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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Poesia

Giacomo Cerrai
L’Arca Felice

Recensione di Franca Alaimo
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Pubblicato il 05/10/2010 12:00:00

Veicolata da uno stile volutamente antilirico, utile a smorzare stati emotivi altrimenti troppo intensi, ogni parola di questa scarna ma compiuta silloge tenta una sua pronuncia sommessa, rifiutando facili soluzioni tanto formali che contenutistiche.

L’attraversa il tono monocorde della domanda ansiosa ed inquieta, ma vana, poiché si sa senza risposta nella consapevolezza che l’ascolto del proprio inconscio e la pretesa di una risposta metafisica sono destinati all’ammutolimento della parola che azzardi questo percorso. Che la poesia, benché si ponga sempre sull’orlo del baratro di domande capitali, non riesce, non è delegata a dare una qualunque risoluzione, sicché la sua sorte è quella di sostarvi per sempre, tentandolo.

Qualche testo termina, infatti, e significativamente, con i punti di sospensione: una sorta di segnale visibile dell’afasia “di una richiesta inascoltata”, come scrive nell’intensa prefazione Mario Fresa.

Gli eventi accadono nello spazio della casa, la quale, benché quotidianamente frequentata, appare connotata da una qualità evanescente, nonostante la minuzia di qualche particolare, l’elencazione di oggetti domestici, la memoria di qualche gesto o parola , sicché finisce con il configurarsi come una metafora. Essa, infatti si colloca fuori da un tempo certo, minacciata all’esterno da un temporale, all’interno da “uno sforzo sproporzionato al battito d’ali”, sebbene si alluda al contemporaneo dramma sociale e storico di una “violenza in vendita”. Del resto, la casa, per la psicologia del profondo è un simbolo importante, che allude all’io, al proprio spazio interiore, al quale, dunque vanno attribuite le stesse qualità e caratteristiche dell’altra.

All’interno delle sue stanze – ma, qualunque sia la sua probabile estensione, essa è percepita simbolicamente come “una scatola” asfittica ed asfissiante - si svolge una vita precaria, sospesa, estraniata, quasi la recita di un dramma delle cui trama la coppia che vi alberga ha solo un ruolo di comparsa. Ogni atto appare come rallentato, quasi non appartenente perfino a chi li compie.

La solitudine, l’insensatezza confermano, dunque, il duplice fallimento di una comunicazione amorosa profonda così nella sfera privata come in quella spirituale, e si affiancano a quella delle cose stesse “polvere di polvere” sgretolantesi, perché “prive di messaggi”. E, tuttavia, nonostante questa dolorosa percezione, Dio non è negato: è piuttosto un Dio celato, muto, lontano, che “non ascolta, / spoglia gli alberi e il giorno, spoglia la vita stessa”; un Signore di morte e silenzio, al posto del quale risponde “il merlo beffeggiatore”, provocando lacrime silenziose, sussulti di dolore, implorazioni, dubbi, di tra i quali balugina un desiderio d’amore e di corrispondenza che costituisce la trama sotterranea di un’anima desolatissima ma non oscurata.

La plaquette contiene un pensiero visivo di Roberto Matarazzo.

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