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Anna Belozorovitch

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 16/05/2008 17:31:03

Anna Belozorovitch è nata a Mosca nel 1983 ha vissuto in Portogallo e in Italia, dove si è stabilita dal 2004. E’ una giovane scrittrice, per Besa Editrice ha pubblicato “Anima bambina” (2005) e “L’uomo alla finestra” (2007). La Recherche ha recensito il suo ultimo libro e lo ha proposto come libro consigliato.
Si affacciano sulla scena poeti nuovi, nuove voci, silenziose voci che hanno qualcosa da dire di veritiero. L’abbiamo contattata per una breve intervista.

*

DOMANDA: Di te si sa poco, chi è Anna Belozorovitch?

RISPOSTA: Su questa domanda sto lavorando da tempo. Ogni persona è ciò che fa, e io ho tutta la vita davanti: penso che non sia il momento giusto per rispondere.

*

DOMANDA: Dalla tua biografia risulti nata a Mosca, poi hai vissuto in Portogallo e quindi in Italia. Il tuo stato di quasi apolide in che modo ha contribuito alla tua formazione e maturazione personale?

RISPOSTA: Penso proprio di sì. Quando ero più piccola mi dispiaceva di non sentirmi radicata nei luoghi dove mi trovavo a vivere. Ciò mi faceva sentire molto più fragile degli altri. Ma col tempo si scopre una capacità straordinaria di produrre radici. Da una parte legarsi per scelta ai luoghi e agli ambienti permette un legame che considererei quasi più consapevole; dall’altra, si comprende quanto tutto sia relativo fino all’inverosimile. Questa scoperta può produrre una sensazione quasi di vertigine, ma, una volta che si è abituati, si comprende anche che non c’è momento o luogo dal quale non si può ricominciare, credendo.

*

DOMANDA: In “Anima bambina” dici di aver inserito versi che fanno parte di “una marea di pensieri che mettevo per iscritto sotto forma di diario tra i 14 e i 19 anni”. Perché hai iniziato a scrivere?

RISPOSTA: In verità non ho “iniziato a scrivere”. Mio fratello, più grande di me, mi ha insegnato a scrivere quando ero così piccola, da non ricordare il momento preciso. Da allora in poi, gradualmente, ho sempre “composto” qualcosa con le parole, in maniera più giocosa o più seria. Per quanto riguarda “Anima bambina”, non si tratta delle “prime cose in assoluto” che io abbia scritte, ma solo di un punto in cui l’intensità e l’impegno nella scrittura hanno preso un posto importante nella mia vita. Le poesie contenute in quel libro in particolare, infatti, erano semplicemente “il mio diario”, qualcosa di intimo che coltivavo per me stessa, e non pensandolo letto da altri.

*

DOMANDA: In “Anima bambina” parli in maniera insistente di amore, che cosa è per te l’amore? Può essere “terribile” l’amore?

RISPOSTA: Proprio perché, come dicevo prima, “Anima bambina” contiene testi che riflettevano i miei più intimi pensieri, considerando la fase della vita a cui appartengono non immagino quali altri temi, e soprattutto in quale proporzione, avrei potuto desiderare di affrontare! D’altronde, indipendentemente dalla fase della vita, sarebbe difficile immaginare un qualsiasi creatore, di qualsiasi cosa, per il quale l’amore non sia un propulsore del pensiero. Io non so che cosa significhi per me. Come non so se è individuabile un qualsiasi ambito dell’esistenza dove non sia presente e necessario, o una qualsiasi età dove non lo si coltivi, non lo si ricerchi, non lo si desideri. E’ un nutrimento. E’ la soluzione per tanti, se non tutti i problemi. L’aggettivo “terribile” è associabile se parliamo dell’amore strettamente romantico: quello incorrisposto, tradito, calpestato, non riconosciuto, dispensabile, è terribile per chi lo dà; quello soffocante, sordo, inammissibile, può essere terribile per chi riceve… E’ qualcosa di talmente meraviglioso che naturalmente diventa terribile dal momento in cui è offuscato da qualsiasi imperfezione, irregolarità, vizio; proprio perché ne abbiamo così bisogno, lo viviamo come terribile quando le imperfezioni si manifestano.

*

DOMANDA: C’è una poesia in “Anima bambina” che ha molto colpito per il punto di vista che proponi sulla primavera, parli di “indifferenza mostruosa” in relazione al manifestarsi della primavera, ad esempio, nel canto degli uccelli; parli di una primavera “stanca di fare primavera”, questa è una tua caratteristica, sei capace di deviare dal filone del pensiero comune, e quindi sei capace di stupire, questa è una buona cosa in generale, riconosci in te questa capacità sia nella scrittura che nella vita?

