Pubblicato il 05/12/2017 18:38:56
In collaborazione con Cineuropa News
Intervista a Francesca Comencini • Regista di Vittoria Scarpa
29/11/2017 - La regista romana Francesca Comencini ci parla del suo nuovo film Amori che non sanno stare al mondo, proiettato al 35° Torino Film Festival e al cinema dal 29 novembre.
Dopo il debutto a Locarno, Francesca Comencini ha portato al 35° Torino Film Festival (sezione Festa Mobile) il suo nuovo film, Amori che non sanno stare al mondo , un’arguta commedia sentimentale tratta dal suo libro omonimo. Con protagonisti Lucia Mascino, vista di recente in La pelle dell’orso di Marco Segato e Suburra - La serie, e Thomas Trabacchi (Nico, 1988), il film esce nelle sale italiane il 29 novembre con Warner.
Cineuropa: Il suo film ricorda un po’ Io e Annie di Woody Allen, ma dal punto di vista di una donna. E’ stato un suo riferimento al momento di trasporre il libro al cinema? Francesca Comencini: Non oso dirlo perché è un capolavoro, ma in effetti sì, è un film che abbiamo molto guardato e a cui abbiamo pensato con le sceneggiatrici Francesca Manieri e Laura Paolucci. Lì, anche se dal punto di vista maschile, c’è una narrazione simile: un uomo che ripercorre ossessivamente la sua storia d’amore dal momento che è finita. Io e Annie è un tale modello di libertà e ironia, anche nel dolore, che è stato inevitabile pensarci. Il racconto si articola come una sorta di flusso di coscienza della protagonista, ma ogni tanto sentiamo anche qualche riflessione dell’uomo. Come avete strutturato il film?
All’inizio, quando ho cominciato a prendere appunti di quello che poi è diventato il libro, avevo pensato a quattro voci off, dei quattro personaggi principali, come un monologo interiore ininterrotto di quattro punti di vista diversi. Il libro in effetti è strutturato così, è più corale. Poi scrivendo il film, con le sceneggiatrici ci siamo rese conto che l’io narrante più forte era quello di Claudia. Già il film era in apparenza caotico e frammentario, quindi moltiplicare le voci off diventava impossibile. Però è rimasta quella di Flavio che ogni tanto fa capolino.
Soprattutto nella prima parte, le nevrosi della protagonista sono portate all’estremo, sfiorano l’inverosimile. Era intenzionale creare questo distacco dalla realtà?
Sì lo era, perché lei, specialmente nella prima parte del film, è affetta da questa sorta di iper narrazione continua che hanno le persone innamorate quando vengono lasciate. Chiunque di noi che abbia un’amica o un amico separati da poco sa che per sei mesi dovrà rassegnarsi a sentir parlare solo di quello. E’ una cosa buffa e anche ironica del personaggio, ma più in generale ho cercato di raccontare una donna che prima di tutto non fosse una vittima. Lei è disperata, ma questo suo essere eccessiva è stato un modo per renderla iper reattiva. Volevo anche un personaggio che uscisse dai canoni: quando sei una donna che vuole sempre esprimere la propria soggettività, a rischio di essere a volte molesta, rischi di diventare eccessiva, perché questo mondo non lo prevede. Il tuo eccesso è il non saper stare al mondo così come è, ossia un mondo raccontato dagli uomini.
Aveva pensato fin dall’inizio a Lucia Mascino come protagonista?
Sinceramente no, ci sono arrivata tramite il casting. L’avevo già vista in teatro, ma non avevo pensato a lei perché all’inizio immaginavo un’interprete più grande di età. Ma quando ha fatto il provino, ho capito subito che era lei. Sono contenta di aver dato sia a Lucia che a Thomas Trabacchi un ruolo da protagonisti, sono due attori molto bravi, con molto teatro alle spalle, con molta tecnica, ma anche molta ingenuità e capacità di mettersi in gioco.
Una scena molto divertente immagina una lezione universitaria di 'eterocapitalismo', dove si calcola l’età di una donna sulla base di fattori che prescindono dall’anagrafe… Uno degli aspetti del film è quello di ragionare sull’invecchiare, che è diverso per un uomo o una donna. Non biologicamente, intendiamoci: diversa è l’autorizzazione che il mondo dà alle donne e agli uomini di invecchiare, in un sistema patriarcale. La scena, in realtà, si basa su un testo serissimo di un filosofo che si chiama Paul B. Preciado, che ragiona in maniera estrema e per me geniale sulle costruzioni normative dell’eterocapitalismo. Lo abbiamo rigirato in modo ironico, perché è un modo molto efficace per far capire come tutto ciò che riguarda l’età, i ruoli, gli stereotipi di genere, sia una costruzione culturale. Nel mercato reale se sei divorziata, se non hai lavoro, se hai figli a carico non vali niente, sei considerata una settantenne anche se hai 46 anni. Ho sentito miliardi di volte dire che le donne invecchiano peggio, ma sono cazzate.
Ha già qualche altro progetto in cantiere? Continuerà a misurarsi con la serialità televisiva? Non ho ancora nuovi progetti per il cinema. Quanto alla serialità, sono tra i registi di Gomorra - La serie dalla prima stagione, ora siamo alla terza. E’ una cosa che mi appassiona tantissimo. Penso che nella serialità oggi ci siano possibilità di ricerca e libertà di affrontare temi scomodi quasi più che al cinema, quindi sì, vorrei continuare su questa strada.
