Pubblicato il 27/04/2008
Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo dei fiori rosa dell'eglantina. Dall'angolo del divano di coperte da sella persiane, sul quale era sdraiato, fumando com'era sua abitudine innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton coglieva lo splendore dei fiori di liburno del colore e della dolcezza del miele, i cui tremuli rami parevano appena sopportare il peso della loro fiammeggiante bellezza. Ogni tanto, l'ombra fantastica di un uccello in volo saettava, con un fuggevole effetto giapponese, sulle lunghe tende di seta grezza tese dinanzi all'enorme finestra ricordandogli quei pittori di Tokio dal viso di pallida giada che, con i mezzi di un'arte necessariamente immobile, cercano di rendere il senso della velocità e del moto. Il cupo ronzio delle api che vagavano tra le alte erbe non falciate o roteavano con monotona insistenza intorno agli stami coperti di polvere dorata degli sparsi caprifogli sembrava rendere ancora più opprimente la sensazione di immobilità. Il rombo sommesso della città di Londra ricordava le note basse di un organo lontano.
In mezzo alla stanza, fissato a un cavalletto, stava il ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria bellezza e di fronte, poco lontano, sedeva l'autore, Basil Hallward, la cui improvvisa scomparsa alcuni anni prima aveva suscitato tanto scalpore e fatto sorgere tante strane congetture.
Mentre il pittore guardava la forma bella e piena di grazia che con tanta abilità artistica aveva raffigurato, un sorriso di compiacimento gli attraversò il volto e parve volervisi fermare. Ma, improvvisamente, si alzò e chiudendo gli occhi posò le dita sulle palpebre, come se volesse tener prigioniero nella mente uno strano sogno da cui temeva ridestarsi. "È la tua opera migliore, Basil, la più bella cosa che hai mai fatto," disse languido Lord Henry. "Devi assolutamente esporla al Grosvenor. L'Accademia è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta che ci sono andato c'era tanta di quella gente che non sono riuscito a vedere i quadri, il che è tremendo, oppure tanti di quei quadri che non sono riuscito a vedere la gente, il che è anche peggio. Davvero, il Grosvenor è l'unico posto possibile." "Penso che non lo esporrò in nessun posto," rispose il pittore gettando all'indietro il capo in quello strano modo che provocava le risate dei suoi compagni di Oxford. "No, non lo esporrò in nessun posto."
Lord Henry inarcò le sopracciglia e lo guardò stupito attraverso le sottili spire di fumo che salivano in fantastici arabeschi dalla sigaretta grevemente oppiata. "Non vuoi esporlo? Perché, mio caro amico? C'è qualche motivo? Che strani tipi siete, voi pittori! Fate qualunque cosa per ottenere una reputazione, poi non appena l'avete raggiunta pare che la vogliate gettare via. È una sciocchezza, perché al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare di sé ed è il non far parlare di sé. Un ritratto come questo ti porrebbe più in alto di tutti i giovani inglesi e ti farebbe invidiare dai vecchi, posto che i vecchi siano in grado di provare emozioni." "So che riderai di me," rispose il pittore, "ma non posso davvero esporlo. Vi ho messo dentro troppo di me." Lord Henry si allungò sul divano ridendo. "Sì, sapevo che avresti riso; comunque è proprio vero." "Troppo di te! Parola mia, Basil, non ti credevo così vanitoso; e non riesco proprio a trovare nessuna rassomiglianza tra te, con quel tuo viso forte e marcato e i capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone che pare fatto di avorio e petali di rosa. Infatti, mio caro Basil, lui è un Narciso e tu... ecco, naturalmente hai un'espressione intelligente e tutto il resto, ma la bellezza, la vera bellezza, finisce dove inizia l'espressione intelligente. L'intelletto è di per se stesso una sorta di eccesso e in qualunque volto distrugge l'armonia. Non appena uno comincia a pensare, diventa tutto naso o tutta fronte, oppure qualcosa di orrendo. Guarda quelli che hanno avuto successo nelle professioni intellettuali. Sono assolutamente disgustosi. Eccetto, naturalmente, gli uomini di chiesa. Ma, del resto, gli uomini di chiesa non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a ripetere quello che gli è stato insegnato a diciotto e, come naturale conseguenza, ha sempre un aspetto delizioso. Questo tuo misterioso amico di cui non mi hai mai detto il nome, ma il cui ritratto trovo davvero affascinante, non pensa mai. Ne sono assolutamente sicuro. È una creatura bella e priva di cervello, una creatura che si dovrebbe avere sempre vicina d'inverno, quando non ci sono fiori da ammirare e d'estate, quando si sente il bisogno di qualcosa che rinfreschi l'intelligenza. Non illuderti, Basil, non gli assomigli minimamente."
"Non mi hai capito, Harry," replicò l'artista. "Naturalmente non gli assomiglio. Lo so perfettamente. In realtà mi dispiacerebbe assomigliargli. Scuoti le spalle? No, dico la verità. In ogni genere di distinzione, sia intellettuale che fisica, c'è una fatalità, quel genere di fatalità che, nella storia, pare in agguato sui passi incerti dei re. È meglio non essere diversi dal nostro prossimo. I brutti e gli stupidi hanno la parte migliore del mondo. Possono mettersi seduti a loro agio e godersi lo spettacolo. Se della vittoria non sanno nulla, gli viene perlomeno risparmiata la consapevolezza della sconfitta. Vivono come tutti dovremmo vivere: senza turbamenti, indifferenti e senza preoccupazioni. Non fanno male agli altri e non ricevono male da mani altrui. La tua nobiltà e la tua ricchezza, Harry, la mia intelligenza, per quel che può essere, la mia arte per quel che può valere, la bellezza di Dorian Gray: tutti soffriremo di ciò che gli dei ci hanno donato, ne soffriremo terribilmente tutti."
"Dorian Gray? Si chiama così?" domandò Lord Henry, muovendosi verso Basil Hallward. "Sì, si chiama così. Non volevo dirtelo." [...]
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