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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

I just called to say i love you

di Gaetano Guerrieri
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Pubblicato il 15/09/2009 11:27:24

Primi giorni di aprile col cielo tornato sereno dopo un’interminabile pioggia; il sole è tramontato da poco e ha ceduto il passo alla fresca e pallida sera.
Sono le diciotto e trenta, dalla finestra dell’albergo “Oriente” osservo uno splendido paesaggio che mi riempie il cuore e mi distoglie dai cattivi pensieri.

Dalla mia postazione riesco a vedere, di fronte, una buona quantità di mare, un pezzo di riva e parte della montagna che li domina, sulla destra.
Il cielo è quasi tutto grigio, come il mare, mentre la montagna è al buio. In alto, nel cielo sereno, grasse e lunghe nubi scure, alternate ad altre grigie, più piccole e snelle, sono evidenziate da una lunga, sottile, disomogenea e tenue striscia di rosso. Più in basso, nuvole più chiare, quasi bianche, sembrano poggiare su un’altra striscia, più lunga e meno sottile della prima, di un rosso più corposo e intenso.
Ancora più in basso, altre nuvole, leggermente più cupe di quelle precedenti ma non quanto quelle più in alto, confinano e si perdono in un’ulteriore fascia rosso porpora più ampia e più lunga delle altre. Così il rosso finale del cielo sembra toccare e colorare di rosso il mare per un po’ per poi lasciarlo al suo cupo grigio sino gli scogli. Questi ultimi, quasi completamente al buio, a prima vista appaiono irrilevanti e quasi estranei alla bellezza del cielo e del mare ma è soltanto una momentanea impressione, poiché mi rendo immediatamente conto della loro funzione di completamento e di raccordo tra il mare e la montagna.
Il mare è quasi completamente immobile all’orizzonte tanto da trasmettermi una penetrante sensazione di calma e di tranquillità; poi, man mano che lo sguardo viene verso la riva, l’acqua prende lentamente vita in piccole e bianche increspature che sembrano ansimare prima di trasformarsi in onde sempre più visibili, chiare e alte, come a mostrare un’anima inquieta.
Il rosso purpureo dell’orizzonte si trasforma prima in un grigio intenso per poi sfumare sino al bianco delle onde.
Queste, prossime alla riva, in un primo momento sembrano voler dolcemente accarezzare la riva, ma poi, improvvisamente, si gonfiano e paiono quasi ruggire prima di infrangersi, con inaudita violenza, contro i grossi massi perdendosi poi tra le rocce degli scogli.
Sulla destra, a un centinaio di metri dal mare riesco a vedere l’imponente montagna scura e silenziosa e, in essa, come una grave e dolorosa ferita, la tortuosa e stretta strada asfaltata che corre tra rocce tagliate quasi verticalmente. Dopo un corto rettilineo il tracciato si nasconde dietro un tornante per poi ricomparire e ritornare nuovamente a perdersi dietro il successivo. Al di sotto del piccolo guardrail in lamiera che la delimita, c’è un corto pendio ricoperto da piccoli alberi e, immediatamente più a valle, una stradina alberata, pavimentata in bianco selciato che si snoda lungo tutta la scogliera. Ancora più a valle grandi e disomogenee rocce scure e numerosi, grossi e regolari massi chiari completano il paesaggio sino al mare.

E’ un posto da sogno, quasi irreale; i colori del cielo, del mare e della montagna si fondono e si mischiano creando un’atmosfera da favola e l’animo, di fronte a questa esagerata e prepotente bellezza, non può che restare in muto silenzio per meglio ammirare, estasiato, la perfezione di questa natura, rasserenandosi e predisponendosi per buoni e grandi pensieri. E ritorno con la mente alle ore che hanno preceduto quest’incanto.

“Non aspettarmi stasera, rientrerò molto tardi, forse resterò fuori tutta la notte. Ti chiamo appena possibile.” E’ il messaggio che ho lasciato a Carla, sul tavolo della cucina, uscendo cinque ore fa da casa.
Da quel momento ho guidato la mia potente Porche per circa quattrocento chilometri fermandomi solo per fare rifornimento, andare in bagno, mangiare un panino e bere un caffè.