Sinossi Claudia e Flavio si sono amati, a lungo, morbosamente, con la clemenza del tempo che cambia e che passa. Poi tutto è finito, e per lei è stato come mettere qualcuno alla porta nella speranza che si riaprisse di colpo. A cinquant’anni quello che vedono è un mondo alla deriva, come un’isola. Lui ha dentro la furia che dà l’assoluzione, perché vuole andare avanti, tornare a terra; lei è un pozzo profondo nel quale annegare, perché salvarsi vorrebbe dire dimenticare e il ricordo non deve sparire. Il tempo che si concedono non è lo stesso, e forse non solo quello. Flavio incontra Giorgia, basta un attimo tra loro e la pioggia d’estate fa il resto. Lei, con l’energia e la freschezza dei trent’anni, il corpo acerbo di chi non vuole crescere, gli ha indicato la terraferma, e lui, appesantito dalla vita, si è abbandonato alle sue velleità. Claudia e Nina si conoscevano già, ma all’università, divise dal ruolo, dall’età, dall’idea che il rispetto non si sarebbe mai trasformato in amore. Eppure Nina è bellissima, una giovane Chloë Sevigny seducente e meravigliosa, e ora l’abbraccio che tende è famelico, e ha una potenza a cui nessuna donna può sottrarsi.
titolo internazionale: Stories of Love That Cannot Belong to This World titolo originale: Amori che non sanno stare al mondo paese: Italia rivenditore estero: Fandango anno: 2017 genere: fiction regia: Francesca Comencini durata: 92' data di uscita: IT 29/11/2017 sceneggiatura: Francesca Comencini, Francesca Manieri, Laura Paolucci cast: Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli, Valentina Bellé, Francesca Manieri. fotografia: Valerio Azzali montaggio: Ilaria Fraioli musica: Valerio Vigliar produttore: Domenico Procacci produzione: Fandango, RAI Cinema
Amori che non sanno stare al mondo, un fiume di parole che prendono corpo con ironia di Giorgia Del Don
07/08/2017 - LOCARNO 2017: Il titolo lunghissimo del film ben si adatta al torrente (verbale ed epidermico) che domina l'ultimo film di Francesca Comencini Lucia Mascino e Flavio Thomas Trabacchi in Amori che non sanno stare al mondo Presentato in prima mondiale sulla Piazza Grande del Festival del Film Locarno, Amori che non sanno stare al mondo [+] di Francesca Comencini fa la pericolosa scommessa di parlarci del dolore di un amore che finisce.
Claudia (straordinariamente interpretata da Lucia Mascino che calamita l’attenzione sin dai primi secondi) e Flavio (Thomas Trabacchi) si sono amati per ben sette anni di una passione divorante ed intellettualmente stimolante. Fra tira e molla, notti in bianco impregnate di discorsi tanto paradossali quanto universali e psicofarmaci camuffati in una scatola di vitamine, la loro storia finisce, di colpo. Lui sente la necessità di atterrare dopo un lunghissimo e vertiginoso volo mentre lei proprio non riesce a ritornare a terra, prigioniera di una terra di mezzo dove risuonano i suoi monologhi compulsivi.
È proprio da questo punto di vista 'femminile, complesso e inafferrabile, che Comencini riflette sull’innamoramento, sul fantasma di una passione che perdendo ogni appiglio nel mondo reale si sgretola ogni giorno di più diventando pura confusione. In questo senso Comencini opera una piccola ma significativa rivoluzione: quella di allontanarsi da una visione “maschiocentrica” per dare voce alle donne. Un punto di vista che alla fine ci rendiamo ben conto essere più universale di quello che si potrebbe pensare. Uniti dalle stesse insicurezze e nevrosi uomini e donne combattono una stessa battaglia per trovare una pista d’atterraggio emotiva, un momento di tregua che faccia tacere, anche solo per un attimo, i propri dubbi. Il fiume di parole che fa da cornice a tutto il film, nato appunto dal romanzo Amori che non sanno stare al mondo della stessa Comencini, straborda sempre di più fino a trasformarsi in torrente, in poema dell'assurdo che non può che strapparci alcune sane e liberatorie risate. La sfida che da subito Amori che non sanno stare al mondo si è lanciata è quella di unire parole e immagini senza che nessuna delle due prenda il sopravvento ma al contrario facendo in modo che entrambe partecipino alla costruzione di una commedia surreale ed esaltata proprio come i nostri sentimenti, scombussolati da un’improvvisa perdita.
A chi potrebbe rimproverare alla regista un punto di vista troppo elitista (i personaggi, tutti o quasi professori universitari, sono molto colti ed eruditi), la regista risponde a suon di scene esilaranti che mettono i suoi protagonista a nudo come a volerci dire che al di là della nostra educazione, ognuno di fronte al dolore di un amore che finisce è uguale: smarrito, ridicolo e vulnerabile. A tratti almodovariano (nella descrizione dei suoi personaggi femminili) e divinamente Woody Alleniano (nella scioltezza delle sue battute), Amori che non sanno stare al mondo ribalta i ruoli prestabiliti ridando infine alle donne la loro vera identità: non quella di un territorio da conquistare ma bensì da esplorare.
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