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La scelta

di Arcangelo Galante
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Pubblicato il 13/10/2017 06:44:40

Indossava un nuovo abito, quel lungo vialetto che conduceva alla casa di Clara. Un tappeto di foglie rossastre pareva lo strascico di un autunno giunto precocemente, rispetto agli altri anni. L’apertura della scuola aveva appena battezzato l’inizio del mese di Settembre, che si avvertiva quasi trasformato, facendo respirare un’aria assai fresca, baciata, ogni tanto, da un pallidissimo sole. L’atmosfera era davvero insolita, perché la calura estiva, senza remore né avvisi, ormai era un lontano ricordo. Le stagioni ed il loro intermezzo non esistevano più, e Franco lo aveva notato da subito, mentre calpestava frettolosamente il piccolo viale che lo avrebbe condotto a destinazione. Sentiva il rumore dei suoi passi schiacciare il secco fogliame che incontrava nel cammino e, dentro di sé, pensava:

- Sono trascorsi tanti anni. Chissà se si ricorderà ancora di me? E se non lo facesse? Che scusa dovrò inventare, per farmi perdonare?

Eh si, proprio l’incertezza di non essere bene accolto, lentamente si affacciava alla sua mente. Cosicché, in preda a titubanti pensieri, che in un battere di ciglia divenivano crescente timore, arrestò il passo, sino a fermarsi. Si voltò, con l’intento di tornare indietro, ma, dopo aver proseguito un altro poco, si fermò nuovamente, per riflettere.

- Non posso non dirle la verità! Clara non lo merita proprio: deve sapere il perché l’ho lasciata. Lei deve assolutamente conoscere tutta la verità!

Quella voglia imperativa di giustificare una dolorosa assenza che gli aveva penalizzato l’anima per anni, fu come lo scoccare di una violenta freccia che uccise, all’istante, la paura di desistere dallo spiegare ogni cosa.

Riprese quindi il proprio cammino, sino a giungere nei pressi di un enorme albero che sembrava fungere da sentinella, accanto all’ingresso dell’abitazione. Lo osservò per pochi minuti, sentendosi piccolo piccolo dinanzi ai rami che volteggiavano verso il cielo sovrastante. Il tronco era robusto, ricoperto da un’umida corteccia che, a tratti, si squamava, mostrando parte della giovane rinascita dell’arbusto. Ricordò quando era solamente un alberello, non più alto di circa tre metri. Il tempo aveva fatto il suo lavoro, trascorrendo, e facendo vedere che era passato anche di lì.

Anche la lignea porta della casa mostrava i segni dell’allontanamento di Franco. Non era più tinteggiata di quel colore rossiccio che in passato sfoggiava un battente di ottone, a forma di anello. Cosa dire poi delle finestre, che lui stesso aveva dipinto per rendere ancor più accogliente la facciata di quella che, un giorno, avrebbe dovuto essere un’indimenticabile alcova d’amore?

Il bianchissimo colore aveva ceduto al grezzo del legno sottostante, invecchiato dai segni del tempo. Restava inutile soffermarsi sugli altri aspetti che testimoniavano un inesorabile e triste abbandono, oltre alla scarsa cura del volto della casa.

Salì i tre gradini di marmo ed afferrò con la mano il battente, per farsi sentire. Nessuna risposta, all’inizio. Non si udiva alcun rumore che potesse far capire la presenza di qualcuno, al suo interno.

- Non c’è niente da fare - pensava Franco - è segno del destino che io non debba più vederla!

Attese un pochino e riprovò a bussare, senza che nessuno si avvicinasse, per aprire la porta. Sconfortato, si stava sempre più convincendo di meritare l’inutilità di quel lungo viaggio, fatto per ritrovare la sua Clara.

- Sono proprio uno sciocco, nell’aver sperato che la vita mi ripagasse del torto subito. Debbo andarmene, prima che sia troppo tardi, così mai nessuno saprà che sono passato.

E mentre veniva assalito da mesti pensieri, udì, da lontano, una voce gentile:

- Chi è alla porta?

Franco non rispose.

- C’è qualcuno? Chi cercate? Allora, non fatemi perdere tempo.

- Po… potete aprirmi, per favore? - balbettò Franco.

Un lieve cigolio e la porta si aprì, facendo da cornice alla figura semplice e garbata di una giovane donna.

- Si...? Cosa volete?

Clara fissò quell’uomo, a lungo. Era talmente emozionato da non riuscire a proferire alcuna parola né, tantomeno, ad intavolare un discorso. Era una sensazione meravigliosa e, al tempo stesso, imbarazzante, quella che Franco stava vivendo. Finalmente riusciva a vedere il volto della donna che ancora amava e mai aveva scordato e che gli aveva letteralmente rubato il cuore.

- Clara, non ti ricordi di me?

Un attimo di smarrimento la colse, sino a quando la sua mente incominciò a spolverare i ricordi del passato. Lei era certa di avere già veduto quel signore, e i ricordi d’amore si affrettarono ad arrivare, proprio nel luogo in cui dovevano giungere.

- Franco, sei tu, non è vero? - disse Clara, profondamente commossa.

- Sono io - rispose Franco.

Gli occhi di Clara luccicavano di gioia che, presto, sarebbe stata sostituita col dolore di lacrime ardenti, non appena avesse saputo ciò che, in realtà, l’aspettava.

