a qualsiasi latitudine, cerca la libertà e crede nella vita.

 


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