Partendo non avevo in mente di arrivare tanto lontano, né previsto che mi sarei fermato in questo posto di cui ignoravo, sino a oggi, persino l’esistenza. E’ successo che mi sono ritrovato a casa da solo, lei era a un pranzo di lavoro e io non avevo nessuna voglia di prepararmi qualcosa da mangiare. Ero, inoltre, senza sigarette e andare a trovare mamma mi forniva l’occasione per comprarle, mangiare qualcosa di buono senza utilizzare la cucina e, sopra tutto, riabbracciare i miei vecchi che non vedo ormai da troppo tempo. Quando vado da mamma non riesco quasi mai a rientrare prima delle ventitré; da qualche anno ho riscoperto il piacere di stare con loro, il tempo trascorre sempre troppo velocemente e non mi basta mai.
Inoltre li vedo raramente sia a causa della distanza che ci separa sia per il palese disaccordo tra Carla e mamma; non sono mai riuscite ad affezionarsi veramente e, per mia moglie, è stato sempre un sacrificio accompagnarmi.
Così, ogni tanto, ci vado da solo e, nelle ricorrenze e nelle festività, con Carla. Quando succede mamma è sempre tanto felice e qualche volta, sapendo che ci tengo, chiede di mia moglie, così è abituata a chiamarla quando non c’è.
Ogni volta mi ripete che sono sciupato, che non mangio a sufficienza e mi prepara piatti abbondanti che, per non farle dispiacere, mangio senza discutere. Poi, quando si fa tardi, e da mamma si fa sempre tardi, mi suggerisce di rimanere la notte a dormire “ tanto il tuo letto è uguale a quando l’hai lasciato” afferma “ così non hai bisogno di viaggiare col buio” aggiunge ed è sempre tanto felice quando mi fermo. Al contrario di Carla.
Mia moglie, difatti, è sempre poco entusiasta quando vado da mamma e, quando poi mi fermo a dormire, diventa stranamente anche molto ironica e un pochino cattiva. Per questo, pensando alla possibilità di ricambiare l’antipatica ironia le ho lasciato un messaggio ambiguo.
Queste erano le intenzioni ma era destino che tutto andasse diversamente; me ne accorsi subito quando, appena entrato sull’autostrada, già al primo distributore dimenticai di comprare le sigarette e me ne convinsi poco dopo quando tirai diritto all’uscita per il paese ove vivono i miei. Nel tratto di strada che separava il distributore dall’uscita ricordai che là l’unico tabacchi, ammesso di trovarlo aperto prima delle diciotto, non vende le sigarette che fumo e, soprattutto, che non avevo avvisato mamma e quindi, il mio inaspettato arrivo, avrebbe potuto crearle problemi e metterle strani pensieri. Era accaduto già un’altra volta ed era stato difficilissimo farle capire che non era successo niente, che non avevo litigato con Carla e che ero lì solo perché avevo voglia di vederli e di stare un po’ con loro. In quella occasione fui costretto a farla parlare con mia moglie e così smise di farmi domande ma cominciò a parlare di lei e del suo brutto carattere.
- Tua moglie è sempre più scostante e misteriosa - disse – ha un carattere decisamente pessimo, ogni volta che le parlo mi convinco sempre di più che non è una donna che va bene per te che sei tanto buono… Ma oramai l’hai sposata e non ci puoi più fare niente. Non so come fai a sopportarla figlio mio… Non mi stupirei se, un giorno o l’altro, tra voi dovessero sorgere dei problemi… Non avete ancora nemmeno deciso di darmi un nipotino… E la colpa è sicuramente sua, le donne moderne non vogliono troppi problemi e tua moglie non ne vuole nessuno - concluse.
Mi spaventava l’idea che Mamma, una volta saputo che non avevo pranzato e dell’assenza di Carla da casa, potesse sottopormi a un altro interrogatorio ed ero terrorizzato dalla probabilità che la mia visita potesse poi diventare un lungo e antipatico monologo sui palesi e incontestabili difetti di Carla per concludersi con l’inevitabile contestazione sul “nipotino che non arrivava”.
Decisi, pertanto, che era meglio evitare ogni problema e che un bel giro lungo e un po’ d’aria mi avrebbero certamente fatto bene e continuai, così, a guidare senza una meta sino a quando avvertii la stanchezza e uscii dall’autostrada.
Percorsi ancora qualche chilometro poi svoltai verso il primo paese. Dopo una decina di curve e altrettanti tornanti mi accorsi che stavo guidando verso il mare perché lo vedevo in lontananza e, dopo nemmeno una ventina di chilometri, arrivai proprio davanti l’albergo.
Notai immediatamente la straordinaria bellezza del posto e, senza pormi altri pensieri, decisi che era il posto ideale per passare la sera e la notte.