RISPOSTA: In quella poesia ho solo voluto affermare due punti che credo fondamentali e dedurne qualcosa: il mondo, in ogni sua manifestazione (specie umana esclusa), è un continuo, impetuoso miracolo, qualcosa che possiede una bellezza sconvolgente che potremmo, volendo, notare in ogni dettaglio che ci circonda. Noi, uomini, al tempo stesso, non siamo destinatari di questa bellezza: il sole non pensa a noi quando si alza da dietro l’orizzonte, il vento non soffia per pettinare i nostri capelli. E’ passato così tanto tempo dalla cosmologia tolemaica eppure non abbiamo mai imparato a pensare che non esiste tutto per noi, anzi, tutto si scontra con noi o viene incanalato da noi. La primavera non è un concerto e non è un quadro, sono solo i nostri occhi a darle un senso finito e a trasformare una sequenza di fatti in un racconto. Ovunque incontriamo le manifestazioni del mondo naturale, accade qualcosa. E invece dovremmo mandare giù l’idea della nostra insignificanza e imparare a godere umilmente della posizione che occupiamo, comprendere che nessuno ci toglierà tutta questa bellezza a meno che non siamo noi stessi ad accanirci contro di essa, e che il fatto che “non sia lì per noi” non debba offendere la nostra dignità.
Per quanto riguarda il secondo punto, quello di deviare per stupire, non dubito che possa essere davvero una mia caratteristica anche nella vita, ma non sempre è necessariamente qualcosa di buono. Solitamente è liberatorio, può diventare persino potente. Può essere anche meccanico si guarda qualsiasi cosa, e si dice: e se fosse l’esatto contrario? Che si tratti di situazioni della vita, di opinioni, dottrine, regole, sistemi… si scopre quasi sempre che invertendolo si ottiene qualcosa di assolutamente plausibile. Anzi, è come se la verità fosse sempre l’insieme di una cosa, quella a cui si crede o che si assume, più il suo opposto.
Si rischia, però, di fare diventare la deviazione repentina un modo per sfuggire all’ammissione di ogni assoluto, un’illusione in cui ci sembra di essere liberi da qualsiasi vincolo e non dover rispondere ad alcuna verità, anzi sceglierla a seconda della comodità del momento. L’ho rischiato ma non lo rischio più: nonostante la relatività di tutto di cui ho parlato, esistono cose che considero assolute (anche se soggette a rielaborazione).

*

DOMANDA: In “L’uomo alla finestra” riesci, in 83 pagine, a tessere un racconto convincente di un uomo che narrando la propria vita a ignari interlocutori, rivela la sua assurda esistenza fatta di odio verso l'umanità, arrivando, sempre nell'oscurità, a rivelare sé stesso alle persone che gli si avvicinano, attirate forse dalla sua noncuranza verso ciò che lo circonda, forse dalla sua gelida e inalterabile presenza, fino a eliminare, in un moto spontaneo e all'apparenza totalmente sereno, coloro che dell'umanità gli rappresentano la famiglia, l'amicizia, l'amore.
Hai detto: “Non capisco perché quasi tutti quelli che leggono “l'Uomo alla Finestra” pensano che sia "il mio animo", o "il mio alter-ego", o, insomma, comunque in qualche modo autobiografico. Nessuno coglie l'amore per la vita di cui invece l'uomo alla finestra è pieno”. Ci puoi dire di più? Chi è l’uomo alla finestra.

