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Bridge

di Paolo Dapporto
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Pubblicato il 15/02/2015 13:57:46

Bridge

 

Dio, come ho giocato male stasera!

 

Sono tornato a casa tardi e fatico a prendere sonno in questa camera buia, dove non filtra neppure un filo di luna. Non so se mettermi di fianco oppure restare supino. Dopo l’operazione al ginocchio è difficile trovare la posizione giusta per dormire.

 

Enzo, che di solito sopporta i miei errori, stasera non ha nascosto il suo disappunto e alla fine della serata mi ha salutato con un frettoloso “buonanotte”. Perché continuo a giocare a bridge? Non ho mai avuto una grande passione per le carte e spesso mentre gioco i miei pensieri navigano altrove.

 

Stasera pensavo al risultato di un mio racconto in un concorso: terzo posto. Appena ho avuto la notizia, ho fatto un salto di gioia, perché non me lo aspettavo, anche se il racconto mi sembrava bello. Ero soddisfatto di me stesso e il sorriso dipinto sul mio volto ingannava Enzo sulla bontà delle carte che avevo in mano.

 

Certo, Enzo ha le sue ragioni. Non solo non mi applico nello studio delle strategie, ma alcune volte gioco senza ragionare. In quella mano avrei dovuto attaccare col re di cuori, anche se era secco, così l’avversario avrebbe giocato l’asso, liberando delle carte al mio compagno.

 

Quando ripenso al concorso, mentre mi rigiro tra queste coperte sempre più calde, non sono più così contento. Il terzo posto non mi soddisfa: ha il profumo agrodolce della consolazione. Il giorno delle premiazioni saremo solo in tre, il primo, il secondo e il terzo, cioè l’ultimo.

 

A me non importa di perdere una mano se gli avversari sono persone con cui mi trovo a mio agio. Ma quando perdo con quelli supponenti, con la puzza al naso, mi prende una rabbia… Chi si credono di essere? Prima di pensare di essere tanto bravi e intelligenti, si confrontino anche su altri argomenti. Il bridge non è l’unica cosa che esiste al mondo.

 

Domani finisco di scrivere il racconto per il concorso sull’Arno. Boh, inventerò qualcosa, magari tirerò fuori una vecchia storia d’amore con una compagna di classe. Le storie d’amore tra adolescenti funzionano sempre. Lo intitolerò “Un amore sulle rive dell’Arno prima dei lucchetti”.

 

Però anche Enzo fa degli errori. Forza troppo il gioco anche quando le carte non glielo permetterebbero e gli avversari lo contrano. Lui gioca bene, però, se non ha le carte buone, è un gigante con i piedi d’argilla. La prossima volta glielo dico: “Devi essere più prudente, dichiari troppe volte 6 di qualcosa ed è difficile rispettare la licita anche se giochi bene la mano”.

 

Io ho tante cose da fare tutti i giorni, ma la cosa più bella è uscire fuori con Niccolò, il mio nipotino. Mi sono convinto che lui mi aspetti sempre e che stia male quando sente il campanello e vede che non sono io.

 

Ho provato a leggere e studiare i libri del bridge, ma sono di una noia mortale. Quello che mi ha prestato Enzo per la verità non è male: è scritto da un professionista inglese con humor e garbo. Lo leggo volentieri anche per il titolo: “Perché perdete a bridge.” Capissi questo, sarebbe già qualcosa.

 

Ora c’è anche la gatta che non sta bene. Non si muove dalla cuccia e non mangia. Povera Chicca, è vecchia e non gli resterà molto da vivere. Domattina la porto dal veterinario. Gli animali vecchi sono come le persone, vanno trattati con cura, come si trattano i bambini, come io tratto Niccolò e come vorrei essere trattato io quando sarò più vecchio.

 

Stasera poi ho avuto una sfortuna che non vi dico. Carte brutte: nessun asso e pochi re. E non è che, in compenso, io abbia fortuna in amore. Non ho mai creduto a questa fantasia popolare, anzi per me è vero il contrario: chi ha fortuna nelle carte ce l’ha anche nell’amore, perché il mondo è ingiusto e aiuta sempre le stesse persone.