Per fargli sentire tutto l’entusiasmo che dentro le pulsava, affettuosamente Clara abbracciò Franco. Lui ricambiò prontamente, chiedendole se poteva entrare in casa. Per mano, lei lo condusse nel salotto e, dopo aver riposto nel guardaroba il soprabito che indossava, lo invitò a sedersi sul divano. Lo raggiunse, sedendosi accanto a lui.

- Mi sembra un sogno, rivederti dopo tanto tempo - disse Clara.

Franco, cogliendo la palla al balzo e superato un iniziale momento di trepidazione, non esitò un istante:

- Debbo dirti una cosa importante. Ascoltami con molta attenzione, te ne prego.

Improvvisamente, Clara si incuriosì molto, dinanzi alla serietà del volto di Franco. Pensò che volesse dichiarare i propri sentimenti, magari con una nuova promessa che, stavolta, avrebbe mantenuto. Infatti, si erano lasciati senza chiedere spiegazioni l’uno all’altra, quasi col terrore di spezzare quell’incantesimo d’amore che li avrebbe dovuti condurre ad un lieto fine. Ma qualcos’altro, era riuscito a fare in modo che i due amanti si separassero.

Franco iniziò col dire che sua madre non nutriva simpatia per la suocera e che quest’ultima l’aveva pagato affinché lui uscisse fuori dalla vita di sua figlia. Per non far soffrire Clara, aveva accettato quel denaro, perché l’azienda di famiglia versava in condizioni economiche critiche.

Ma il rimorso per un’azione così avventata, continuava a tormentarlo. Ecco perché si era fatto nuovamente vivo. Sentiva l’impellente bisogno di chiedere scusa alla donna che aveva tradito, vendendo la propria felicità alla suocera.

Clara arrossì tutta d’un colpo, ma il rossore che le accendeva gli zigomi divenne presto il fuoco della rabbia. Non credeva ad una sola delle parole che Franco aveva detto e si chiedeva:

- Se così fosse, perché me lo ha tenuto nascosto, sapendo che lei sarebbe stata disposta ad elargire una proficua somma di denaro, pur di sottrarlo ad una umiliante e vergognosa proposta?

Nella sua testa, rimuginava il pensiero di valere assai poco, per Franco, e decise di chiederglielo. Così, alzandosi dal divano, gli disse:

- Dimmi, perché li hai accettati? Te li avrei prestati io.

Guardandolo negli occhi, quasi a volerlo intimidire, proseguì:

- Rispondimi, Franco! Hai capito quello che ti ho appena detto?

Mentre infieriva sul malcapitato con espressioni malevoli, sentiva il cuore frantumarsi in mille pezzi. Era talmente sensibile, Clara. Una donna dall’animo buono che, quel fiabesco rincontrarsi, stava mutandosi in profonda agitazione, velata da un intenso risentimento e da un’insistente voglia di giustizia.

Franco tentò di farle capire che non era colpa sua e che la vita lo aveva messo con le spalle al muro. In realtà, dentro di sé, l’orgoglio eccessivo nel non voler mostrare debolezza alcuna agli altri, lo aveva condotto verso situazioni più facili e meno sofferenti.

- Lo sai che ti amo ancora, Clara. Accidenti! Mi chiedi un perché impossibile? E poi, non sono mai andato a genio a tua madre, ne sei perfettamente consapevole!

Come cera lenta, le lacrime iniziarono a scendere sul volto di Clara. Per anni lo aveva atteso, nella vana speranza che tutto potesse tornare come un tempo, in cui le frequenti visite romantiche, accompagnate da sfavillanti momenti di gioioso amore, potessero ancora fare capolino nella sua immensa vita solitaria.

Era una donna che sapeva amare le persone. Non per questo, Clara, era stupida. Intuitivamente, capì che avrebbe dovuto fare una scelta, pure lei. Una scelta spinosa, difficile, nella quale il suo futuro era, ancora una volta, messo a rischio, ma, di certo, non per colpa sua.

Voltò le spalle a Franco, che era rimasto seduto sul divano. Non voleva farsi vedere piangere e, soprattutto, esternare quel dolore, divorante ed impietoso, che lui le aveva, più o meno inconsapevolmente, procurato. Istintivamente, ascoltò la voce della coscienza che accorse in suo aiuto, in quel frangente zeppo di sgomento. Iniziò ad allontanarsi, uscendo dalla stanza in cui Franco si trovava, sempre più assente ed impreparato, dinanzi allo sconvolgimento di Clara.

Prese il soprabito di lui, lo appoggiò sul divano e, singhiozzando, disse:

- Esci da questa casa.

Franco finse di non capire e, con un filo di voce, rispose:

- Clara, ti amo, lo capisci vero? E’ stata tutta colpa di tua madre, io non c’entro nulla. Non t’avrei mai lasciata. Fidati delle mie parole.

Clara si sforzò di non piangere. Lo guardò negli occhi, sbigottita, e gli disse:

- L’amore non si conquista con l’inganno. Non si vende, non si compra. L’amore vero si conquista con il sacrificio e la fiducia; altrimenti, a cosa servirebbero le sofferenze? Ora, ti prego, Franco, esci da questa casa. Non te lo voglio ripetere nuovamente.

Ancora una volta, l’orgoglio bussò all’anima di Franco, assecondandolo, come al solito.

Prese il suo soprabito, si avviò verso quella porta, decolorata dal tempo, che Clara prontamente aveva aperto, al suo arrivo. Si voltò verso di lei:

- Cosa farai, ora?

- Quello che ho sempre fatto, sopravvivrò! - rispose Clara, con il cuore in gola.

Non aggiunse altro e serrò la porta a chiave.


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