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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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La corte del glicine

Romanzo

Maria Luperini Panna
Aracne Editrice

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 05/07/2011 12:00:00

Il libro si basa su di un fatto storico, nel 1525 Francesco I di Valois, venne sconfitto a Pavia, fatto prigioniero e rinchiuso a Pizzighettone, dove godette di onori e privilegi degni del suo rango reale, quindi venne trasferito all’Abbazia di Cervara dove rimase per tre giorni. La narrazione pone sotto la lente di ingrandimento questo periodo che, sebbene breve, ebbe ampi riverberi sulla vita dell’abbazia e di alcuni suoi abitanti. All’Abbazia la presenza dell’ingombrante ospite creò enormi dubbi soprattutto nell’abate, in particolare per i rapporti tra il Valois e Leonardo da Vinci, che presso di lui visse gli ultimi anni della sua esperienza terrena. E sono proprio gli studi di Leonardo ad infervorare e fiaccare la mente dell’abate, che fu, oltre che uomo di chiesa, anche uno scienziato ante litteram per la sua passione per la ricerca di piante officinali e medicamentose. Su questo si innesta una sorta di confronto fra la mente già scientifica, nell’accezione moderna, di Leonardo e la scientificità empirica e medievale dell’abate. Si crea così il perno – diciamo così – sul quale ruota la snella narrazione: la ricerca della Verità, e quali sacrifici essa richieda. Per l’uomo di Chiesa la verità cozza con i dettami della religione, spingendo l’animo di chi vuole scoprirla sin sul baratro della follia, ma anche di quel che è lecito per perseguirla e quel che va evitato affinché in nome della verità non si perda il proprio essere. Ed è proprio questo il limite cui giunge l’abate, il quale non sarà più sé stesso dopo avere gettato una fuggevole occhiata su quanto disvelato dal genio leonardesco, ma qualcun altro proseguirà la ricerca della suddetta verità, senza però farsi scrupoli, e oltrepassando i confini del lecito e dell’ammissibile, ma quando il vero, l’assoluto, sembrano a portata di mano certi scrupoli paiono più inutili zavorre che saldi legami con la propria coscienza.

Il libro si compone di un antefatto che inquadra la vicenda nel suo contesto storico e la inserisce nella prospettiva romanzesca, seguono tre capitoli, uno per ogni giorno di permanenza dei Francesco I all’abbazia, cui seguono altrettanti epiloghi che danno compimento alla vicenda, svelando alcuni misteri e mostrando al lettore a cosa condusse la suddetta ricerca della Verità; chiude l’opera una nota per il lettore che fornisce gli ultimi ragguagli su elementi restati in sospeso per esigenze narrative e che dà un senso di compimento e di precisione storica al libro.

L’autrice racconta con passo spigliato e con profonda cognizione i fatti storici, e lo fa con freschezza romanzesca, tenendo in bilico il lettore fra biografia ed invenzione, in una miscela assai precisa, che avvince con la dovizia dei particolari e fa riflettere con degli intensi spunti. Soprattutto ci mostra il lato strettamente umano dell’abate, il quale sebbene ligio ai suoi uffici religiosi ed ai suoi studi, mostra un animo ancora complesso, quasi fanciullesco, capace di stupirsi e di tentennare, anche laddove la Fede dovrebbe dargli un sicuro appiglio. Egli, soprattutto grazie alla umana e naturale curiosità, si lascia investire dal dubbio, sino alle estreme conseguenze che appariranno nel finale del libro. Anche il cristianissimo re Francesco ci appare assai più umano di quanto la sua condizione regale non faccia supporre. Di Francesco viene evidenziata soprattutto la notevole inclinazione verso le arti, le lettere e la scienza, tratteggiando un sovrano quasi rinascimentale e ponendolo così in netto contrasto ed antitesi con l’abate, assai legato al retaggio medievale. Vi è poi, la figura dell’abate Lupo, poco menzionato ma che appare poi quasi il deus ex machina della vicenda, è infatti nella parte romanzesca un suo lontano discendente a dare l’avvio alla vicenda, grazie al ritrovamento di certi documenti, ed è sempre Lupo a mostrare il travalicamento di confine tra lecito ed illecito, tra follia e lucidità, nella ricerca della Verità. Un romanzo breve ma intenso, questo, che ci mostra una pagina di Storia, breve e circoscritta, ma dagli inaspettati sviluppi, e capace di descrivere con straordinaria efficacia luci ed ombre di un animo umano in bilico fra scienza e fede, fra moderno e passato.

A fare da sfondo e legame ai fatti storici vi sono le bellissime descrizioni delle atmosfere e soprattutto del mare, l’abbazia si trova infatti sui monti di Portofino; l’autrice ricrea l’ambiente con sagacia e ne descrive la natura con animo poetico e - a tratti - magico, facendo quasi animare di vita propria gli elementi statici della natura, quali le rocce e gli alberi. Come dicevo il mare ha grande parte, riflettendo e suggerendo coi suoi umori gli umori delle persone, in una simbiosi avvincente e misteriosamente sensuale.

Il romanzo nella sua brevità riesce a ricostruire alla perfezione la vicenda storica e a dare uno spaccato degli animi dei protagonisti attraverso una analisi psicologica attenta e perspicace, rendendo la lettura agile ed accattivante ma densa di elementi su cui riflettere.



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