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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Praga Magica

Saggio

Angelo Maria Ripellino
Einaudi

Recensione di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 21/02/2012 12:00:00

Bohumil Hrabal, Franz Kafka, Vladimìr Holan, Vitezslav Nezval, Oscar Wiener, Gustav Meyrink e almeno mille altri letterati della Mitteleuropa, ma anche sovrani, eroi e santi, poeti, artisti, scultori, architetti, fanfaluchi, maghi, alchimisti, astrologi, rabbini, poveracci, ubriaconi, miserabili, streghe e puttane sono qui riuniti nella ‘grande piazza universale’ che Ripellino ha ricostruito per chi, armato di buona volontà e poco discernimento delle lingue slave, abbia voglia di conoscere ‘I segreti e i misteri di Praga’, come un tempo si usava almanaccare certi libri che accoglievano di tutto un po’, articolandosi tra storia e leggenda, nel labirinto oscuro d’un passato mai del tutto dimenticato. Chi ha visitato Praga di recente ha avuto senz’altro la ‘sensazione’ di imbattersi in qualcosa di straniante, che va dallo ‘straordinario occulto’ al ‘meraviglioso decadente’, che sposta l’obiettivo attraverso il tempo, ora per accalappiare, ora per stordire il visitatore attratto. Il Golem è nato qui, nel decrepito Quartiere Ebraico fatto di strette e tortuose vie che portano tutte al vecchio dismesso Cimitero. Il Castello che, una volta attraversata la Città Vecchia (Stare Mesto), la Moldava che scorre tra gli archi gotici del Ponte Carlo, e Mala Strana, è quello esaltato da Kafka. I personaggi che vi si incontrano sembrano tutti usciti dai quadri antropofagi dell’Arcimboldo. Ma i riferimenti non finiscono qui, Ripellino vizia il lettore goloso di conoscere le ‘storie’ degli altri, le ‘vite’ di quanti hanno fatto di questa città, una città magica per eccellenza, un vivaio di fantasmi che continuano a ‘vivere’ nelle pieghe pietrose della città gotico-barocca, a invadere le strade e le piazze e mescolarsi nel brulichio della folla di turisti, di viaggiatori, di poeti, e di quanti ‘illusionisti del tempo che passa’, vagano tra i banchi e i rifiuti del ‘tandlmark’ il vecchio mercato che raccoglie di tutto. Ed écco, il ‘sensazionale narrativo’ accalappiarci nel gioco vorticoso, impossessarsi del lettore fino a farlo diventare, personaggio del grande teatro del mondo: farsi alchimista nella via a questi dedicata; Golem nelle case sbilenche del quartiere ebraico; spassarsela nottetempo con le statue volanti del ponte Carlo e, perché no, entrare in una vecchia ‘taverna’ male illuminata dalle fioche lanterne a gas, che la modernità ha strasformato in elegante luogo di ritrovo, e rivivere le sgangherate nottate da lupanare al suono di un organetto e grida e risate gustando le specialità gastronomiche innaffiate da buoni vini locali, o birra. Ma divagavo, e già Ripellino ci invita (ci trascina per i capelli) a fare incetta dei famosi ‘cristalli di Bohemia’ che per lui sono i ‘pettegolezzi’ e le ‘dicerie’ della gente (artisti, poeti, narratori) sebbene trascritte in opuscoli, incunaboli, fogliacci, carta straccia, in forma di romanzi, leggende, fiabe, racconti, poesia. Sì poesia, perché Ripellino cosparge la sua raccolta di poesia liquida, solo apparentemente superficiale lì dove osserva un bel quadro, o accarezza un statua scolpita nella pietra, il suo sguardo penetra la vernice del quadro per vedere quelle che c’è dietro, graffia via la crosta che il tempo ha lasciato sulla pietra per scoprire ciò che vi è sotto, quasi la pietra avesse un’anima. Ebbene l’autore non nega che un’anima ce l’ha, l’anima della pietra, così come ce l’ha lo scalpello che l’ha scalfita, così com’era nella mente e nello sguardo dell’artista che l’ha scolpita. E ce la racconta, come fosse la sua, scandagliata fino all’inverosimile, in pagine memorabili dove finanche il passante s’arresta davanti alle statue disseminate sul Ponte Carlo, e “ostenta un assorto sussiego fissando le calcinose pupille nel vuoto dei cieli”:
«Sia che rassembrino conversioni e miracoli, le statue di questo cammino della perfezione hanno tutte sostanza teatrale nei gesti, nel pathos, nello sventolio delle tonache. L’orgoglio , la spocchia, una certa spacconeria si mescono in esse con l’ansia di vincere pesantezza che le avvince alla terra. Penso all’enfasi dei santi … Nessuno di questi santi appare inerte e appagato e, a differenza di Praga stessa, nessuno soffre di catatonìa: sulle scoscese come dirupi ribalte dei piedistalli danno simultaneamente spettacolo con esagitate o solenni movenze da istrioni celesti e con abilità equilibristica, a ogni mossa rischiando di scivolare dai disagiosissimi greppi. … Nemmeno dopo il tramonto le statue cessano di recitare. Un tempo la diceria sosteneva che a mezzanotte discutessero con desertissimi termini e capziosità teologale, e nelle taverne gli ubriachi ne riferivano i dialoghi immaginari».
Sì, certo, il lettore distratto potrebbe biasimare che questa Praga non esiste più, ma non avrebbe ragione, perché Praga è ancora lì, magica e orgogliosa di esserlo che aspetta una sua visita. Città d’oro, città dalle cento torri, sinfonia di pietre, colori e forme, così viene da sempre descritta, come una delle più belle capitali europee: città di sortilegi, vetrina di splendori, labirinto febbrile, teatro di quinte, circo di clownerie, ma attenzione, la ‘fiaba’ di Praga riscritta da Ripellino rivela una città singolare dotta e intrigante, dal fascino misterioso e irresistibile, che strega. Lo rivela il suono delle parole, un italiano forbito che avevamo quasi dimenticato, aggettivi inusuali, velleità linguistiche, articolazioni oggettivali, manipolazioni poetiche, satiriche, clownesche che pure danno alla scrittura una fluidità quasi incandescente. Si è presi nel gioco dei rimandi, del sentito dire, mentre invece è tutto straordinariamente e infaticabilmente documentato, con una meticolosità certosina, calligrafata, che quasi sembra di leggere, al posto dei capitoli, resoconti di viaggio, esperienze inusitate trasferite in corrispondenza, come tante lettere spedite a mittenti sconosciuti, così, per celia, o forse più astutamente, per finzione teatrale:
«Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via Celetnà (Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hasek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzoviglia …».



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