Ho parcheggiato così l’auto in un piccolo spazio appositamente destinato agli ospiti dell’albergo, preso una camera singola con bagno, fatto una doccia, rivestito e affacciato alla finestra per osservare il tramonto.
Da almeno una trentina di minuti sto qui a guardare le onde del mare infrangersi sugli scogli e odo chiaramente il frastuono del loro fragore; mi sento sereno, felice di una gioia leggera eppure tanto intensa e avvolgente.
I pensieri tornano nuovamente a Carla; a quest'ora dovrebbe essere rientrata a casa e aver letto il messaggio, mi chiedo cosa avrà pensato.
In un primo momento ne sarà rimasta sorpresa e, incredula, avrà pensato a “uno dei miei soliti stupidi scherzi”, come ama definirli; poi sarà andata su tutte le furie e cercato di capire dove fossi finito. Sicuramente non ha chiamato mamma per chiedere, non lo avrebbe mai fatto; forse crede persino che sia da lei e, in questo caso, starà aspettando che la chiami io. E’ improbabile che si sia ricordata che da tempo le ripeto di sentirmi stanco e di quella volta che le ho confessato la voglia di andarmene da solo da qualche parte per rilassarmi e riflettere… Difficile, non credo che possa ricordarsene, non ha dato mai troppo peso alle mie fantasie. Probabilmente avrà provato a chiamarmi sul cellulare; sono sicuro che a quest’ora sarà preoccupata e, soprattutto, arrabbiata e, magari, sta continuando a chiamarmi e continuerà a farlo sin quando non le avrò risposto. L’ho spento quando mi sono fermato all’ultima stazione di servizio, temendo proprio una sua chiamata; non ho voglia di darle spiegazioni o inventarmi strane scuse, forse la chiamerò più tardi e comunque non prima d’aver costruito una storia credibile e sostenibile.
Mi stupisco di quanto sia sereno nonostante conosca bene il suo carattere, decisamente irascibile e vendicativo; non so perché ma ora non mi preoccupo nemmeno per le sicure conseguenze che mi deriveranno da questo inspiegabile e inconsueto comportamento.
Già, dovrò inventarmi qualcosa… Trovare una scusa plausibile… Un motivo credibile per questa gita, per questo posto, questa sera e questa notte. Sarà sicuramente difficile trovarne, vorrà sapere e capire tutto e non si accontenterà certamente di una spiegazione semplice.
So che vorrà sapere dove sono stato, che ho fatto e non potrò dirle di essere stato da parenti o amici che conosce, li avrà senz’altro chiamati già tutti o lo farebbe per controllare, e non posso nemmeno inventarmi d’essere stato da mamma; prima o poi potrebbe venir fuori che non è vero e allora sì che mi ritroverei in guai ancora peggiori…
Nemmeno mamma scherza in queste cose e, per molti versi, è molto più categorica e severa di Carla.
Non oso nemmeno inventarmi nuovi o vecchi amici che lei non conosce, non ci crederebbe mai e vorrebbe sicuramente controllare con la scusa di conoscerli e, anche in questo caso, mi potrei ritrovare in guai peggiori .
La soluzione sarebbe dirle la verità ma come spiegarle la mia partenza, questo posto e, soprattutto, la permanenza per la notte? No, non capirebbe di certo; da quando l’ho sposata non le ho mai dato motivo per dubitare di me ma non ha mai dimenticato una mia piccola storia con una sua amica ed è ancora talmente gelosa che penserebbe a un altro tradimento. Dovrò, pertanto, confessarle che sono stato in questo posto perché pretenderà, sicuramente, di vedere le ricevute dell’albergo e del ristorante ma per la verità dubito molto che riuscirò a trovare spiegazioni credibili perché la situazione è veramente fuori da tutte le mie abitudini e da ogni logica. Mi chiedo ancora perché non riesco a confessarle, sinceramente, che da tempo avverto un po’ di stanchezza fisica e mentale e che ho solo bisogno di starmene un po’ per i fatti miei, vedere posti e gente nuova e di immergermi in una realtà differente per provare a rimettere insieme i pensieri.
So che queste sono spiegazioni che Carla non capirà né giustificherà mai e, in fondo, posso anche capirla; è che la mia vita è sin troppo normale e gratificante per spiegare questa specie di fuga senza preavviso.
In famiglia godiamo tutti di buona salute, con lei va tutto sin troppo bene, ci amiamo tantissimo e stiamo benissimo insieme nonostante i dodici anni di matrimonio, i miei affari sono più che buoni e non ho preoccupazioni finanziarie e anche i nostri amici sono tanti e simpatici.