 

Domani dovrei andare avanti anche con il libro che sto scrivendo a quattro mani con un detenuto del carcere di Prato. Per me non è facile parlare di traffico di droga e di omicidi. Preferirei parlare di sentimenti, di amori giovanili, di atmosfere serene.

Il protagonista del mio prossimo libro sarà un maestro delle scuole elementari, uno degli ultimi esemplari di una specie in via di estinzione. Un uomo che ha conservato l’anima di fanciullo, come il maestro che avevo io. All’uscita della scuola veniva a riprenderlo il figlio, un ragazzone di una ventina d’anni. Dicevano tutti che era un maestro matto, ma noi gli volevamo bene.

 

Però, Enzo, almeno una mano l’ho giocata bene, quando ho indovinato due impasse. Ma Enzo stasera non era in vena di complimenti e quando scherzando gli ho detto: “Nel gioco della carta sto migliorando” mi ha risposto di no in modo secco, con la faccia severa.

 

Meno male che nel pomeriggio vado a prendere Niccolò. Lo porterò ai giardini, perché lui ha scoperto gli scivoli. Si diverte a buttarsi giù a testa in avanti e io devo stare in fondo a frenarlo, altrimenti va a sbattere la faccia per terra. Tra poco finirà due anni e gli devo insegnare a spegnere le candeline. Niccolò è la mia gioia. Quando un'amica mi ha chiesto quale fosse stata la mia prima sensazione di nonno, le ho risposto che ho provato per la prima volta il dispiacere di dover morire.

 

Una cosa che non capisco del bridge è questa strana gerarchia dei semi, con le picche che contano più di tutti gli altri. Nel poker vale un’altra regola, quella del “come quando fuori piove”, con le cuori che precedono le quadri. Mi farò spiegare il motivo da Enzo, che conosce bene la storia del bridge; comunque penso che la ragione stia nel volersi distinguere dai giochi popolari.

 

Appena sarà un po’ più grande farò un discorso serio a Niccolò. Gli dirò di non rattristarsi troppo quando non mi vedrà più. I nonni sono stelle comete, volano via quando meno te l’aspetti, insieme alle malattie di stagione e alla giovinezza.

 

Enzo mi dice sempre che gioco con troppa fretta, senza meditare a fondo sulla carta da giocare. Hai ragione, Enzo. Io gioco veloce perché vivo di pensieri semplici, nel bridge e nella vita.

 

Cavolo! Non è neppure un’ora che sono tornato e ho già voglia di andare in bagno. Mi devo alzare dal letto, ma mi fa tanta fatica. Dovrei andare dall’urologo, ma il pensiero di avere una brutta malattia mi terrorizza. Preferisco non sapere e nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi.

 

Però faccio bene a continuare a giocare. Il bridge stimola il ragionamento e la memoria. Spero anche che tenga a bada l’Alzheimer, una malattia che mi fa molta paura.

 

I pensieri cominciano a trasformarsi in sogni. Finalmente lei arriva, cortese come un’ombra e leggera come una carezza. I suoi occhi neri sono più profondi di un abisso. Mi sorride e dietro le sue labbra rosse intravedo quel dentino scheggiato che mi ha sempre fatto impazzire.

 

D’un tratto il suo sorriso si confonde con quello beffardo della donna di fiori. L’ho scartata dimenticandomi che il re era già passato e ho buttato a mare uno slam sicuro. Proprio da una donna mi sono fatto fregare.

 

Lo slam mi fa tornare in mente ricordi lontani di partite di tennis. Chissà se ora con le protesi alle ginocchia potrò ricominciare. Non l’ho detto a nessuno, ma è proprio per poter giocare a tennis che mi sono fatto operare. Ho tirato fuori altri motivi, dolori durante la notte, difficoltà a salire e scendere le scale. La verità è che quando si diventa vecchi si ha ancora più voglia di vivere: si sognano amori travolgenti con donne giovani che ti portano via, imprese sportive straordinarie, scoperte scientifiche che fanno il giro del mondo.

È brutta la vecchiaia se non si ha qualcosa in cui credere o qualcosa che occupi il tuo tempo, come scrivere un libro, come portare a spasso il nipotino.

 

Può bastare anche il bridge.


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