Strappate alla loro terra, portate per chilometri di distanza, a bordo di camion, poi di aerei, poi ancora di camion.
Infine, stipate per giorni al buio e al freddo, legate l’una all’altra.
Olandesi, keniote, colombiane, ecuadoriane, etiopi, indiane, cinesi…
Poi, sono state prese, tutte. Trasferite ovunque: locali d’ogni tipo, gente d’ogni tipo. Spogliate, maneggiate, esposte come un trofeo, con un’unica certezza: sarà questione di ore o di giorni ma, alla fine, moriranno tutte.
Una sopravvissuta ha raccontato la sua incredibile storia.
“Era un uomo giovane, con l’aria gentile, eppure mi ha tenuta in pugno per ore. La sua stretta diveniva di minuto in minuto più insopportabile. Incredibilmente, più il tempo passava e più provavo per lui una strana pena. Mi hanno spiegato che la chiamano “Sindrome di Stoccolma”.
Alla fine, mi sono ritrovata sul marciapiede, insanguinata. Ma quel sangue non era il mio: era del mio rapitore. Mentre mi stringeva, l’ho ferito. Poi, una ragazzina mi ha raccolta e mi ha condotta in casa sua, mi ha dato da bere ed un posto in cui riposare”.
San Valentino… che giornata di merda per una rosa!
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