In realtà credo che sia proprio questo il problema: al benessere e allo stare troppo bene ci si abitua in fretta e se non nascono nuovi e continui interessi alla lunga, questa situazione apparentemente invidiabile, ristagna al punto da essere vissuta come noia insopportabile; il bisogno di nuovo e diverso, specie per un carattere inquieto ed estroverso come il mio, prevale su tutto, così si sente il bisogno di fare una bravata, anche solo per ritornare a sentirsi vivi. Capisco che questi pensieri, in qualche maniera, possono rovinarmi lo stato di benessere generale che sto vivendo così decido di non lasciarmi condizionare dalla ricerca di spiegazioni o scuse che per il momento non m’interessano, mi ripeto che ormai è fatta e che sto troppo bene per pensarci. Decido che voglio, per il momento, solo godermi il posto e questa sensazione rimandando a poi tutto il resto.
Sorrido pensandolo e, guardandomi allo specchio, mi dico che sono forte, che va tutto bene e che, in ogni caso, saprò trarmi dall’impaccio. E’ da un sacco di tempo che mi sentivo in gabbia: ne avevo bisogno, non sto facendo niente di male; sono soltanto felice e sereno e se Carla mi vorrà capire farà bene altrimenti… Andrà come andrà, tanto non posso più farci niente e anche se rinunciassi ora sarebbe lo stesso.

Lascio la stanza, scendo per le scale, raggiungo il portiere e gli chiedo cosa ha da offrirmi il posto per la sera.
- Non è la stagione ideale ma il paese è proprio carino; in centro ci sarà sicuramente gente per strada, i negozi restano aperti sino a tardi, non sono ancora aperte le discoteche ma c’è un cinema che funziona tutto l’anno. Può, se gli interessa, vedere il paese: c’è il Duomo che è molto interessante ma non so se sarà aperto a quest’ora, potrà magari vederlo domani, se resta anche domani e ha tempo… Per stasera può anche arrivare sino alla scogliera, è molto bella e anche laggiù troverà gente… Oppure può andare in qualche locale, dipende dai sui gusti…
Lo ringrazio ed esco lasciandogli la chiave della stanza.
Attraverso la strada asfaltata adiacente l’albergo sino alla piccola piazzetta in pietra naturale dove mi fermo, per un attimo, ad osservare.
La piazza, circolare sul lato più lontano, è delimitata da un muretto, non più alto di una sessantina di centimetri, sul quale è montata una ringhiera in ferro di tipo tradizionale, alta almeno una cinquantina di centimetri.
Ogni cinque-sei metri il basso muro è prolungato sino all’altezza della ringhiera e sulla sua sommità, costituita da una pietra naturale quadrata leggermente sporgente, è sistemato un vaso in cotto nel quale vi sono piantine fiorite.
Prima della protezione, a qualche metro di distanza, si trovano sei alberi di notevoli dimensioni intorno ai quali sono sistemate altrettante aiuole rettangolari; davanti e dietro a ogni albero c’è sistemata una panchina, una rivolta verso la strada, l’altra a valle sulla scogliera.
Al centro, tra le aiuole, c’è una fontana in ferro battuto, probabilmente antica, vicino alla quale giocano tre ragazzini rincorrendosi.
Raggiungo la ringhiera, m’affaccio e rimango incantato dalla bellezza del paesaggio a valle: un vero e proprio spettacolo della natura.
Dopo uno strapiombo di una trentina di metri e una piccola scarpata, ricoperta di piccole piante verdi e ben curate, c’è la piccola stradina di selciato bianco che avevo già ammirato dalla finestra dell’albergo.
L’illuminazione del viale è assicurata da piccoli lampioni a luce gialla posti a una distanza regolare; la strada è delimitata da alberi in entrambi i lati e, ogni tanto, rivolta verso il mare, c’è una panchina in legno.
Più a valle, per almeno centocinquanta-duecento metri, c’è una piccola spiaggia a sabbia bianca che si estende tra due grosse montagne che la delimitano e la proteggono dai venti e dalla vista.
A destra, leggermente più indietro dalla spiaggia, in corrispondenza della fine della stradina bianca c’è un’altra piccola insenatura, nella montagna, come una sorta di buco a sabbia scura nella quale è ben visibile un piccolo fuoco con molti giovani intorno.
Avverto chiaramente il rumore delle onde che si spengono sul bagnasciuga e il canto delle voci accanto al fuoco accompagnate da una chitarra.
