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Guido Morselli (1912-1973)

Argomento: Letteratura

di Maria Grazia Ferraris
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Pubblicato il 12/02/2015 10:04:23

Guido Morselli. (Bologna 1912- Varese 1973)


Guido Morselli, che fu al di fuori dei percorsi più battuti della letteratura italiana contemporanea,rappresenta uno dei più singolari "casi"letterari del 900, difficile da definire:un grande autore,ignorato in vita, suicida,e successivamente "riscoperto".Era altero e isolato, sdegnoso nei confronti della società culturale che lo circondava e conscio del valore estremo della scrittura,tanto da farne l'unica ragione di vita:ebbe sensibilità verso temi culturale e soprattutto sociali,anticipatrice rispetto a molte correnti letterarie dei decenni successivi,cosa che lo condannò all’insuccesso editoriale e a un'angoscia esistenziale cui non ebbe la forza di resistere.
Nella solitudine di Santa Trìnita,sulla collina gaviratese compose la maggior parte della sua produzione consistente in saggi,racconti,romanzi, commedie. Scrisse anche articoli collaborando con periodici locali e con Il Tempo di Milano,La Prealpina di Varese,Il Mondo, La Cultura,Questo e altro.
In sella alla cavalla Zeffirino,regalatagli dal padre,amava cavalcare per i monti e le campagne del Varesotto, ma anche percorrere le strade di Gavirate.
Nell’agosto del 1943,uscì presso Garzanti,con la prefazione di Antonio Banfi, il suo primo libro: Proust o del sentimento, un trattato sull’opera più nota dello scrittore francese, La Recherche.
Nel 1947 venne pubblicata presso Fratelli Bocca un altro saggio: Realismo e fantasia, il secondo e l’ultimo libro a vedere la luce durante l’esistenza del suo autore.
Tutto quello che ha scritto posteriormente è stato pubblicato dopo la morte da Adelphi.
Libro di grande interesse, Realismo e fantasia, filosofico, di cui Morselli dice, scrivendo nel ’49 a Guido Calogero: “Il libro che Le invio…è veramente il prodotto di una specie di germinazione avvenuta in me stesso: il personaggio che si chiama Sereno, è quella parte di me che non si è peritata di gettarsi allo sbaraglio nell’avventura filosofica; l’altro interlocutore è quella parte di me che resiste al tentativo, che gli oppone la sua ironia che non è incline a tornare alle “viete” formule del realismo e del “sistema”.
Sempre nel ’43 inizia la stesura del suo primo romanzo Uomini e amori, al quale tornerà nel 1958 portando qualche modifica. Nel 1947-48 scrive il romanzo breve Incontro col comunista (edito da Adelphi nel 1980)
A Santa Trìnita Morselli scrive fra il 1961 e 1962 Un dramma borghese,tra il 1964 e 1965 Il comunista,(Adelphi 1976), Brave borghesi nel 1966,Roma senza papa tra 1966 e 1967, (Adelphi 1967), Contro-passato prossimo: un’ipotesi retrospettiva tra il 1969 e il 1970, Divertimento 1889 tra il 1970 e il 1971(Adelphi, 1975), Dissipatio H.G.,tra il 1972 e il 1973, l’anno della sua morte( Adelphi,1977).
La sua narrativa è coinvolgente e,insieme, disturbante nella sua asprezza e nel suo rigore filosofico. L'altro aspetto, coesistente,è quello scherzoso,grottesco e umorale, fondamentalmente ironico, che appare in Contro-passato prossimo,Divertimento 1889,Roma senza papa e nelle novelle... Nel 1987 è apparso, a cura di G. Pontiggia, a completare la sua lettura, il Diario.
Morselli fu indubbiamente un solitario,una vocazione che espresse molto chiaramente a più riprese nelle sue opere:“ A livelli sia pure superiori al mio,il pensiero è sempre stato solitario, fine a se stesso, asociale... secreto da monadi senza finestra, o che non si curavano di mettersi alla finestra. L’idolatria della comunicazione è un vizio recente. E la società, dopotutto,è semplicemente una cattiva abitudine” ed ancora riflettendo sul vissuto e sui rapporti interpersonali aggiunge: ”io in realtà non so uscire dal mio solitario atteggiamento passivo,non prendo iniziative e forse non ne favorisco,capire e comunicare domandano applicazione,simpatia intellettuale, attenzione non epidermica….Non amo la gente espansiva…”
Spesso l’autore offre al lettore presentazioni autobiografiche diverse di se stesso: nei diari,intime, introspettive, nelle lettere, per esempio a Italo Calvino, nel febbraio del 1963,a Mario Pannunzio direttore del Mondo,nel maggio 1863,anni in cui si dedicava ai romanzi,in cui i ritratti autobiografici indiretti appaiono più oggettivi,riposati, comunicativi.Fa da ponte tra i due ambiti la riflessione su se stesso esposta in una lettera a Maria Galli,che amò, non riamata,lo scrittore.

