IV
Riuione in casa di Luigi
Incontrai ancora una volta Mario Cabrini in casa di Luigi il bello. Ero andato a trovare Luigi con Guido. Ricordo il salotto arredato con un’enorme quantità di suppellettili esotiche. Tutti gli oggetti: spade, pipe, statuine in terracotta, in avorio, vasi smaltati, piatti appesi alle pareti, cofanetti e bambole erano legati a ricordi di viaggi di cui Luigi ci rese ampiamente edotti manifestando una stupefacente memoria per le date e i nomi dei luoghi. Mentre io e Guido giravamo per la stanza di quella specie di museo, Mario Cabrini era seduto sulla Frau con in mano un bicchiere di Chivas, per niente interessato ai racconti di Luigi. Ritornati tutti attorno al tavolino in radica su cui una geisha in avorio pareva danzare tra le bottiglie di cui Luigi versava in bicchieri di latta il liquido dorato, Mario si riscosse dai pensieri:
“Convincetelo voi. Luigi non vuole ammettere che non è portato a fare l’impiegato di banca. E’ sprecato là dentro”
“Mario” spiegò Luigi “Vorrebbe che lasciassi la banca per andare nelle Mauritius a lavorare nel suo resort, non capisce che sono troppo vecchio. Non farei più divertire nessuno. Faccio pena!”
Guido disse: “Ci vado io. Non l’ho mai fatto, ma volendo so fare divertire”.
Lo guardammo stupiti. Guido che intratteneva i turisti era inconcepibile, impensabile, tanto più in quei giorni che lo vedevamo affetto da un tenace mutismo. Mario non parve accogliere la proposta.
“Se trovo Susanna la mando io alle Mauritius, per allontanarla da quella faccenda” disse.
“Quale faccenda?” Mi scappò di domandare.
Mario si divincolò come per liberarsi da lacci che lo imprigionassero, e non diede risposta.
Luigi cambiò abilmente argomento di conversazione, come fa un bravo padrone di casa quando si accorge che il suo ospite è in imbarazzo. Cominciai allora ad associare Mario Cabrini a Susanna, a domandarmi quale relazione c’era tra il ricco capitalista e la ragazza bella, intelligente, brillante ma priva di un quattrino. Mi sarebbe dispiaciuto enormemente se Susanna si fosse concessa a lui in cambio di assistenza economica, magari per proteggere Pietro. Una simile storia, se da un lato mi sconvolgeva, dall'altro lato mi commuoveva e mi portava a disprezzare Mario Cabrini.
Ritornando a casa, feci un pezzo di strada con Guido e gli domandai se veramente era disposto ad andare alle isole Mauritius.
“Perché no. Sono stanco di questa cittadina, della piccineria dei suoi abitanti, del lavoro in biblioteca e perfino di scrivere articoli che nessuno legge mai”.
“A me piacciono i tuoi articoli” dissi
“Dici così perché sei un vero amico. Sono stanco del disprezzo degli altri, di tutti”.
“Esageri. Nessuno ti disprezza. Magari è colpa tua che ti chiudi nel tuo mondo e non ti curi di nessuno”.
Sogghignò, si mise a canticchiare una canzoncina: “Non son degno di te”.
Ci lasciammo all’incrocio di via Mazzini con via Garibaldi. Rimasi a osservarlo mentre si allontanava mani in tasca, il capo chino, e mi venne da pensare che ognuno è artefice della propria infelicità
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