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L’onda di piena

di Michele Fiorenza
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Pubblicato il 02/06/2010 20:01:29

L’ ONDA DI PIENA

Alla fine l’onda di piena era arrivata: fu Claudia a vederla per prima, proveniente dall’estremità nord del lago:
- Che cos’è quella schiuma?
D’improvviso capii che il vecchio pescatore aveva ragione: dopo una giornata di pioggia sarebbe arrivata un’onda di piena.
Certo, non era una grande onda, un metro e mezzo al massimo, ma per quel canottino da spiaggia che ci teneva a galla era certamente troppo.
Guardai Claudia, che non aveva ancora compreso il pericolo, poi lei si coprì gli occhi, per ripararli dal sole mattutino, e mi guardò meglio: cambiò subito espressione.
Entrambi fissavamo l’onda che si avvicinava rapidamente e sembrava crescere. Guardai disperatamente a riva, ma non c’era nessuno. Non riuscivo a muovermi, poi capii che dovevo fare qualcosa per la mia compagna di giochi: mi avvicinai, sedetti accanto a lei e ci stringemmo in silenzio, terrorizzati dall’onda che ci veniva addosso.
-------
Ai nostri genitori piaceva andare in vacanza fuori stagione; così a Settembre partivamo con i due camper, dieci persone in tutto. Di solito ci divertivamo un mondo, perché tutti amavamo la natura e non temevamo i ritardi.
Io ero il figlio maggiore di una delle due famiglie, Claudia la primogenita dell’altra: io avevo sedici anni e lei quattordici. Eravamo cresciuti insieme e spesso la chiamavo “cuginetta”; a volte lei mi diceva “cuginone”, perché ero più alto e più robusto.
Con quel piccolo canotto, al mare eravamo insuperabili; per fortuna sapevamo nuotare bene entrambi, perché sua madre era stata campionessa provinciale e ci aveva insegnato molto. Questa volta avevamo voluto portare il canotto anche al lago.
I nostri fratellini davano molto da fare alle rispettive madri, e i papà dovevano pensare a tutto il resto. La tranquillità arrivava di solito nel pomeriggio, quando i piccoli dormivano e i grandi giocavano a carte.
Come al solito io e Claudia ci allontanavamo ogni mattina sempre di più, guardando curiosamente ogni pianta, ogni albero del bosco, ogni animaletto che non conoscevamo. Da lontano spiavamo le case col mio binocolo, oppure osservavamo i contadini.
All’inizio della nostra vacanza, giunti vicino alla sponda del lago, avevamo trovato un vecchio pescatore seduto su una roccia sporgente, intento a pescare con la lenza. Ci eravamo avvicinati in silenzio per non spaventare i pesci e avevamo visto nel suo canestro quattro o cinque trote di varia grandezza ancora vive.
Dopo qualche nostra domanda e qualche gentile risposta, gli avevamo parlato dei nostri bagni nel lago e delle passeggiate in canotto. Così era venuto fuori il discorso dell’onda di piena:
- Non è troppo pericolosa per una barca grande e un bravo marinaio, ma il vostro canotto si capovolgerebbe. Vi posso dare un solo consiglio: non allontanatevi dalla riva nei giorni successivi a quelli di pioggia.
- Finora non ha piovuto. – aveva osservato Claudia.
- A Settembre piove sempre. – aveva risposto il pescatore.
- Che cosa è quell’isolotto là in fondo, così alto?
Non aveva risposto subito:
- E’ una specie di scoglio molto grande.
- E’ abitato?
- No, ma qualcuno dice che c’è una piccola strega, capace di prevedere il destino di ognuno. Secondo me è una vecchia leggenda.
Claudia avrebbe voluto saperne di più, ma il vecchio aveva cambiato discorso. Io avevo più tardi spiegato alla mia amichetta che probabilmente si trattava di una che leggeva la mano.
Il giorno dopo aveva piovuto, come previsto dal vecchio, ma soltanto di pomeriggio. I piccoli dormivano, i papà erano andati a fare provviste in paese e le mamme stiravano e chiacchieravano in una roulotte. Io e Claudia giocavamo a scopa nell’altra, a bassa voce per non svegliare i suoi fratellini.
Presto lei si era stancata e aveva cominciato a farmi domande sul destino, se c’era, se non c’era, chissà com’era…
- Se il destino c’è, può solo essere approssimativo. – dicevo io, sapientino.
- Sarebbe importante conoscerlo. – ribatteva lei. – Per esempio vorrei sapere se noi un giorno ci sposeremo.
- Ma chi ti vuole sposare!
- Neanch’io voglio sposarti, però sarebbe interessante sapere chi sposeremo, o che lavoro faremo, non credi?
Così pian piano era nato quel progetto di andare in canotto su quella specie di isolotto a cercare la giovane strega per farci leggere la mano. Saremmo scesi in acqua un po’ più a nord, nel punto più vicino all’isolotto.
- Quanto sarà distante? – aveva chiesto Claudia.
- Non più di due o trecento metri. – avevo detto io.
Così la mattina seguente ci eravamo ritrovati a un tratto seduti sulla sponda posteriore del canotto abbracciati, a guardare e attendere il nostro destino di morire giovanissimi per colpa di un’onda di piena.
* * *
Benché l’onda non fosse troppo alta, l’impeto fu più forte del previsto, sollevò il canotto a campanile e ce lo gettò addosso. Per fortuna Claudia in acqua portava sempre le pinne. Pochi secondi prima le avevo detto: - Prendiamo fiato!
Per alcuni interminabili secondi non avevo capito più nulla, arrotolato da quell’onda in un turbine di schiuma e di bolle. Poi ero riuscito a tornare a galla, avevo cercato con lo sguardo Claudia e mi ero avvicinato a lei, notando che l’onda aveva portato via il nostro canottino.