Diamo perciò spazio alle lettere. Ad I. Calvino:
“Sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne.
Non sono un filosofo. Sono un agricoltore: vivo della campagna e in campagna…(tutt’al più mi spingo a Varese, a bordo della mia vecchia Ardea: una quattro-marce, che però va ancora benissimo..). Il vino di mia produzione ha riscosso gli elogi della scuola enologica di Alba.
…Qui da me, a S. Trinita,non ho né aspirapolvere né frigorifero.Non ho nemmeno la TV! In cambio ho un discreto cavallo da sella, col quale esploro la montagna che incombe subito dietro la mia casetta.Ho potato quest’autunno certi rosseggianti pini di Scozia,i cui rami, ricchi di materie resinose dall’aroma profumato, ho messo da parte da bruciare al caminetto nelle grandi occasioni. Lei mi venga a trovare… Si persuaderà che, se l’alienazione marxiana è l’amaro frutto insopprimibile dell’industrialismo, c’è un genere di alienazione... contro la quale l’attaccamento alla terra “dat medicamena”.
E a Mario Pannunzio, nel maggio del 1963:
“ Io sono scapolo, vivo solo, non ho molto da offrire,ma alberi, prati, silenzio, un’ampia veduta sui laghi e le Alpi,questi sì,lo posso offrire ai miei amici,e un’assoluta libertà, si fermino tre ore o tre giorni..”
A Maria Galli, 8 agosto 1943, alla quale dava del <voi>:
“..Per coltivare ideali bisogna, mi pare,credere nell’umanità o quanto meno riconoscerle un’esistenza autonoma, bisogna credere nella storia e vedervi una legge, o quanto meno ammettere che esista una storia diversa dalla nostra propria. Ve l’immaginate voi che razza d’ideali possa avere un egocentrico? Per conto mio, a voler essere proprio sincero, dovrei confessare, per esempio,che ciò che mi tiene qui non è molto diverso da un superficiale point d’honneur.”

Nei diari si autoanalizza: “Soffro, dunque sono”, scriveva nel suo diario.
“Sono stato, in vita mia, teologo e maestro d’equitazione; so,per averlo fatto con le mie mani, come si scombicchera il soggetto di un film cinematografico, e come s’impianta una coltivazione d’asparagi. Sono stato,per anni, soldato, filosofo,insegnante di lingua e segretario di società anonima.
Le mie chiacchere sono state immeritatamente pubblicate da due editori, cinque giornali, un ente radiofonico; ho i titoli legali per diventare pretore e chauffeur professionista; sono stato ufficiato a fare il precettore nella casa di un barone calabrese, e il commissario prefettizio di un comune.
Bon à tout faire, bon à rien faire? Può darsi; ma intanto,se la sorte mi riservasse di finire lattaio o regista di un teatro d’avanguardia- ciò non mi stupirebbe né mi rincrescerebbe.” (1 marzo 1955- diario). Ed ancora:
“ Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato,la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, ma non ho ottenuto nulla.Sono stato egoista fino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato in me né intorno a me.Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato;ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile.”( 6 nov. 1959, Diario)
“Unici responsabili, al mio tribunale,i condizionamenti ambientali e i cromosomi.Sono essi che fanno e proseguono la Storia”( Dissipaio H.G)

Il paesaggio gaviratese è un tema fondamentale in Morselli, a risalire fin ai primi romanzi:
“ Saverio soffriva soprattutto di nostalgia.Il desiderio pungente, continuo, a volte smanioso, dei luoghi che aveva lasciato….Gli antichi vedevano in ogni viaggiatore un esule,e lo trattavano come si trattano i poveri. Non vi pare che avessero ragione?...
La privazione di quei luoghi continuava ad essergli indicibilmente dolorosa…
La mia “sofferenza”, egli confidava nel suo diario, è quella che deve provare in ogni fibra una pianta che l’uomo trapianti in altro terreno, in altro clima. Quaggiù io sono, materialmente ed idealmente un “déraciné” ….,scrive durante gli anni di forzato soggiorno in Calabria nel ’43 e il sentimento di nostalgia per la sua piccola patria di Varese viene attribuita al protagonista di Uomini e amori
Col paesaggio gaviratese stabilì un rapporto stretto, durato circa quindici anni,e così lo dipinge in Realismo e fantasia:
“Il poggio di Santa Trinita si spicca dalla falda di una montagna,di buon’altezza, densa di castagni e faggi e aguzza di abetine al sommo;forastica tanto, da non offrire al riguardante segno di dimora umana…lo sguardo dal poggio si fa più volentieri a mirare la sottoposta conca del lago, che è di breve giro ma vario di ombre e di riflessi,i colli che vi si affacciano, e un lento ondular di campagne sino al limite incerto della grande pianura…Dallo stradone il viottolo sale erto al poggio per un montar di terrazzi ricavati nel calcare bianco( “i gironi”) ma dove in poca terra, abbarbicata alla pietra la vite cresce gagliarda e a suo tempo onusta di gonfi grappoli d’oro…Una radura erbosa corona il poggio,limitata per gran parte dal bosco, e a levante dalla dimora….Quadrata,ros(s)a di intonaco, genuinamente rustica e insieme di schiette proporzioni, …bellamente si accorda alle cose intorno,all’erba, agli alberi, al cielo.Le stanze a terreno danno agevolmente sul prato per la soglia appena rilevata, su cui si ferma spesso qualche lucertola a curiosare…Lo scrittoio si apre in vista del lago. In quella piccola stanza ( un caminetto, un tavolino, una specchiera, pochi libri..) io mi riducevo la sera innanzi di coricarmi, ..a lavorare al mio diario…Oltre il tocco mite della vecchia pendola,entro e fuori la casa non era voce,e dalla finestra giungeva sulle mie carte il sentore umido del prato notturno.”. La casa fu realmente costruita come è descritta nel 1952.

