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Anima vagante

di Michele Rotunno
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Pubblicato il 17/10/2010 19:11:56

Non ho visto il mio carnefice se non di riflesso sul vetro oscurato della mia auto un attimo prima che la lunga lama penetrando dall’alto in basso tra collo e spalla, dopo aver squarciato ogni organo incontrato non terminava la sua corsa trafiggendomi il cuore. Da quel momento ogni anelito di vita cessava per sempre trascinandosi dietro dolore e sofferenza, rabbia e furore impotente. Il nulla mi avvolgeva e mi inghiottiva in un oscuro tunnel senza fine, eppure in un qualche modo inspiegabile, dopo non so quanti attimi ho riaperto gli occhi, non più su un presente ormai inesistente ma su un passato inconciliabile ed un futuro ancora lontano.
Ho visto il mio corpo grottescamente raggomitolato su se stesso in un lago di sangue per terra vicino l’auto su cui ero impegnato a sostituire una ruota bucata, dal collo fuoriusciva l’elsa di un lungo, sottile e affilato stiletto, in piedi a poca distanza lui, il mio carnefice che, visto dall’alto non riusco nemmeno a vedere in volto. L’assassino, prima di eclissarsi ha preso a calci il mio cadavere, la cosa mi ha molto sorpreso, mi sono chiesto perché lo ha fatto, che senso avesse quel gesto di vilipendio, poi ho rammentato le volte che l’ho fatto anch’io in altre situazioni simili, quando ero il carnefice, allora ho capito cosa fosse il meschino disprezzo verso un nemico tanto odiato che sarebbe potuto diventare molto pericoloso se l’agguato non fosse riuscito.
Dopo il carnefice, ormai allontanatosi dalla scena sono comparsi due ragazzini che veloci e furtivi hanno rovistato nelle mie tasche trafugando il portafoglio e la mia inutile rivoltella che non ho avuto nemmeno il tempo di impugnare. Anche questo gesto ricordo di averlo fatto più volte quando avevo la loro età, le armi e il portafoglio venivano consegnate a chi di dovere e in cambio ci guadagnavo una bella somma di denaro, sfilata tra le banconote del portafoglio.
Mi pare così strano osservare dall’alto queste scene, pur sapendo di vedere il mio corpo morto per terra, tanto da chiedermi come sia possibile perché so di essere in un’altra dimensione, infatti, non vedo null’altro oltre la semplice vista, non ho corpo né sensazioni, osservo solo, nitidamente ciò che avviene laggiù dove pochi minuti prima, forse, il mio corpo aveva ancora un senso di esistere.
Però penso, questo sì riesco a farlo, penso, ricordo e analizzo il mio passato. Non mi stupisco più di tanto della mia morte, essa era una componente della mia esistenza in un ambiente dove la vita stessa aveva un valore molto relativo, tanta era la sua vulnerabilità.
Ma dove è iniziato tutto questo? Mi sono rivisto più che bambino ad agire di contorno a micidiali misfatti, ma ancor prima cos’ero? Toh! Vedo un uomo, lo riconosco, è mio padre quand’era giovane, si piega su un lettino a sollevare tra le braccia un infante, credo di essere io, lo osservo bene e noto nella sua cintura il calcio di una rivoltella, anche lui apparteneva a quella vita. Oggi è ancora vivo, non ha ancora sessanta anni e, se ha lacrime nel suo bagaglio umano, piangerà la morte del proprio figlio.
Chiudo gli occhi un attimo, li riapro e vedo scorrere velocemente altre scene, è la mia vita passata, molte sono scene simili alla mia ultima in vita. Non ho bisogno di contarle so esattamente quante sono.
Ho rivestito diciannove volte i panni del giustiziere per conto della mia “famiglia” di appartenenza. Un paio di volte ho perfino guardato negli occhi le mie vittime e vi ho visto paura, terrore, disperazione, pietà e compassione, inutilmente sprecate perché davanti a loro vi era non un essere umano ma un Dio invulnerabile ed implacabile.
