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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Non ti avrò mai

Narrativa

Claudio Secci
Seneca edizioni

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 10/09/2013 12:00:00

 

Il romanzo si apre in una corsia d’ospedale, in cui, su di una barella, la giovane voce narrante si dibatte fra la vita e la morte, lasciando spaesato il lettore. Cosa sarà mai successo al bel Zoran per ridursi in questo modo? E così, dopo una operazione chirurgica dagli esiti incerti, parte la narrazione ante ospedaliera. Il giovane con tre amici e quattro amiche organizza una bella vacanza nelle Asturie, dove godersi la vita in allegria e spensieratezza e anche godersi le grazie e le gioie dell’amore. Una specie di “gioco delle coppie” in cui ciascuno ha messo gli occhi su un esponente dell’altro sesso; ma siccome al cuor non si comanda non si sa se il prescelto corrisponderà alle bramose mire. In particolare il nostro protagonista ha il cuore che palpita per la bella Consuela, che sarà l’inconsapevole deus ex machina della vicenda e, si suppone, causa - perlomeno parziale - della corsa in barella di Zoran. La narrazione si dipana fra vita vacanziera, battibecchi ed amoreggiamenti, serate in discoteca e gite in quad, tutto il repertorio della bella gioventù vivace spagnola, e si suppone pure italiana e del resto d’Europa. Ognuno cerca di far prendere per bene la mira a Cupido in modo che il cuore trafitto dal magico dardo sia quello voluto, ma spesso le frecce vanno un poco per conto loro, complicando la vita dei giovani e dando materiale narrativo all’autore. Finché non si giunge alla fatale giornata della scarrocciata del suv giù per un burrone, e che ha come conseguenza quanto appreso nell’incipit e nel primo capitolo. Da qua il romanzo riprende e giunge al degno epilogo, amaro e toccante che, per ovvie ragioni, non rivelo. Il romanzo nasce sicuramente da una idea molto bella, la costruzione della storia è molto ben eseguita, l’autore aveva ben chiaro quali tasti toccare lungo la storia e come giungere all’epilogo, da lui preparato e reso mirabilmente. Insomma una buona storia, un ottimo canovaccio sul quale scrivere il romanzo. Ma talvolta ciò non basta per un ottimo romanzo, infatti la narrazione tentenna un po’, ha delle lacune di linguaggio e sintassi abbastanza evidenti, e - forse - un pochino di lavoro di editing avrebbe risparmiato al lettore la lettura di certi simpatici svarioni. Sono d’accordo sul fatto che un romanzo così richieda un linguaggio giovanile ed immediato, ma sempre nei confini della lingua italiana, anche perché le vampate infatuose o possessivismo, non appartengono a nessuna lingua né slang, tanto per citare due “trovate”. Tuttavia la prefazione ed il primo capitolo sono scritti assai bene, molto coinvolgenti e degni di un grande romanzo. Posso immaginare il grande lavorìo di cesello dietro a queste pagine, poi, invece, quando la narrazione prende il largo, l’autore bada un po’ di più al contenuto che alla forma, forse la storia gli premeva sotto i polpastrelli e, come visto sopra, qualche cosina strana sfugge, poi al finale si rientra nella precisione, senza di nuovo raggiungere quella dell’incipit. Anche la spiegazione finale su chi ha narrato realmente la vicenda mi sembra un po’ forzata, come se all’ultimo ci si sia resi conto che qualche pezzo non si incastrava bene col resto. E anche se ho sollevato qualche punto a mio avviso da rivedere sotto la supervisione di un editor attento e bacchettatore, il giudizio sul romanzo rimane buono, per la fantasia dimostrata, per la bella morale di fondo, per il finale commovente e per la capacità di tenuta della narrazione. Tuttavia […]segnato dal dolore ma proiettato nel tram tram quotidiano[…] è una frase che non è stata riletta. Attendo la seconda edizione riveduta.




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