“ Da quella parte, in ogni stagione e pur nel pieno meriggio,temperandosi la luce per certo vaporar di nebbia su dai prati pingui, le tinte paion quasi ad arte men vive, quei verdi volti al celeste e al grigio, con uno strano attenuarsi all’occhio delle distanze, si che l’insieme sembra trapunto sopra un vecchio arazzo squisitamente sbiadito; e si pensa alla mano di un pittore più sollecito della sua vena elegiaca che della prospettiva. Da ponente,la veduta non meno estesa ha tutto il su naturale rilievo: la contrada degrada alle sponde di un altro lago, più vasto, di là dal quale si assiepano monti in successive catene…
Io vorrei una volta celebrare la soavità di un esordio settembrino a Santa Trinita,tra le selve e il vigneto,in vista di quel lago e di quei monti.Quivi l’autunno principia presto; appena, come quell’anno, dopo il culminar dell’agosto: palese in una più lieve tempra dell’aria, in una chiara e trepida trasparenza delle tinte, in un lene posar delle cose….”
E ribadisce nelle pagine del Diario:
S. TRINITA DI GAVIRATE- ( 14 ottobre 1945):“ Ieri ho trascorso solo nel sole di S. Trinita due ore deliziosissime.Tinte da vincere ogni pittorica fantasia, una luce carezzante, calda “corposa” come oro fluido, un silenzio sospeso.Io,in tenuta succinta,e la muccherella Pedrina ci siam tenuti placida e tacita compagnia sul gran prato che corona il poggio. I monti dell’Oberland bernese all’orizzonte chiari e pur tenui come un ricordo.L’atmosfera era quella di un idillio del Gessner,in una verde Arcadia settentrionale,certo più verde e amena che non dovesse essere quella mediterranea”
….A proposito di certo prato tra due alture boscose, percorso da un sentiero, che mi apparve di sfuggita durante una passeggiata, a Varese, e mi è rimasto stranamente impresso nel ricordo.Il valore essenziale che acquistano per noi soprattutto nel ricordo certi aspetti del paesaggio rimane affatto inesplicabile se non ammettiamo che veramente la natura è soltanto una prospettiva fatta esteriore e sensibile dalla nostra interna vita sentimentale.Quel tratto di paesaggio quegli alberi quel cielo sono in un certo istante,e si mantengono di poi,la vivente allegoria di uno stato d’animo nostro. Direi di più, che qualche volta in un aspetto della natura si esteriorizza tutto un capitolo della nostra storia .
Diario, 24 nov. 1943.“ Lasciate che altri decanti le calde, virenti primavere mediterranee e quelle timide e sognanti che indugiano sulle colline del Kent; gli autunni languidi di Roma, quelli rosseggianti e sontuosi delle piane del Maine e della Nuova Inghilterra: io vorrei una volta celebrare la soavità di un esordio settembrino a Santa Trinita, la selva e il vigneto,in vista di quel lago e di quei monti.”
E soffrendo per la decisione di lasciare il suo buon ritiro scrive in Sacro e profano , scrive:”Le nostre dolci e silvestri,taciturne colline. Fra i castagneti, s’intravede il grande lago lontano, e più a ponente i monti,profilati sul cielo verde, nell’immoto crepuscolo di gennaio.Seguiamo il viottolo e ci sentiamo legati a un patto di silenzio. Forse nella dell’amico Claudio si sta svegliando il ricordo della lettera che Stendhal scrisse all’amica dopo aver percorso, a cavallo, questi luoghi. <L’un des authentiques chemins du Paradis, on ne peut que se taire, ici, mèditer, se pâmer d’admiration, rêver ses amours>….
Pubblicato sul n.30 di Menta e Rosmarino, del giugno 2013

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