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Enfants d’Afrique

Narrativa

Serena Stefani
Edizioni Joker

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 09/10/2009 17:47:00



Enfants d’Afrique è edito dalle edizioni Joker nella collana di testi teatrali Panopticon, edizione italiana e francese, la traduzione in francese è di Monique Baccelli; introduce il testo la bella prefazione di Giuseppe Panella. I personaggi della vicenda sono presentati divisi in due gruppi: Bianchi e Neri. Ancora oggi il colore della pelle può modificare il destino delle persone, potenza del colore.
Da una parte l’Europa dall’altra l’Africa. La bianca Emmanuelle Krus è ancora innamorata di Loums Eto’o, incontrato in una parentesi europea di quest’ultimo, ma sia Emmanuelle che Loums hanno, rispettivamente, marito e moglie delle proprie terre, dei loro stessi colori, bianco l’uno nera l’altra. La vicenda si svolge, come la Stefani scrive in apertura del testo, in un paese dell’Africa, in un oggi senza tempo. Loums ha un progetto da sviluppare nel suo paese, dall’Europa arrivano dei finanziatori, c’è una festa in attesa dell’incontro, ma ecco che appare Emmanuelle tra lo stupore di Loums e, di conseguenza, a causa della confidenza che Loums ha con Emmanuelle, dei dignitari, rappresentanti di un governo africano che, come al solito, è molto sbilanciato verso una sorta di regime, benché si parli di Presidente della nazione e di Bene Nazionale. Non posso esimermi, di questi tempi, dal ravvisare una situazione non molto dissimile da un paese europeo geograficamente molto vicino all’Africa quale l’Italia. Leggendo certe parole messe in bocca ai dignitari del governo del paese africano, ritrovo similitudini inquietanti con la situazione italiana attuale: “(A Emmanuelle) Vede, Signora il nostro paese rigurgita di uomini di buona volontà – lo dimostrano le ultime elezioni che hanno riconfermato in modo assoluto l’amore del popolo per il Presidente e per il suo operato in nome di un forte sentimento patriottico…”, “…Esistono però pochi facinorosi mossi da sentimenti di invidia e di ingratitudine che si infilano fra la gente comune e persino nei luoghi dove si decide del Bene Nazionale. Questi qui tramano e, benché tutti i loro tentativi siano destinati al fallimento, possono offuscare per alcuni istanti l’immagine compatta e timorosa di Dio del paese.”

Si avvicendano colloqui alterni tra i vari personaggi, tra cui spicca Mehdi, giovane segretario nero di Loums e in cui Emmanuelle troverà un confidente per le sue pene d’amore. Sarà proprio Mehdi a condurla da una strega nelle cui parole misteriose risuoneranno presagi non ben decifrabili, avversi o favorevoli. Il marito di Emmanuelle, Thomas, arriva inaspettatamente in Africa per cercare di convincere Emmanuelle del suo rinnovato amore, vuole salvare il proprio figlio nel ventre di una sempre più instabile Emmanuelle, la quale, invece, avrebbe voluto un figlio da Loums; Thomas minaccerà di porre il suo veto per i finanziamenti qualora Emmanuelle non faccia ritorno con lui in Europa. Insomma la Stefani è abile narratrice e costruttrice di scene, inanella una sorta di catena amorosa, l’anello iniziale è Loums, desiderato da Emmanuele, ma Loums non la desidera più, la rispetta con grande affetto, ma sottostante le ragioni della ragione, Loums è sposato e ha figli, non vuole continuare una relazione irragionevole; Thomas, il marito di Emmanuele, la desidera ancora e soprattutto desidera ciò che porta nel suo grembo, ma Emmanuele non ne vuole più sapere, desidera soltanto Loums e un figlio da lui. Loums desidera però i soldi per il suo progetto che soltanto Emmanuelle può darle e per avere i quali Emmanuele impone delle condizioni che sono un vero e proprio ricatto per Loums, deve tornare con lei; infine Mehdi, il giovane segretario nero di Loums, sarà il figlio che Emmanule strapperà all’Africa, un figlio d’adozione.

Non svelerò qui il finale dell’opera teatrale della Stefani, dirò soltanto che lo sviluppo della vicenda ha movimenti e presagi che possono essere smossi soltanto nel palco di una terra ancestrale quale l’Africa è, nella cui terra e sotto il cui cielo non è raro tornare all’essenza delle sensazioni e dei riti interiori ed esteriori, spirituali e magici, completamente terrestri. Una fuga e una bottiglia con del liquido rosso opaco saranno i due elementi significativi nel volgere del libro all’epilogo.

Penso che la Stefani, con la sua consueta abilità linguistica, riesca a delineare, in poche pagine, un’opera teatrale degna di nota e direi soprattutto di rappresentazione, ed è ciò che auspico. I dialoghi, costruiti in modo intelligente e con abilità realistica, scorrono agevolmente e con pathos verso il centro della vicenda, il lettore rimane preso dai giochi sentimentali che si instaurano tra i personaggi principali della rappresentazione, giochi che non sono però puramente di cuore, ma anche, e forse soprattutto, psicologici, ed è proprio questo secondo aspetto a rendere l’opera interessante e a non farla cadere nel rischio di uno sdolcinato dialogare tra esseri.

Il libro è imbevuto di una tragica relazione di dipendenza dell’Africa verso l’Europa. Una terra di investimenti ma nella sostanza imprendibile, un continente potente, la cui natura spirituale riesce ad attirare e ad assorbire, riportando ad una sorta di essenzialità d’esistenza, una terra da sempre sfruttata ma indomabile.

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