Ho ucciso, senza tentennamenti, anzi spesso con sadica gioia, senza mai chiedermi il perché di tanta violenza, solo una volta sono stato vicinissimo ad una profonda riflessione ma la velocità dell’azione me lo ha impedito. È stato quando in chiesa ho assistito al battesimo di un neonato, il padre era la mia vittima predestinata, defilato lo osservavo pregustando il momento in cui gli avrei sparato in testa, così mi era stato raccomandato, qualcosa deve essere trapelato dal mio volto perché guardandomi intorno ho notato un ragazzino che mi guardava attentamente. Nel suo sguardo non vi era paura e nemmeno sfida, solo innocenza. Mi puntava gli occhi addosso senza distogliere lo sguardo dal mio, impavidamente mi ha costretto ad abbassare gli occhi per primo, quando li ho rialzati lui era ancora lì a fissarmi. Sentendomi a disagio mi sono allontanato. Aveva tredici anni e due anni dopo, senza nemmeno immaginarlo, gli avrei puntato una pistola sparandogli un colpo in testa facendola esplodere in mille pezzi. Era il nipote dell’uomo del battesimo, passato dalla parte opposta al nostro clan. In quel momento, prima che gli sparassi mi ha puntato ancora gli occhi addosso senza alcuna paura e, Dio devo ammetterlo, senza alcun odio.
Dio, è la prima volta che lo nomino, perché ci penso solo adesso? Che senso ha farlo ora, non l’ho fatto quando ho pianto mio fratello e nemmeno quando ho consolato mia madre del dolore per la sua perdita. Non mi sono mai chiesto dov’era né perché non lo avesse impedito, vi ero io a sostituirlo, ma non ho potuto impedirlo. Non l’ho nemmeno vendicato, ordini dall’alto, le famiglie si erano riappacificate.
Dio, quanto sangue ho visto scorrere nella mia vita! Quanto dolore procurato con spietata facilità e naturalezza!
Dio, perché ci sto pensando solo ora? Perché rivedo la mia vita, fatta esclusivamente di nefandezze ignobili, meschinità e vigliaccheria. Perché solo ora che non riesco nemmeno a vedere le mie mani sporche del tanto sangue versato? Il mio corpo è li disteso per terra, quarant’anni di esistenza spesa nel nulla, semmai a guardarmi sempre dietro le spalle ed infine colpito proprio alle spalle.
La mia famiglia? Quella vera, nella mia onnipotenza non sono riuscito ad apprezzarla mai, lei sapeva del mio passato ed anche del presente, ha accettato il futuro, perché? Cosa ne sarà ora di lei e del bambino?
Oh Santo Cielo! Il bambino! Il mio bambino! Di lui cosa ne sarà?
NO!, questo no! Questo non è successo, perché l’ho visto? Non può essere, egli è ancora piccolo, ha solo sette anni eppure… Dio no, no, non permetterlo. Ciò che ho visto non è ancora successo ma avverrà tra meno di dieci anni, sarà raggiunto da due proiettili, al cuore e alla testa, un’altra vendetta trasversale. No, Dio, non farlo, ti prego non farlo, al mio bambino no, non devi farlo.
Ora comprendo perché “vedo” sebbene sia ormai morto. È Lui, Dio, che mi fa vedere la mia vita sprecata ed anche quella che sarà dopo, frutto di quella passata. Perché non mi sono fermato quando quel bambino mi ha guardato negli occhi, forse già vedendo in me il suo futuro carnefice? Eppure non mi ha odiato nemmeno in punto di morte! Oh Dio, quanto male ho fatto ed ora è questa la Tua punizione? Dovrò vedere in eterno le mie colpe? Straziandomi il cuore per il passato ma soprattutto anche per l’agghiacciante futuro che mi è stato offerto di vedere?
No, non penso che sarà questa la mia pena perché già le immagini vanno lentamente dissolvendosi, solo il mio strazio rimane ancora vivido e concreto. Tra poco ogni immagine si dissolverà del tutto ed allora di me cosa resterà? Nulla, nulla di tangibile, solo l’interminabile strazio della mia anima vagante.

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