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L’Unità d’Italia vista dal Vaticano

Argomento: Storia

di Enzo Sardellaro
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Pubblicato il 06/12/2014 13:31:20

 In questo articolo affronteremo il tema dell’unificazione d’Italia nell’ottica di alcuni importanti protagonisti dell’epoca, largamente ignoti al pubblico, perché emersi all’attenzione della storiografia dopo l’apertura degli Archivi Vaticani. Oggi ci si lamenta del fatto che l’Italia sembra in qualche modo “prigioniera” dell’Europa, ma, a conti fatti, l’Italia e i suoi destini sono sempre stati nelle mani dell’Europa, dell’Austria, della Francia, della Russia e dell’Inghilterra. I protagonisti “classici” del nostro Risorgimento restano un po’ in ombra, definiti spesso con l’epiteto di “mestatori”; ma nonostante ciò, forse ci avvicineremo di più alla verità della formazione dello stato unitario italiano nel 1861.

 

L’apertura degli Archivi Vaticani ha permesso agli studiosi di verificare più da vicino il modo con cui si arrivò all’Unità  nel 1861. I protagonisti di questa nostra storia sono il Cardinal Antonelli, plenipotenziario pontificio,  il Nunzio Apostolico  De Luca, suo corrispondente alla Corte di Vienna, e Mons. Sacconi, Nunzio Apostolico a Parigi.  Intorno ad essi, e ai loro “dispacci”,  si muovono le cancellerie di Austria, Francia, Russia e Inghilterra, ognuna con un proprio “progetto” per l’Italia. L’impressione che si ricava dai numerosi dispacci intercorsi tra il potentissimo Cardinal Antonelli e De Luca è che la prima fase unitaria ( quella del 1861, senza Roma), si concluse positivamente solo perché le maggiori potenze europee, specialmente Inghilterra e Francia, dopo non pochi dubbi e tergiversazioni sul da farsi sullo scacchiere italiano, decisero alla fine di appoggiare il Piemonte.  A ridosso della prima fase dell’unità d’Italia, il problema politico più urgente fu quello relativo alla posizione “instabile” dello Stato Pontificio, che si vedeva minacciato dai moti rivoluzionari in Romagna e temeva, a giusta ragione, non soltanto  una perdita secca di territori, ma addirittura di veder compromessa per sempre l’ “esistenza” stessa  dello stato pontificio,  con la conseguente perdita delle prerogative reali  del Papa.

 

Di fronte a questa imminente e minacciosa prospettiva,  la diplomazia pontificia era altresì molto dubbiosa circa il fatto che la “cristianissima” Austria, nonostante le molte profferte di aiuto, intendesse seriamente impegnarsi in una guerra in Italia a favore del Papa: e non aveva tutti i torti, perché l’Austria di Francesco Giuseppe non voleva complicazioni internazionali, né era militarmente preparata per una guerra. In realtà, secondo C. Meneguzzi Rostagni, l’Austria non voleva aprire un fronte di guerra in Italia, perché “l’Italia avrebbe coinvolto l’Austria in rischi europei che non era il caso di correre; […]  I limiti dell’organizzazione militare rendevano molto vulnerabile l’Austria in caso di guerra”  (1). Questa “neutralità” dell’Austria preoccupava molto la Curia , perché si temeva che l’ondata rivoluzionaria portasse alla dissoluzione dello Stato Pontificio. La cosa preoccupava molto sia il Cardinal Antonelli sia il Nunzio De Luca, il quale, nel dispaccio n. 764, vergato a Vienna il 27 agosto 1859,  scriveva:

 

 “Il signor conte di Rechberg mi assicurò ieri che nelle conferenze di Zurigo non si tratterà di riforme per l’amministrazione interna degli stati italiani e specificamente de’ domini pontifici. L’Imperiale governo non consentirà mai a qualsivoglia progetto, che possa menomamente offendere la piena ed assoluta indipendenza del Santo Padre”  (2).

 

Certo è che il Cardinal Antonelli era tutt’altro che tranquillo, perché giungevano “notizie tristissime dall’Italia settentrionale e dalla Toscana. La tempesta rivoluzionaria già scatenata, par non voglia ormai più ubbidire a’ voleri che si avevano immaginato di guidarla fino a certi termini da non valicarsi. L’Austria resterà mera spettatrice de’ sollevati flutti”  (3).