RISPOSTA: L’uomo alla finestra è l’uomo perduto: ha terrore degli altri, perché possono conoscerlo e persino amarlo. Rifiuta la vita perché può coinvolgere, trasportare, rendere partecipi e strappare l’animo dalla posizione di osservatore, quasi cecchino. E’, infine, un uomo che non crede a nulla e che non ha fede. Di conseguenza è un essere senza volto, senza nome, senza sesso, convinto di conoscere se stesso fino in fondo: per poter mantenere tale convinzione non può fare altro che limitare qualsiasi campo della sua esistenza con sistematicità maniacale, dal momento in cui sono le contraddizioni (inevitabili se si entra in contatto con altri, ci si lascia trasportare dai sentimenti, si crede in qualcosa di superiore) a sollevare dubbi.
E’ una specie di “omuncolo” che può esistere dentro chiunque, straziato dalla tensione insopportabile che tutti portiamo dentro, tra la curiosità e la paura. Immagino questo racconto come un oggetto cucito all’inverso, che ognuno deve girare per vedere la forma esterna: il racconto in sé è una specie di parabola, di metafora, o meglio ancora di trasposizione dei meccanismi interni in fatti osservabili. Quest’uomo rifiuta ogni cosa, ma nel frattempo ha una madre che, in un modo o nell’altro, attende; ha qualcuno con cui finisce per dialogare, e arriva a lasciarsi trascinare dall’amore anche se non lo ammette. E’ sensibile, e, da osservatore che è, finisce per essere molto più suscettibile degli altri verso i più minimi dettagli. E’ persino più delicato e più fragile di chiunque altro.
Pensa di odiare la vita, ma non si uccide perché ciò costituirebbe una presa di posizione: lui vuole credere di essere passivo. I suoi incontri, e l’evoluzione del suo odio, non sono altro che l’evoluzione delle scoperte che tutti facciamo “nel bene”: l’amore per la nostra famiglia, l’arrivo di amicizie importanti, l’innamoramento che offusca ogni altra cosa: infine, un’età adulta che ci trova formati interiormente al punto di percepire determinate discipline, attività, l’arte, in maniera viscerale. L’uomo alla finestra vive tutto ciò, ma tramite la distruzione.
Il suo ultimo incontro è con la fede. E’ lì che il suo ragionamento distruttivo, fatto “all’inverso”, lo porta a chiudere un cerchio che, in fin dei conti, è comune a chiunque altro. Riluttante, schiacciato, non ha più modo di mantenersi gelido verso ogni cosa. Il suo percorso di vita non è diventato un esempio di non-umanità, ma solo un’altra forma di umanità: più infelice di qualcun altro. E ciò è davvero mediocre.
Questo racconto è in realtà un ragionamento. Ed è un inno alla vita perché questo ragionamento vuole portare a galla la stupidità del rifiuto, l’inutilità dell’ignoranza, l’impossibilità di essere insensibili per davvero. E’ un modo per prendere qualsiasi convinzione negativa a dire: e poi? E ancora: e poi? Fino a portare la negazione ad un colmo che non è più sopportabile e che si dimostra impraticabile.

*

DOMANDA: Il tuo “L’uomo alla finestra” è praticamente un romanzo poetico, la poesia è soltanto una fase di passaggio verso la prosa?

RISPOSTA: Assolutamente no. Le cose che scrivo in poesia non potrebbero esistere in prosa, e vice-versa. La poesia e la prosa sono solo due strumenti, a volte confinanti, per rappresentare ciò che si vuole nel modo più adeguato. Sono insostituibili, per me, e difficili da “intercambiare”. L’uomo alla finestra non potrebbe essere “un racconto” o “un romanzo” perché è un canto, un pensiero unico. Cercare di raccontare in prosa ciò che scrivo in poesia, o mettere in forma poetica un mio racconto in prosa sarebbe come aggiungere la base “tecno” ad una composizione classica, colorare una foto in bianco e nero per “sistemarla”, correggere un quadro di qualcun altro. Forse è proprio questo il punto: sono parti diverse di me, quelle che si occupano di una cosa o dell’altra.
D’altronde, io non sono una lettrice di poesia: mi sembra sempre che poesia implichi qualcosa di aereo, vaporoso, poco preciso e melodrammatico. Mi annoio per la maggior parte delle volte, perché mi sembra che non parli di niente. Naturalmente generalizzo, lasciando fuori autori, epoche, ecc. Quello che voglio dire è che per me la poesia è un sentiero interno che serve ad accorciare la strada verso il significato, ma anche una forma che permette una grande sinteticità. Un racconto poetico è una struttura sorprendentemente comoda che, non si sa perché, “non va di moda”, mentre invece permette di mettere insieme la dinamicità poetica e l’intreccio narrativo.

*

DOMANDA: Che consigli daresti a un giovane autore come te che voglia pubblicare il suo primo libro?

RISPOSTA: Anche io gradirei un consiglio, in termini pratici sono molto inesperiente. L’unico consiglio che posso dare è quello di scrivere perché si ama scrivere, indipendentemente da successi e insuccessi, con tutto il cuore e senza aspettative. L’idea di “pubblicare” può portare, secondo me, a dei “tic”, mancanze di spontaneità, compromessi creativi che nessuno ti ha chiesto. Le occasioni che si presentano, poi, raramente si possono considerare riflesso diretto del merito, un mezzo di misura della propria qualità: quelle c’entrano solo con un’intraprendenza personale che è lecito avere e non avere. Così come i rifiuti non devono servire mai da scusa per una crisi o mancanza di fiducia: nulla è cambiato da prima a dopo il rifiuto, non c’è motivo di cambiare idea sulle proprie capacità. Se la persona che scrive si ferma, così rimarrà; se continuerà a scrivere con la stessa intensità di prima, andrà oltre e supererà se stessa passo per passo.

