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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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L’attesa e l’ignoto

Saggio

Mauro Germani (Biografia)
L’arcolaio

Recensione di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 07/01/2014 12:00:00

 

‘L’attesa e l’ignoto’ - L’opera multiforme di Dino Buzzati – a cura di Mauro Germani. Ci sono autori cui si dedica solo un breve spazio allorché si viene a conoscenza di un loro exploit letterario o drammaturgico e poi si dimenticano. A volte si torna a parlare di loro come di qualcosa che è stato e senza particolare entusiasmo. Di certo non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte a un ‘grande’ anche se la sua opera, in passato, aveva fatto un qualche scalpore scaturendo intorno a sé qualche riprovazione, più dalla parte dei critici che dei lettori. Mi riferisco a ‘Il deserto dei tartari’, l’opera che l’aveva visto affermarsi come scrittore, oltre che come giornalista del Corriere della Sera. Ma non c’è che dire, c’è sempre tempo (oppure no?) per guardarsi indietro e recuperare. È accaduto così anche a me, quando, poco più che ventenne, mi trovai a fare l’incauto acquisto di quel primo romanzo ‘Il deserto dei Tartari’ uscito nel 1966, nella allora ‘collana’ Oscar Mondadori e messo in vendita per poche lire, anticipato dall’uscita di un libro di George Bernanos, e non ricordo chi altro, il cui nome sicuramente iniziava con la lettera ‘a’. Il romanzo, in prima uscita nel 1940, aveva poi vinto lo Strega nel 1958, cui aveva fatto seguito nel 1959 ‘Un amore’ pubblicato sempre per i titoli della Mondadori nell’anno 1963 e da cui Gianni Vernuccio, regista, nel 1963 aveva tratto un film con Rossano Brazzi e Agnes Spaàk, che non ricordo di aver mai visto. Non era quella l’età in cui mi sarei chiesto chi mai fosse Dino Buzzati, a me sconosciuto, se non fosse perché avevo uno scaffale da riempire. Comunque mi piaceva leggere e poco importava se il libro fosse prezzolato o meno. Fu così che il romanzo mi coinvolse per la sua scrittura scarna, essenziale, finalmente sfrondata dai lacci ottocenteschi, e che oggi definirei nichilista se non addirittura fondante di quella ‘modernità liquida’ così definita da Z. Bauman, per cui ‘l’utilitarismo fonde le unità in massa totale, perdendo nel processo tanto l’identità degli individui quanto la loro separazione’. Mi sono perso oggi, come ricordo mi persi allora nel seguire il tenente di prima nomina Giovanni Drogo “...come un incubo concentrazionario accoglie chi lo sogna”, e che infine s’impone come la cifra del futuro percorso di romanziere di Dino Buzzati. Non posso dire se egli sia mai uscito dal ‘deserto’ in cui si è rinchiuso, certo ha aperto la porta di un labirinto psicologico di estremo interesse per la futura ricerca letteraria del ‘novecento’ italiano e non, iniziata con “La coscienza di Zeno” (1923) di I. Svevo, e “Auto da fé” (1935) di E. Canetti, seguito da “Uomini e no” (1945) di E. Vittorini e, successivamente, da “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979) che restituiva al lettore “..quel piacere di leggere” frutto di una eccezionale stagione letteraria che andava qui ricordata. Fu poi la volta dell’uscita del film che Valerio Zurlini trasse nel 1976 dal romanzo omonimo, suggellato da un cast stratosferico da far morire d’invidia Hollywood e che, in verità, rendeva degna sequenza al romanzo. Sia per il collante che lo legava al testo, pressoché inalterato; sia per le immagini fotografiche memorabili, magistralmente fotografate da Luciano Tovoli e, accompagnate dalle musiche di E. Morricone che, ricordo, aggiungevano al film momenti di stretta intimità con i luoghi (landscapes e interiors), al pari di ‘paesaggi dell’anima’ circondati dal nulla, al nulla votati, nel susseguirsi immobile di giornate tutte uguali che, nelle ore dell’attesa, si consumano fino allo sfinimento, all’esaurimento della luce, allo scacco tirato da una morte liberatoria e consolante che, al dunque, arriverà “..per una vita che non ha voluto, né saputo, essere vita”. Mi sembra qui utile citare Giuliano Gramigna (*) il quale, nella ‘prefazione’ al volume ‘Buzzati romanzi e racconti’ (I Meridiani Mondadori), apre ad unasorta di ‘sdoppiamento’, che partendo dai racconti, sarà caratterizzante di tutta l’opera del romanziere: “..ossia secondo una