Mi fermo per un po’ ad ascoltare e a guardare e sento la serenità e la felicità che mi pulsano nell’anima; sono commosso da tanta bellezza, mi viene quasi voglia di piangere e, per non farlo veramente, m’avvio per una stradina in salita che mi hanno detto dovrebbe portare al centro del paese.
I gradini sono leggermente in pendenza, costituiti da pietra naturale e delimitati da cordolature in porfido bianco bucciardato; le case, ai due lati, sono di diversa altezza, tutte bianche con finestre e porte in legno.
Ogni tanto incontro qualche casa molto più alta delle altre, le scalinate e i gradini di ingresso sono tutti di dimensioni variabili, alcune porte sono arricchite da grossi portali in pietra e, sui molti balconi, è stesa biancheria ad asciugare; odo voci di bambini all’interno delle case e altre di adulti che discutono, queste ultime confuse e, a tratti, coperte da altre probabilmente provenienti dai televisori sintonizzati sul telegiornale.
Raggiungo la strada superiore e mi ritrovo in un’altra piazzetta del tutto simile a quella lasciata più a valle; mi affaccio sul muretto che la delimita e, oltre i tetti, ritrovo parte della piazzetta adiacente l’albergo e, più a valle, il mare sul quale adesso giganteggia una splendida, rotonda e bianchissima luna che l’illumina e lo rende meno scuro del cielo. Da questa postazione non riesco a vedere il fuoco e i ragazzi sulla spiaggia, è scomparso, purtroppo, anche il rosso purpureo del tramonto e il colore dominante è, adesso, il nero della montagna e della spiaggia alternato al grigio cupo del mare e a quello più chiaro del cielo.
Su tutto giganteggia la pallidissima luna, signora e padrona incontrastata.
M’avvio per la strada principale, una stretta e diritta strada delimitata da due ampi marciapiedi arricchiti da grandi alberi, da aiuole circolari ben curate e da piccoli lampioni in ferro battuto che sorreggono lampade colorate.
Sono le venti e trenta ma i negozi sono ancora aperti nonostante la stagione; non fa freddo e c’è ancora parecchia gente per strada.
Cammino osservando le case, alcune bianche e basse, altre alte e colorate.
Mi fermo a comprare le sigarette a un tabacchino poi ritorno per strada, ne accendo una e m’avvio lungo una strada leggermente più larga della precedente con fabbricati più uniformi e chiedo a due passanti le indicazioni per raggiungere un ristorante o una pizzeria.
Con molta gentilezza mi dicono che molti sono ancora chiusi ma che uno dei migliori è aperto tutto l’anno – Al “Muro della Papera” si mangia bene e non si spende tanto… - e mi indicano il percorso per arrivarci.
Ci arrivo dopo una quindicina di minuti chiedendo altre informazioni e tutti sono gentili e cortesi, non è sulla strada principale e per vederlo bisogna attraversare un basso portico fra due grossi fabbricati.
Il ristorante è all’angolo di una piccola piazza chiusa su tre lati da fabbricati che, per una favorevole e straordinaria conformazione del luogo, domina uno strapiombo e una piccolissima spiaggia nascosta fra due rocce che s’estendono per alcune centinaia di metri più avanti nel mare.
- E’ il paradiso terrestre questo posto – penso e m’avvio verso la porta del ristorante.
Il locale si compone di una sola sala rettangolare lunga con i muri fuori squadro, il soffitto in legno e pareti bianche intonacate a rustico; sulla sinistra c’è un grande bancone e, più in la, sempre sul lato sinistro, una parete in legno che suddivide e nasconde una parte della sala probabilmente destinata ai servizi igienici.
Ci sono molti tavoli apparecchiati e ordinati per gruppi da quattro e superiori, molti sono vuoti: almeno una quindicina di persone stanno cenando e si voltano a guardarmi.
Una bella ragazza mi fa sedere a un tavolo posto sulla destra della sala e, dopo avermi regalato uno splendido sorriso, mi chiede cosa voglio mangiare.
- Qualcosa di particolare, un piatto del posto, lei cosa mi consiglia?
Mi chiede quanta fame ho e mi suggerisce di assaggiare un po’ di tutto.
- No, solo un antipasto e un primo - pesce - non voglio mangiare molto
- un antipasto mare e delle linguine al cartoccio vanno bene?
- Si, mi porti anche del pinot grigio e una bottiglia di acqua, grazie.