 

 Vista la situazione piuttosto fibrillante dell’Italia centrale, percorsa da preoccupanti insurrezioni nei territori dello Stato Pontificio, l’Austria, che avrebbe pertanto  voluto evitare grane internazionali che l’avrebbero  messa  in grave difficoltà, astutamente suggerì   l’idea di una “confederazione” di stati italiani:

 

“Ho saputo dappoi –sottolineava de Luca- che Sua Altezza Reale (scil. Francesco Giuseppe) abbia palesata l’intenzione di seguire l’esempio della Santità di Nostro Signore relativamente all’amnistia, alle riforme amministrative, ed alla Confederazione […] Fece poi l’augusto sovrano menzione della ulteriore adunanza di plenipotenziari de’ soli stati d’Italia per deliberare sul modo e su le norme della futura confederazione da stabilirsi” (4).

 

L’Austria pertanto, ben lungi dal progettare una qualsiasi azione bellica in Italia, puntava sulla formazione di una “confederazione” di stati italiani, i quali avrebbero dovuto trovare le soluzioni più idonee per una pacifica coesistenza.

 

L’Inghilterra, dal canto suo, era più o meno sulle posizioni “pacifiste” dell’Austria. L’Inghilterra, per salvaguardare i propri interessi economici basati sui traffici marittimi, non voleva assolutamente trovarsi coinvolta in una situazione di guerra in Italia. In tal senso “frenava” a tutto spiano sullo scacchiere italiano, puntando addirittura a un “disarmo” del Piemonte, che sembrava lo stato più “pericoloso” in Italia. Così, De Luca scriveva al cardinal Antonelli:

 

“All’E (ccellenza).V(ostra).Rev(erendissi).ma sarà senza dubbio pervenuta la notizia del nuovo progetto del governo inglese, secondo il quale si dovrebbe nominare una commissione speciale ch’esaminasse e definisse la questione del disarmo, e indi si radunerebbe il congresso de’ cinque maggiori potentati con voto delibrativo. Tutti gli stati italiani sarebbero invitati a spedirvi speciali rappresentanti in quella medesima guisa come si praticò nel congresso di Leibach” (5).

 

Inoltre, secondo De Luca, l’Inghilterra aveva presentato un “progetto  per l’Italia” di tre punti:

 

“1) Avvisare in modo di [=Fare in modo di] togliere qualunque causa di guerra tra l’Austria ed il Piemonte.

 2) Sgombro dell’occupazione straniera dagli Stati della Chiesa; ed esame delle riforme da introdursi negli stati italiani.

 3) Modificazione dei trattati speciali stipulati dall’Austria coi governi italiani”  (6).

 

L’Inghilterra comunque palesava un atteggiamento piuttosto alterno, perché, da un lato desiderava che l’Italia non fosse scossa da sommovimenti rivoluzionari,  mentre dall’altro si mostrava anche sensibile alle “insistenze” dei patrioti italiani che ne auspicavano l’appoggio internazionale. Questa ambivalenza dell’Inghilterra era ben presente alla diplomazia pontificia, e trova adeguato riscontro nei “dispacci” tra il Cardinal Antonelli e De Luca. Così, nella sua corrispondenza con il Cardinal Antonelli, De Luca, Da Vienna, faceva sapere al suo potente interlocutore che l’Inghilterra sarebbe stata  propensa ad eliminare “qualunque causa di guerra” tra l’Austria e il Piemonte sabaudo, mostrandosi favorevole a un completo “disarmo” dello stesso Piemonte. Ma poi,  De Luca, in un successivo dispaccio, non poteva  non informare il cardinal Antonelli che a Londra, un patriota di spicco, il D’Azeglio, ambasciatore del Piemonte in diretto contatto con Cavour,  faceva pressioni sul governo inglese per avere, da parte dell’Inghilterra, almeno una benevola “astensione” nel caso di un’azione bellica promossa dal Piemonte.

 

“ Questa Corte imperiale” [di Vienna] era tutta protesa a far pressioni su Londra per “spedire al Piemonte un’intimazione perentoria”.