*

DOMANDA: Quali sono i tuoi progetti futuri riguardo alla scrittura?

RISPOSTA: Sono in attesa di una pubblicazione: un romanzo in prosa. Non nascondo che provo un po’ di insicurezza, ma d’altronde, se seguo i consigli che ho appena dato… Poi ho diverse cose “pronte” nel cassetto, soprattutto raccolte di poesie, una forma di continuum anche cronologico di “Anima bambina”. Recentemente ho partecipato ad un piccolo ma interessante progetto in cui mi è stato proposto di illustrare un libro fotografico: le poesie (precisamente cinque) raccontano le fotografie e creano una continuità di significati. E’ un qualcosa che si trova ancora in fase di produzione.
Infine, ho qualcosa in mente che porto da tempo, e che un giorno verrà scritto. Sono due storie separate ma che crescono in parallelo nel mio immaginario, sulla carta solo appunti. Fino a che nessuna prevale in termini di contenuti e coinvolgimento, non riesco a decidermi: quando accadrà mi dedicherò e mi lascerò andare per lunghi mesi.

*

DOMANDA: Vuoi aggiungere qualcosa?

RISPOSTA: E’ la mia occasione per non essere logorroica: non aggiungo nulla.

____________________________________________________________________________

Di Anna Belozorovitch proponiamo due poesie tratte dalla raccolta “Anima bambina”:

*

Ha grazia, e cammina con timore
dove l'esterno butta il piede con spensieratezza;
e sa tremare e piangere ogni volta
perchè non ha imparato quella precedente.
È dolce e fresca ed imprudente
e sa amare solo con il cuore.
Il suo incubo è la propria leggerezza:
la fa peccare brillantemente in ogni cosa.
Lei non si pente, sa di essere assolta.
Lei ride (e quando ride, schizza forza)
di quello che l'esterno prende con serietà.
Si dice che riposa, ma non riposa mai.
È fragile, eppure non la si uccide.
Sa tutto, ma non ha età:
il suo sapere è altro.
È impalpabile, e nulla la divide.
Vuole ricevere, ma, senza aspettare, dona.
È l'anima bambina che ognuno ha,
e lei è sempre buona.

Cammina dolce e fedelmente spaventata.
Non le interessano né i fatti né le azioni,
eppure non è solo emozioni
e la sua paura non è sempre infondata.
Sa soppravvivere nella malvagità,
non crede alla menzogna o all' errore
e luccica anche persino negli sguardi spenti
perché non perde mai l'amore e la pazienza.
Dentro ad ogni uomo o donna che cammina, cammina,
sotto i movimenti apparenti,
la loro anima bambina.

*

C'è un'indifferenza mostruosa
nel cantare degli uccelli
e nell' assurda decisione
della natura stanca
di fare primavera.
lo cresco un altro po'.
E ora so che il caldo venticello
che mi accarezza
non lo fa per me;
e non c'è nulla di intenzionale
nell'allegria di quest'erba verde;
e non ha nulla a che fare con la mia esistenza
l'ebbrezza degli alberi che si risvegliano
per salutare il nuovo anno.
E si riscaldano le pietre,
e la terra si ammorbidisce.
Io so che non lo fanno
per provocare il mio sorriso.
Né il cielo che si ingiallisce.
Mi sento in ogni modo grata
di poter contare sempre e comunque sulla trasformazione.
Di esserci e di poterne usufruire.
Ma anche se non ci fossi, il mondo continuerebbe a fiorire
con la stessa decisione.
Sono comunque riconoscente,
a chiunque sia, per poter gioire
insieme alla natura del suo gioco.
E so che non è poco il fatto
che per ora la sua primavera sia anche per me.

Ma so che non c'è relazione
né collegamento tra noi due,
e ti inseguirò.
E che se soffro, lei non avrà difficoltà a ridere comunque,
e che mi spingeranno i raggi morbidi dal cielo
con la stessa intenzionale tenerezza
di qualcuno che in metropolitana mi sfiora con la borsa.

... E piovono dagli alberi ruscelli
di canti casuali ed innocenti,
di note come gocce di rugiada,
degli uccelli colti di sorpresa
da questa esplosione inattesa.

E sono anch'io un animale di questo pianeta.
Un po' ridicolo, ma buono.
E vivo, come tutti quelli che lo sono,
la situazione sconcertante della mia esistenza
in cui mi è permesso solo il ricevere,
eppure nulla è mio.

_______________________________________________________

Intervista a cura di Roberto Maggiani

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