L’uomo bianco, invecchiato a trent’anni,
vittima del sinistro slogan «arbeit macht frei», molto Milano calvinista,
scritto in viva calce sui cartelli stradali della sua adolescenza,
ha smesso di correre, dimentico di interessi
dimentico di emozioni, dimentico d’amore.
È un uomo senza memoria delle radici di bulbi di rose azzurre,
marchiata a fuoco, G.d.o., nei reconditi strazi
delle sinapsi neurali d’ogni attimo vissuto;
è un uomo abbandonato, in catene d’oro, a reinventarsi giovane,
nella certezza di non dover chiedere altro a nessuno, a voce bassa.
L’uomo bianco, vecchio macchinario riesumato da meccanismi di luddismo aziendale,
ha smesso di ridere, annichilito dal terrore della morte,
iniziando a far statistiche sui centimetri di vita macinata,
e, con dolcezza, mi ha teso una mano.
Uomini bianchi, smettendo di morire a trent’anni,
annerite di fumo acre arcobaleni di capitalismo,
affamiamo, dalle barricate, i locatari d’ogni cielo e d’ogni ministero.
La neve dell’inverno imbiancherà i vostri visi;
e, finalmente, morirete vecchi.
[Scarti di magazzino, 2013]
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