Mi alzo, raggiungo il bagno, mi lavo le mani e nel ritornare a sedere m’accorgo di un’altra sala posta al lato di quella principale. Passando intravedo, in un angolo sulla sinistra, un uomo e una donna che stanno cenando e noto in lei una strana ed esagerata rassomiglianza con Carla.
Mi fermo qualche minuto a osservarla poi impacciato, temendo di essere stato notato, ritorno velocemente al tavolo, chiamo la ragazza a cui prima avevo ordinato il pranzo, invento una scusa e le chiedo di cambiare tavolo e mi faccio sistemare a un altro, dal quale riesco a vedere l’altra sala.
Mi siedo in modo da rimanere in parte coperto da altri avventori in maniera da poterli osservare senza essere visto cercando di vedere chiaramente il viso dei due.
Nonostante la distanza e la parziale copertura di un grasso e irrequieto signore riesco a scorgere il viso dei due che, rispetto a me, sono posti di lato: più la guardo e più riconosco in lei mia moglie Carla che dovrebbe essere a casa, disperata e preoccupata per la mia assenza.
- Non può essere, non può essere lei…. – mi dico, mentre i pensieri diventano sempre più irrequieti e angosciati - ma che ci fa qui? E lui chi è? – mi chiedo notando che fra i due c’è un chiarissimo atteggiamento confidenziale.
Vorrei alzarmi e avvicinarmi per accertarmi dell’identità di lei ma sono come inchiodato alla sedia e temo di non avere la forza e il coraggio di farlo.
- E se mi sbagliassi? Se si trattasse di un’allucinazione, di un sogno o, più verosimilmente, di una semplice straordinaria rassomiglianza? Non è possibile che sia lei… No, non è possibile, forse è la distanza o la luce particolare della sala che… O forse è soltanto la coscienza e il rimorso che mi fa vedere Carla… No, non può essere…. Ma cazzo quanto le rassomiglia….. – Questo penso sempre mantenendo fisso lo sguardo su quel visino tondo che ora sorride e tiene la mano all’uomo.
La ragazza mi porta l’antipasto di mare, il pane, il vino e l’acqua, forse vuole chiedermi qualcosa ma s’accorge che sono in preda ai pensieri e s’allontana augurandomi buon appetito.
Cerco di darmi coraggio e, sempre tenendo sotto attenta osservazione la tizia, mangio un paio di bocconi, bevo un bicchiere d’acqua e quando arriva il primo, dopo una buona mezz’oretta, la ragazza, preoccupata, mi chiede se il piatto non è stato di mio gradimento.
- No, tutt’altro, è molto buono –le rispondo - è che ho ricevuto delle brutte notizie … Mangerò le linguine… Grazie…
L’odore e il sapore è straordinario, come per l’antipasto, ma mi si è chiuso lo stomaco e fatico a ingoiare, bevo un poco di vino per mandare giù il boccone che mi si è fermato in gola e capisco che mangiare tutto il piatto per compiacere la cameriera non è una saggia scelta così la chiamo e chiedo il conto.
Pago, chiedo scusa ed esco.
Appena fuori mi fermo perché mi tremano le gambe e le mani: il sogno si è trasformato velocemente in un incubo.
Mi riavvio in preda al panico e trascinando i piedi attraverso la piazza e il porticato, mi riporto sulla strada principale ove mi fermo per riflettere; decido d’aspettare che escano per eliminare ogni dubbio e scegliere cosa fare.
Cerco il cellulare, l’accendo e faccio il numero di Carla, è spento; faccio il numero di casa, è libero ma non risponde nessuno, lo faccio squillare ancora, ancora e poi ancora ma non risponde ancora nessuno.
- Che succede? - Mi chiedo cercando un posto dove aspettare la coppia all’uscita in maniera da osservarli bene senza essere visti e lo trovo sul marciapiede di fronte in un angolo poco illuminato da dove sarò sicuramente in grado di vedere bene in faccia i due - Non può essere, devo essermi per forza sbagliato – penso – che scemo, è meglio che torni in albergo e vada a dormire…. – penso ancora guardando l’orologio che segna le ventidue e trentacinque.
Accendo un’altra sigaretta e provo a rifare i numeri del cellulare e di casa, il primo è spento, il secondo non risponde nonostante l’abbia fatto squillare fino a far cadere la linea.
- Ma dov’è, perché non risponde? – mi chiedo – Per forza è qui con un altro – mi rispondo incredulo – Non è possibile…. Sto sognando – concludo ma poi mi rendo conto che sono qui ed è tutto reale e i pensieri continuano ad alternarsi mischiandosi, fondendosi e creando angoscia e confusione.
