Pubblicato il 16/07/2010 15:39:37
Ci fu un tempo che Palermo non fu soltanto “sacco”, mafia e spazzatura ma anche impegno sociale, slancio culturale, fermento artistico e passione musicale, come testimoniano il film documentario di Mario Bellone, “Dreaming Palermo”, presentato nel corso del Seacily Jazz Festival 2010, e l’omonima mostra fotografica che, attingendo agli archivi dei migliori fotografi palermitani (Scafidi, Glaviano) e a quelli di privati cittadini, ha esposto 150 foto in bianco e nero che raccontano la città nel ventennio 1950-1970. Il film parte dal raduno musicale del luglio 1970, quattro giorni di una kermesse che ebbe luogo allo stadio della Favorita dove si esibirono Duke Ellington, Aretha Franklin, Brian Auger, Jhonny Halliday, Tony Scott e Kenny Clarke, gli Exseption e Arthur Brown, e dove migliaia di giovani sdraiati sul prato replicavano la Woodstock degli hippy. Il Festival Pop ’70 è nel film di Bellone il culmine di una Palermo dimenticata, ricordata e raccontata da musicisti, giornalisti, organizzatori di eventi, una città che oggi i giovani non possono riconoscere, che li stupisce perché creduta e identificata come luogo provinciale, lontana dai grandi fervori sociali e culturali, e senza speranza. E invece nelle belle immagini del film rivive la Palermo che, archiviato il dopoguerra, riscopre il piacere del ballo, della musica, del teatro e inaugura la stagione dei grandi concerti: il Teatro Biondo ospita Louis Armostrong, il Golden Nat Coleman, Ella Fitzgerald e John Johnson; nascono i locali dove si suona jazz: Mirage, Miramare, Birreria Italia, Caffè Moka, Open Gate e iniziano ad affermarsi Claudio Lo Cascio, Gianni Cavallaro, Enzo Randisi, musicisti il cui nome resterà iscritto nella storia del jazz siciliano. Nascevano le Settimane Internazionali di Nuova Musica, si esibiva il controverso maestro Stockhausen, si dibattevano i grandi temi dell’Avanguardia Europea, nasceva proprio a Palermo il Gruppo ’63 con Eco, Sanguineti, Pagliarani. S’affacciava il boom economico, la città iniziava ad essere saccheggiata, ma dal Belvedere di Palazzo Utvegio era ancora possibile scorgere le vie rettilinee e spaziare con lo sguardo fino al mare di Mondello e alle sue ville Liberty, e dai tornanti di Monreale ancora la Conca offriva aranceti e odore di zagara. Anche a Palermo, estremo lembo di continente e avamposto d’Africa, si evolvevano i costumi, i giovani occupavano le scuole e proclamavano l’autocoscienza, le ragazze osavano le minigonne e riconoscevano in Franca Viola, prima donna siciliana a rifiutare il matrimonio riparatore, l’antesignana di un sistema sociale che esigeva un cambiamento. Poi gli anni ’70 iniziarono ad avvelenare il clima nazionale ma a Palermo sopravviveva ancora un respiro di buona cultura, le librerie Flaccovio, Cavallotto, Ciuni accoglievano gli intellettuali siciliani che resistevano all’emigrazione, Leonardo Sciascia si divideva fra la capitale dell’isola e la Francia; proliferavano le associazioni: letterarie, teatrali, musicali. Fino agli anni ’80, gli anni della “primavera di Palermo” del sindaco Orlando, la città fu un fiorire di iniziative ed eventi culturali, si riaprirono antiche ville e si infiorarono i vicoli del vecchio centro storico. Dopo calò il silenzio della disfatta. Torneremo ancora a sognare per Palermo l’Aziz?
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