“ Sul silenzio tenuto su questo proposito nella recente discussione de’ 18 da Lord Malmesbury e Derby se ne argomenta la tacita approvazione. Resta però a vedersi qual variazione abbia prodotto nelle mire di que’ ministri la missione del cavalier D’Azeglio e la supposta adesione del Piemonte al disarmo notificata col telegrafo”  (7).

 

Per quanto riguarda la Russia, la posizione  di taluni ministri era più o meno simile a quella dell’Inghilterra “seconda  maniera”, cioè quella di “lasciar fare”, però tale soluzione non era benvista dallo Zar Alessandro II. Infatti, il Nunzio Apostolico  De Luca scriveva al Cardinal Antonelli:

 

“Il conte Rechberg opina che la Russia vi sarà favorevole; dubita, come io annunziai nel precedente mio foglio numero 814, della Russia. Il principe-reggente tentò nella conferenza di Breslavia  di tirare l'Imperatore Alessandro II al partito preso dall'Inghilterra, di lasciar libera facoltà alle popolazioni dell’Italia centrale di adottare governo e principi che più loro andassero a grado ma l'Imperatore Alessandro ributtò il suggerimento”  (8). La posizione di Alessandro II era simile a quella del suo ministro degli esteri Gorčacov, “succeduto al Nesselrod nel 1856, [il quale] era fortemente ostile all’Austria, che definiva un regime non uno stato”  (9).

Altrettanto oscillante era l’atteggiamento  della Francia. Parte dell’opinione pubblica francese era contraria ad un intervento in Italia, e lo stesso  Napoleone III, in un primo tempo, sembrava assolutamente ostile ad un intervento del Piemonte di Vittorio Emanuele II, e ciò soprattutto in odio all’Inghilterra, che sembrava invece appoggiarlo. Il Nunzio De Luca, da Vienna, informava il Cardinal Antonelli che  Parigi

 

“ebbe [informazioni]  sulle segrete intenzioni dell’Inghilterra, la quale vorrebbe coadiuvare le ambiziose mire di quel sovrano. Tutti gli sforzi adunque ed i maneggi di Napoleone tendono presentemente a render frustranee [=inutili] le speranze piemontesi”  (10).

 

L’accorto  Nunzio Apostolico, riguardo le intenzioni di Napoleone III, usò sapientemente l’avverbio “presentemente” ( per il momento). In effetti, come ben sappiamo, in seguito, dietro la promessa della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, Napoleone III avrebbe appoggiato il Piemonte. Le oscillazioni  dell’imperatore francese furono però  intuite ed adeguatamente  registrate dallo stesso Cardinal Antonelli, che, ai primi di maggio del 1859,  ne fece partecipe   il Nunzio Apostolico a Parigi, Mons. Sacconi:

 

“Quanto si è assicurato in varii modi dall’imperatore e dal suo ministero rispetto al Santo Padre e al suo temporale dominio, speriamo che sia per essere una guarentigia (garanzia) valevole a renderci tranquilli (11) .

 

In effetti, il Cardinal Antonelli, visto come andarono le cose in seguito, aveva ottime ragioni per non sentirsi per niente tranquillo.

 

Concludiamo. Come si può evincere da questi documenti, la questione dell’unità d’Italia fu, sin dall’inizio, una “faccenda” eminentemente “europea”, e se gli eventi poi maturarono favorevolmente fu soltanto in grazia di determinati e “mutevoli” atteggiamenti di alcune fra le più influenti nazioni europee, in particolare dell’Inghilterra e della Francia.

 

 

 

 

Note

 

1)            “Il carteggio Antonelli-De Luca, 1859-1861”, a cura di C. Meneguzzi Rostagni, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1983, Vol. II, Fonti,   p. XV, XXIV.

2)            De Luca ad Antonelli, p. 110.

3)            Antonelli a De Luca, p. 89.

4)            De Luca ad Antonelli,  pp. 104, 145.

5)            De Luca ad Antonelli,  p. 35.

6)            De Luca ad Antonelli,  p. 23.

7)            De Luca ad Antonelli,  p. 34.

8)            De Luca ad Antonelli,  p. 132.

9)            C. Meneguzzi Rostagni, “Introduzione”, p. XXVII.

10)         De Luca ad Antonelli,  p. 106.

11)         Cfr. “Il carteggio Antonelli-Sacconi: 1858-1860”, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1962. Antonelli a Sacconi,   p. 112.

 

 


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