E’ passata un’altra mezz’ora e i due non sono ancora usciti. Inizio a dare evidenti segni di stanchezza e pazzia, riprovo a chiamarla sul cellulare e a casa ma non cambia il risultato così decido di rientrare nel ristorante e avvicinarmi ma, proprio quando sto per farlo, i due escono e guardo bene la signora che sorride tenendo la mano all’uomo.
E’ Carla o è una sorella gemella, non ci sono dubbi.
- Solo che Carla non ha nessuna sorella gemella….- dico quasi singhiozzando - Brutta zoccola, puttana! – aggiungo mentre una lacrima mi bagna una guancia e si ferma sulle labbra.
Li seguo restando a una certa distanza per non essere notato e ripercorro la strada percorsa all’andata. Entrano in un bar e bevono un caffè poi escono e proseguono per una scalinata tenendosi per mano poi si fermano, s’abbracciano e si baciano.
Ho mille pensieri nella mente ma non riesco a fermarne nessuno, avverto solo un dolore terrificante che mi prende ogni parte del corpo che mi fa soffrire terribilmente.
Continuo a seguirli per le scalinate sino alla seconda piazzetta, la stessa dalla quale è iniziata la mia gita turistica, raggiungono il muretto ai bordi e si fermano a osservare il mare, si tengono la mano, si baciano…
Li osservo da lontano ma anche se gli fossi accanto, presi come sono del loro amore, credo non se ne accorgerebbero nemmeno.
La mia mente è come chiusa in un barattolo di latta nel quale rimbombano sempre le stesse domande e le stesse risposte. È tutto chiaro ma, nonostante l’evidenza dei fatti, ancora cerco disperatamente di aggrapparmi a qualcosa inventandomi qualche residuo appiglio per non soccombere.
- Potrebbe anche essere una che le rassomiglia, un’altra donna precisa, identica a Carla… Uno scherzo del destino… Potrebbe anche essere… A questo mondo niente è impossibile… Lei magari è a casa e non mi risponde perché è arrabbiata…. Magari è proprio così…. – penso
Riprendo il cellulare e rifaccio il numero del suo cellulare, è spento, rifaccio quello di casa, squilla, lo lascio squillare, mi tremano le gambe, squilla ancora poi smette, nessuna risposta, si avviano vanno verso l’albergo “Oriente” ed entrano.
Li guardo attraversare la piazza, la strada e salire i gradini d’ingresso poi aspetto qualche minuto ed entro anch’io. Invento una scusa e chiedo al portiere di Carla ma lui non ci casca.
- Non si potrebbe sa? Non potrei darle queste notizie…
Gli allungo cinquanta Euro
- Camera 31… Vediamo…. Carla Tonoli, nata a …, il … residente a ….., è arrivata oggi pomeriggio, molto prima di lei, con Guido Badini, nato a….., il…. Residente a….
Gli ultimi dubbi scompaiono, è Carla, mia moglie.
- Qualcosa non va? Si sente bene signore? – chiede il portiere notando il pallore sul mio viso e un leggero tremito alle mani
- Va tutto bene… - Rispondo – Sto bene… Buonanotte – e m’avvio per le scale.
Sono in preda a mille domande e a una confusione spaventosa e, raggiunta la stanza l’apro, entro e senza accendere la luce, mi siedo su una sedia accanto alla finestra.

La sera se ne è andata già da un po’ ed ha lasciato posto alla notte. La luna, ancora più bianca e rotonda di prima, illumina proprio quella parte di mondo e di mare che posso vedere dal punto in cui sono e il rumore delle onde del mare che s’infrangono sugli scogli ora è appena percettibile ma ogni non mi sembra più bella e straordinaria come prima.
Mi viene in mente la canzone di Stevie Wonder “i just called to say i love you” forse perché era quella che cantavano i ragazzi sulla spiaggia accanto al fuoco o forse solo perché è stata per tanto tempo la sua preferita e, per questo mi riporta ai tempi belli con lei, quando mi amava e la vita andava ancora per il verso giusto.

Resto così per un tempo imprecisato in preda a pensieri terribili alternati ad altri dolci durante il quale ripercorro alcuni momenti felici del passato e del presente poi, come una folgorazione, mi assale un dubbio, metto la mano nella tasca dei pantaloni e tiro fuori un bigliettino bianco, lo apro e leggo il messaggio trovato oggi, sul tavolo della cucina, rientrando a casa dal lavoro.