In silenzio guardammo la riva ormai lontana, poi l’isolotto, abbastanza vicino, così decidemmo di continuare a nuoto la traversata.
Mentre ci avvicinavamo, ci accorgemmo che non era poi così piccolo. Era invece molto alto. Non fu facile trovare un buon punto di approdo. Quando fummo fuori, su alcune strane rocce piatte, ci stendemmo al sole, sfiniti.
Non so quanto tempo dopo, udii una specie di fruscio e aprii gli occhi: un viso bianco, incorniciato da capelli biondi spettinati, mi guardava, poi sorrise. Anche Claudia si mise a sedere e guardava la ragazza, affascinata.
Poteva avere la mia età, magrissima e approssimativamente vestita con qualcosa che sembrava un pezzo di vecchio lenzuolo rovinato dal tempo.
Lei si alzò e ci fece cenno di seguirla. Doveva essere la strega della leggenda, non c’era altra spiegazione. Ci condusse in un piccolo capanno di legno, seminascosto dalla rigogliosa vegetazione, e lì ci porse altri pezzi di lenzuolo asciutti e piegati.
Poi ci diede due tazze di legno riempite di un liquido profumato che bevemmo. Era amaro, ma il suo calore mi rianimò.
- Chi sei? – chiese Claudia.
La ragazza non rispose.
Io mi guardavo intorno, notando la presenza di poche cose essenziali, un ambiente poverissimo, ma pulito: frutta, erbe, un minuto caminetto, un giaciglio. Non ero certo di essere sveglio.
Claudia sembrava ingenuamente più presente a se stessa:
- Siamo venuti da te per conoscere il nostro destino…
La biondina guardava e sorrideva, ma non parlava: che fosse muta? Poi prese da una mensola posta in alto un libro molto vecchio e malridotto e lo porse a Claudia. Mi accostai e lessi sulla copertina: “La caverna della conoscenza”.
Lo aprii e uscì subito un sacco di polvere: quel libro stava per marcire, dissolvendosi in un mucchietto di polvere inutile. Notai soltanto che era un libro per bambini, scritto a caratteri grandi e con molte figure in bianco e nero.
La biondina tese la mano per riavere il suo libro.
- Come ti chiami? – le chiesi.
Mi sorrise, ma non rispose.
- Qual è il mio destino? – insistetti.
Ci fece cenno di seguirla e ci incamminammo in fila indiana, lungo uno stretto sentiero che girava verso nord, salendo.
A un tratto trovammo l’ingresso di una grotta, lei entrò e sparì. Mi affacciai alla grotta e vidi un’ombra chiara che attendeva. Presi Claudia per mano, cercando di vincere la paura. La biondina procedeva lentamente lungo un percorso in discesa, addentrandosi con sicurezza in un dedalo di grotticine e passaggi, mentre la luce del giorno si affievoliva e spariva, e la temperatura scendeva.
Quando ormai mi chiedevo come avrebbe fatto a continuare, vidi in fondo al passaggio una vaga luminosità e pensai che ci dirigevamo verso un’altra apertura: a che pro?
La biondina, o streghetta che fosse, si fermò, scura contro quella vaga luminescenza, si volse e ci fece cenno di avvicinarci.
Era l’ingresso di un’enorme caverna dalle pareti luminescenti, non sapevo per quale fenomeno fisico o biologico. E, meraviglia delle meraviglie, il fondo della grotta era un laghetto piuttosto grande, ovale, sulle cui acque si rifletteva debolmente quella luminescenza.
Claudia mi stringeva la mano; io avevo paura, ma ero anche affascinato da quell’ambiente. La biondina s’incamminò su uno stretto sentiero alla nostra destra.
Era così stretto che soltanto lei, che lo conosceva e che era magrissima, poteva percorrerlo. Restammo dov’eravamo. La vedemmo arrivare quasi in fondo, a una cinquantina di metri, apparentemente, dalla nostra posizione. Lì guardò la volta, che adesso sembrava un firmamento di stelle in una notte senza luna, poi guardò l’acqua che, sì, qua e là mostrava anch’essa una impercettibile luminescenza, giunse le mani come per recitare una muta preghiera, poi aprì quella specie di tunica che indossava e scese elegantemente in acqua.
Io ero sorpreso da quell’essere così strano da apparire irreale, una figurina chiara che nuotava in un modo un po’ antico nell’acqua scura. Claudia mi stringeva forte la mano.
A nuoto si avvicinò, senza rumore e senza schiuma, sino a pochi metri da noi, emerse con la testa e le bianche spalle, poi lentamente disse:
- Il nostro destino è…
Si immerse e sparì. Dopo un tempo che mi parve interminabile, mentre la mia compagna mi stringeva spasmodicamente la mano, lei emerse nel punto in cui si era tuffata, uscì dall’acqua, un corpicino magro e pallido dalla testa ai piedi, e disse a voce alta, che echeggiò più volte nella grotta:
- … non avere un destino!
Si riavvolse nel misero lenzuolo e tornò da noi.
Non ricordo il percorso di ritorno, stordito da quell’esperienza particolarissima; ricordo la luce accecante del sole di mezzogiorno, poi l’acqua del lago calmissima e lei che ci sorrideva, tenendosi una mano con l’altra, in attesa che andassimo via.
Non rimaneva altro che tornare a nuoto, ed essendo pessimi marinai ma provetti nuotatori, ci immergemmo per attraversare quelle poche centinaia di metri che ci separavano dalla riva e tornare alle roulotte prima che i nostri genitori stessero in pensiero.

f i n e


copyright Michele Fiorenza
opera registrata










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