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Una storia immortale

Romanzo

Leonardo Bonetti
Italic

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 02/01/2015 12:00:00

 

La porta di una stanza d’albergo, col suo numero e il suo spioncino, chiusa ma disabitata è la protagonista delle prime pagine di questo nuovo romanzo di Leonardo Bonetti. Le prime pagine sono narrate in modo quasi contrappuntistico, la porta resta serrata, chi la abitava è scomparso, l’obiettivo della narrazione si sposta quasi convulso dalla porta alle persone che vi stanno intorno, le parole si rincorrono, quasi a rappresentare un vortice, sempre più veloce, e in questo vortice cade la realtà, quella che conosciamo, al suo posto si delinea una realtà parallela. Lo sfondo del romanzo è l’Italia di oggi, ma un’Italia parallela, quella che il Paese sta diventando, o è già diventato, sotto l’apparenza di quotidiano conosciuto e familiare. Tutto sembra al proprio posto, ma forze oscure serpeggiano inquiete qualche millimetro – o parola – sotto la superficie del “normale”. Ci si aspetterebbe di vedere sorgere una luna verdastra e appena più piccola di quella cui siamo abituati, per tentare un parallelo con il noto 1Q84. In questa Italia semi-invisibile si muovono i personaggi, un uomo ed una donna all’inseguimento di altri uomini e donne che hanno offuscato un pezzo di passato e gettano un’ombra sul presente nel suo divenire futuro. I personaggi hanno talvolta due nomi, a sottolineare l’essere paralleli a una realtà che non ha nome definito ma che sembra voler deragliare verso l’oscuro.

Una storia davvero immortale sembra prendere corpo durante la lettura, la storia del bene contro il male, del delitto cui spetta un castigo. Ma è possibile emendare il male con altro male? O quanto male si fa per coprire un dolore, una colpa? Ed è il male, sempre il male, che si annida nelle lotte di potere. Ineluttabile giunge lo scontro finale ma la vendetta avrà un gusto trasversale, il bene riuscirà a trattenere l’oscurità ad un passo dal baratro, prima che vi precipiti chi ha già conosciuto il male e di esso sembra volersi nutrire. Ed è il male che spinge verso la vendetta che non può essere soluzione perché problema in sé, generatrice di altro male. I toni della narrazione sono cupi, spesso gli elementi della natura fanno presentire una sorta di catastrofe imminente, ci sono forze misteriose che tramano in atmosfere dense, quasi cariche di nubi, un po’ come accadeva nella Troga di “rugarliana” memoria.

Bonetti traccia i personaggi con filosofica precisione, ne scompone i caratteri, talvolta le fisionomie, vi sono tratteggi di situazioni che riportano alla mente il cubismo. Molte descrizioni, siano di sensazioni o di situazioni, hanno pennellate inconsuete, le analogie si susseguono con toni inusuali, sorprendenti. La scrittura segue una sua visione, è ricca e variegata, nutrita da suggestioni del Novecento italiano, Landolfi, Gadda e Palazzeschi sembrano essere i numi tutelari di questo romanzo, ma al loro fianco fanno capolino i maestri del noir e di certa letteratura nipponica. Il romanzo è ricco di accurate descrizioni, ha un suo divenire spazio-temporale senza esitazioni o sbavature; il disvelamento delle trame, avviene per mezze ammissioni, con l’intrecciarsi dei sentimenti e dei pensieri riesce a trattenere il lettore, reso avido di sapere dalla bellezza delle parole ma anche dal perfetto concatenarsi degli elementi. Non è una scrittura che si possa avvicinare a quella tricolore contemporanea, è quasi fuori dal tempo, e forse è proprio “lei” ad essere immortale, scardinata dal tempo, collocata in una ambientazione che solo apparentemente è riconducibile a qualcosa di noto, una narrazione volutamente collocata al di fuori dei canoni consueti. Immortale perché senza tempo, senza caducità dell’effimero voler essere contemporanea. Bonetti ha una abilità tutta particolare a cambiare completamente registro ad ogni romanzo che pubblica, dalle assolate visioni del “Racconto d’estate”, dalla natura madre e maestra di “Racconto di primavera” si approda qua in un gelido autunno, quasi asettico, su cui si stagliano i personaggi con le loro espressioni, le loro urgenze di ritrovare soprattutto sé stessi in una dimensione in continuo sconvolgimento, cambiamento, divenire, in qualcosa di sempre più sfuggente, opprimente ma capace di far sgorgare dai cuori delle persone la loro intima essenza, renderli umani di un presente che rischia di essere disumano. E forse l’immortalità è proprio in questa condizione di dover restare sé stessi in un momento in cui le condizioni vorrebbero far travalicare il senso di una vita verso direzioni imprevedibili dettate da forze buie e brute.

Contrariamente ai già menzionati romanzi, in questo non sembra esservi una musica di fondo percettibile, siamo più in una scrittura di colori, umori anche odori, ho accennato al cubismo di certe immagini ma talvolta la scrittura assume dei connotati più impressionisti, certe descrizioni sono fatte di pennellate che ben poco – apparentemente – hanno a che fare con l’immediato, con la realtà circostante, ma che esprimono molto chiaramente quel che vogliono dire a colpo d’occhio, si risolvono e non continuano nella pennellata, ma restando impresse nella retina del lettore, quando questi vi si allontana procedendo sulle pagine, si uniscono ad altre linee, altri schizzi, regalando una visione d’insieme notevolmente affascinante. Dicevo della distanza di questo romanzo con i precedenti, solo nel finale vi è il sorgere di un astro prettamente bonettiano: un uomo in fuga sulla neve cerca, cerca sé stesso, cerca scampo, giunge ad una costruzione che è riparo e mistero, la natura sembra arcigna, perfida ma è anche rifugio… Sì, siamo tornati in una delle dimensioni di “Racconto d’inverno”, qua resa funzionale a questo racconto, un giungere, più che un ricominciare, ma è un giungere che potrebbe portare un nuovo inizio. Ed è questo topos bonettiano a raccogliere tutta l’energia irradiata dal romanzo e a ricondurlo in una galassia che si sta lentamente svelando e che, spero vivamente, continui a mostrarci nuovi, sorprendenti e inesplorati mondi, racchiusi in un animo ma portati alla luce dalla precisa ed elegante penna di Leonardo Bonetti, che a mio avviso è una delle voci più singolari, autentiche e coraggiose del panorama letterario italiano dei nostri giorni. Panorama che spesso si nutre di linguaggi aridi, resi spediti dalla velocizzazione delle comunicazioni, spesso risentono dell’influenza delle news, dei tweet, di altri metodi che devono colpire all’istante e in poche parole. Bonetti invece si prende tutto il tempo di far degustare le sue parole al lettore, le condisce con echi di studi filosofici, alchemici e di tante appassionate letture. Immortali.

 


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