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Il locale

di Stefano Botti
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Pubblicato il 02/12/2014 14:35:02

Ho accompagnato a casa Paola. Sono le due, è ancora presto e non ho sonno. Decido di fare un salto al locale: è un po’ che non vado. I giovani, scherzando, l’hanno ribattezzato: il cimitero degli elefanti Una nebbia leggera penetra questa fredda notte di novembre. Il faretto di una lampada, agitato dalla mano del parcheggiatore, conferma che sono arrivato. Il vecchio Caronte, avvolto in un antico tabarro, mi riconosce e con un violaceo sogghigno, indica il posto macchina. In silenzio, facendomi strada con una tenue luce, sono traghettato all’ingresso.

Entro nel corridoio, tappezzato da finto raso rosso, diventato a pois per le tante bruciature di sigaretta, cammino su uno spelacchiato tappeto che mi guida alla cassa.

Ecco Gina, la cassiera: una donnina vestita e truccata come una bambola anni cinquanta, al profumo di canfora con i movimenti lenti di un bradipo. Sposto la tenda, do una sbirciatina, buttando avanti il petto come per tagliare il traguardo, inspirandol’ultimotiro di sigaretta: entro.

Tra luci soffuse e nuvole di fumo che si tagliano con un coltello, intravedo sul palchetto l'orchestra.

Musicisti, vestiti come domatori del circo e da finti sorrisi stampati, si muovono quanto scimmie ammaestrate, tentando di fare colpo sulle donne sedute nella prima fila, per scroccare alla chiusura almeno una colazione.

Adesso ci sono i lenti; lo sciame degli uomini si mette in movimento. Il ronzio invade la sala e i calabroni iniziano il loro valzer, volando di tavolo in tavolo. Le donne sedute, profumate come fiori, aspettano un loro invito.

Il lento è l'occasione migliore per colpire.

Osservo dal bar compiaciuto, bevendo il solito whisky, le coppie che ballano.

Le donne sono disinvolte e sorridenti. Gli uomini impettiti come pinguini abbracciano a mo’ di laccio le loro potenziali prede.

Parole sussurrate all’orecchio, sguardi alla Valentino, mani come tentacoli che cercano nel buio nuove superfici, corpi che si abbandonano, scollature alle ginocchia, spacchi ascellari, casquet a tempo scricc scrocc di cartilagini e ossa, schiene di camice sudate aperte davanti, su prati di peli sbiaditi, stretti in un ipnotico ultimo giro appassionato.

All'improvviso le luci si accendono e parte la musica da discoteca.

Immobili e abbagliate, le coppie adesso separate, si guardano con stupore e incredulità, spaventate nel vedere, alla luce, la persona con cui stavano ballando. Tutto cambia, le donne rimangono in pista a ballare, come tarantolate, una danza d'amore per attirare l'esemplare maschio più bello del branco. Gli uomini come cariatidi osservano i loro movimenti dalla parte opposta della sala, incollati alla parete o muro del pianto, ululando.

Tra cipigli, segnali di mani, mimici movimenti facciali, gli uomini vanno alla carica, usando le migliori tecniche acquisite negli anni.

Il Matematico piantona i bagni sfruttando la legge dei grandi numeri, prima o dopo tutte passeranno da qui.

Il Temporeggiatore inizia l’assedio accampandosi vicino alla preda, nell’attesa della sua resa per sfinimento e fame.

Il Cowboy osserva la mandria al pascolo, marchiando con gli occhi, la giovenca della migliore razza, in attesa di portarla nel proprio Ranch per il Rodeo.

Il Rostro sperona e abborda tavolini indifesi di donne sole.

Lo Squalo gira più volte intorno alla preda, sfrutta l’effetto sorpresa, colpendole alle spalle.

Il percorso pieno di trappole e insidie, che le donne avevano preparato prima, crea la selezione…ne resterà uno solo.

Le prime coppie si formano.

Uomini esausti, come pere cotte, cadono tra le braccia di donne che li avevano già scelti prima, credendo di averle conquistate con il loro irresistibile fascino.

Seduti a tavolino, sparano l’ultima cartuccia, la barzelletta. Le donne, con pazienza e smorfie di compatimento, aspettano la fine dell’esibizione.

Al termine, come per il gioco delle sedie, alcuni uomini si ritrovano in piedi; sconsolati, ripiegano al bar con la coda tra le gambe.

Suonano l’ultimo pezzo.

La gente, abbagliata dalle luci del locale improvvisamente illuminato a giorno, intontita, dal brusco silenzio dell’orchestra; confusa, si organizza per uscire. Un’atmosfera surreale, ricorda vecchi film in bianco e nero.

Scatti di fotogrammi, scorrono immagini rallentate di persone in fila al guardaroba, di amici che si salutano continuando a chiacchierare per decidere su cosa fare dopo, di coppie felici, di facce deluse e sconsolate, che promettono, come sempre, di non tornare più.

Sorride Francesca, ci capiamo al volo, usciamo complici di non passare la notte soli. Abbracciati, lentamente ci avviciniamo alla macchina, fumiamo una sigaretta aspettando che anche l’ultima auto se ne vada. Coccolati dalla nebbia, seguiamo la strada di casa,  mentre il locale, come un fantasma, scompare alle nostre spalle.


Il giorno che ritornerò, sono sicuro di trovare le stesse persone, lo stesso arredamento.

Come in un museo delle cere…il tempo si è fermato.


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