E’ di Carla e dice: “Non aspettarmi stasera, non rientrerò, resterò fuori tutta la notte. Non tornerò nemmeno domani e mai più. Ho fatto quanto mi è stato possibile, ma è stato tutto inutile, ti voglio un sacco di bene ma non posso, non riesco più a mediare, non posso continuare a ingannarti e a ingannarmi: amo Guido, lo sai, non l’ho mai dimenticato e, da circa un anno, ho ripreso a frequentarlo. Non ne posso fare a meno, è un amore al quale non posso e non so rinunciare e ormai ho deciso, ti lascio, vado a vivere con lui, lo amo, non posso farci niente, perdonami se puoi e dimenticami. Spero che un giorno potremo diventare buoni amici e scusami se te lo faccio sapere con un messaggio ma a voce sarebbe stato impossibile e non ne sarei stata capace. Il mio avvocato ti darà notizie circa le cose da farsi, ti prego di non cercarmi e di non fare niente perché sarebbe tutto inutile non ti amo più.”
Mi ritorna tutto in mente, si, ricordo perfettamente tutto. La lettera l’avevo trovata io, ieri pomeriggio, rientrando a casa. Mi tornano alla mente il suo cambiamento, due anni fa, la storia con Guido che lei stessa mi aveva confessato una sera piangendo, la settimana terribile di urla e pianti, le liti furiose, gli schiaffi, i silenzi e poi, una sera, il suo pianto e la richiesta di perdono.
- Ho capito che amo te… Se puoi perdonarmi possiamo riprovare…. – disse piangendo con gli occhi bassi ed io che non risposi; l’abbracciai e restammo per tutta la notte a piangere così, senza dire una parola.
I ricordi ora mi portano alla nostra gita qui, l’anno scorso, proprio in questo paese e in quest’albergo, alla cena al ristorante “Il muro della Papera”… e poi il ritorno a casa e alla normalità, almeno così sembrava; rivedo i silenzi e la tristezza alcune volte nei suoi occhi e gli altri, quelli di grande serenità , di allegria e di passione…
- Illuso, quando una storia si rompe non si può riparare…- mi dico - Ci siamo sforzati di mandare avanti un amore che sapevamo entrambi finito… Provando a vivere come se niente fosse successo… Ma prima o poi arriva la resa dei conti…
Mi ritornano chiarissime anche le ore che mi hanno portato qui; il rientro a casa, il messaggio, i terribili minuti di silenzio poi la mia fuga lontano… Sin qui e poi, chissà come, dimenticare completamente tutto e… Si, inventarmi proprio un’altra realtà, completamente diversa…

Esco dalla camera, scendo dal portiere e pago il conto, inventando una scusa per giustificare la mia partenza improvvisa nella notte.
- Devo urgentemente rientrare… - spiego senza troppa convinzione.
Poi esco, percorro la stradina deserta laterale e raggiungo, in fondo, l’auto in parcheggio, entro, la metto in moto e m’avvio, lentamente sino ad arrivare sotto l’albero, mi fermo e mi volto a guardarlo e mi sembra di vedere lei dietro una finestra al secondo piano, non solo: ho anche l’impressione che mi abbia visto e riconosciuto…
- Se ha guardato da questa parte ha sicuramente riconosciuto almeno la macchina – penso ma ho come paura di accertarmene e ciò non ha più, ormai, nessuna importanza così m’avvio per la stretta e tortuosa strada sulla scogliera.
Ho il cuore in panne, accelero, accelero ancora e la strada sembra essermi amica e volermi portare via lontano, per dimenticare, per non pensare più a questa brutta realtà e a questa stupida casualità
- Ritrovarsi nello stesso posto, nello stesso ristorante e nello stesso albergo proprio il giorno che è andata via…. Cosa può significare? –
Ma è tardi per dare una risposta e non ho nessun interesse a farlo tanto che il rumore delle onde è così forte e penetrante che è nella mia mente sopra ogni altro pensiero.
Il mare, quel mare cupo e grigio, sotto di me, con le sue onde…, proprio sotto di me…, dietro quella curva, a qualche centinaio di metri…, dopo la stradina bianca…
Sorrido al pensiero che proprio un anno fa stipulai una polizza sulla vita in suo favore che la renderebbe ricca in caso di un incidente mortale…
- Che strano pensarci adesso… Proprio questa notte…
E’ uno stupendo pensiero d’amore che si mischia, ora, col rumore delle onde sugli scogli e accelero a tavoletta provando a fare la curva senza frenare…




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