metaforizzazione già narrativa, Buzzati si estraniava da «quel passante sconosciuto» che aveva scritto i suoi libri, «uno straniero, un misterioso personaggio di cui conosco ben poco», rifiutandosi di spiegare, in un articolo successivo, come erano nate le sue storie”. Da cui si ricava come nei ‘racconti’ vi sia in nuce tutto ciò che viene dopo. Infatti è altrettanto vero che da un semplice ‘racconto’ possa scaturire il successivo grande ‘romanzo’ che non viceversa, così come da una negazione di fondo, possa arrivare un’affermazione che di fatto ci trova impreparati a riconoscere. È il caso di questa raccolta di ‘prose’, con i contributi inediti di critici, poeti e scrittori contemporanei, che riscopriamo non solo l’opera multiforme di Dino Buzzati, ma anche il suo aspetto forse meno conosciuto, cioè il poeta, il drammaturgo e il librettista d’opera, che forse fino ad ora non avevamo appieno valutato. Citare qui tutti gli interventi – sebbene alcuni brevi – è pressoché impossibile, pertanto mi limito a sottolineare quelle che sono le tematiche affrontate nei testi che ho trovato di grande interesse letterario per quanti vogliano fare o rinverdire la propria conoscenza attorno alla figura di questo autore così poco citato e che invece meriterebbe il nostro ricordo e il nostro plauso: “Il segreto e la morte nei romanzi di D. Buzzati”, “Il romanzo dell’essere e del nulla”, “L’esilio del re delle favole”, “Buzzati poeta”, “Buzzati e il teatro: un amore non ricambiato”, “Buzzati e la pittura: il filo invisibile”, “Buzzati al cinema”, ed ovviamente le rispettive ‘schede bio-bibliografiche di tutti gli autori’ presenti. Contenente, inoltre, alcuni saggi già pubblicati nel dicembre 1991 sulla rivista ‘Margo’ che Mauro Germani – curatore della raccolta – ha stilato nel numero monografico dedicato alla figura e all’opera di Dino Buzzati. Impreziosiscono il volume le interessanti ‘confessioni’ in forma di intervista rilasciate al curatore dalla sig.ra Almerina Buzzati vedova dello scomparso scrittore. Indubbiamente in passato è stato scritto molto su Dino Buzzati, tuttavia con questa raccolta si riapre qui un discorso che in qualche modo si era interrotto senza una vera ragione, forse a causa di quel disuso che le lettere comportano in sé, nonostante occupino un posto nella biblioteca personale di quanti amano leggere libri, e che pure rimangono lì tra“l’attesa e l’ignoto” di essere riscoperti. Rileggere una raccolta di racconti, un romanzo, o un’opera poetica, talvolta restituisce al lettore attento qualcosa che gli era sfuggito in prima lettura, così come rivedere un film che si è già visto ci fa rivivere le emozioni e rinfranca i sentimenti che ci sembravano spenti. È questo il segreto della memoria alla quale non possiamo non chiedere di continuare a vivere in noi, in certi momenti di intensa comunione con la nostra vita, quella che abbiamo vissuta e quella che avremmo voluto vivere, oltre, ovviamente, all’illusione dell’attesa e dell’ignoto che da sempre ci riservano ‘il sogno e l’illusione’: “..Era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o illusione: anche se vero” (Dino Buzzati dal libro "Le notti difficili"). Ed è qui che si riapre il discorso tutto letterario sul ‘fantastico’ di Dino Buzzati, in cui l’autore dei racconti insegue l’intenzionalità dell’appropriarsi del ‘tempo’ pur sapendo della sua imprendibilità, della sua ‘irraggiungibilità’. Di fatto, in molti suoi racconti come nei romanzi, egli configura ‘il tempo dell’attesa’ che lo separa e lo coinvolge nella ‘morte’; e questo è reso possibile solo rifacendosi all’esistenza (ovviamente non moralista e neppure favolista dell’autore), travolto dell’opera suggestiva e inesorabile del ‘tempo’ che, come il ‘destino’ si lascia afferrare solo nella condizione della solitudine della ‘morte’: “...Un po' più in là della tua solitudine, c'è la persona (ciò) che ami”. (Dino Buzzati da “PensieriParole”). Dino Buzzati è stato uno degli autori più significativi della letteratura del novecento, ha svolto la professione di giornalista del “Corriere della Sera”. Tra le sue opere, oltre quelle citate nel testo, vanno ricordati i romanzi “In quel preciso momento” (1950); “Sessanta Racconti” (Premio Strega 1958); “Le notti difficili” (1971). Romanziere e drammaturgo è stato anche pittore assai originale.

 


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