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La coscienza

Argomento: Filosofia/Scienza

di guido brunetti
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Pubblicato il 02/05/2022 16:58:07

 

Guido Brunetti

La coscienza

 

La coscienza, intesa come via di accesso alla comprensione del comportamento umano, si presenta come una struttura complessa, i cui dati sono personali, privati, soggettivi, individuali. Insieme con la mente, la coscienza è una sfida alla scienza e alla ragione. Rappresenta l’ultimo baluardo di un mistero, simile al problema delle origini dell’universo (Botteril). Sembra insomma sfuggire alla ricerca scientifica.

 

Non abbiamo ancora una definizione esaustiva di coscienza. La nozione di coscienza sul piano scientifico è confusa, mistica. Osservare come possiamo averne una non è facile, poiché la coscienza è “inosservabile”. Il problema della coscienza e della mente è una prova di grande rilievo, che coinvolge varie discipline.

 

Invero, noi abbiamo una coscienza immediata dello stato di coscienza, inteso come stato di veglia, ma finora non esiste un consenso generale sulla definizione di coscienza. Le definizioni sono innumerevoli e ognuna di queste si riferisce a ipotesi e teorie della coscienza. Il termine coscienza deriva dal latino “cum scientia” da cui “cum scire”, che è per l’appunto un sapere.

 

Nella storia del pensiero, si sono delineate diverse correnti filosofiche che hanno tentato di indagare gli strati più profondi della coscienza. A partire dai primi filosofi, è emersa la concezione dell’esistenza di due sostanze, l’una spirituale- l’anima, la mente-, l’altra materiale- il corpo, il cervello. E’ la teoria del dualismo metafisico. La mente, per Cartesio, è completamente diversa dal suo corpo, ossia qualcosa di non fisico, d’immateriale. Il corpo è costituito da una sostanza totalmente indipendente dall’anima. Egli definisce queste due sostanza con il termine “res cogitans” (sostanza immateriale) e “res extensa” (sostanza materiale). La res cogitans è il mondo del pensiero, del cogito. “Cogito, ergo sum”, penso, sono.

 

La scienza finora non è stata in grado di dare una spiegazione della nostra unicità, ossia dell’unicità dell’Io e dell’anima. Di qui, l'attribuzione da parte di John Eccles dell’origine della mente ad “una creazione spirituale o sovrannaturale. Ogni anima, per Eccles, è una “creazione divina”.

 

La coscienza si esprime attraverso esperienze soggettive dette “qualia”. I qualia sono fenomeni soggettivi, incomunicabili. Nessuno tranne quel soggetto che lo ha esperito è in grado di sapere come sia quel vissuto. Attualmente, sia la filosofia della mente che le neuroscienze sono prevalentemente “riduzioniste”. Mente e coscienza sono concepite come stati del cervello, un insieme cioè di funzioni cerebrali.

 

La teoria moderna delle neuroscienze postula una “identità” tra processi mentali e processi neurali. Il principio è il seguente: i fenomeni della mente sono fenomeni dei neuroni, ossia fenomeni puramente fisici del sistema nervoso. La mente è semplicemente il cervello, una realtà fisica, materiale. Secondo la teoria dell’identità e del fisicalismo riduzionista, la mente non è “sopra il corpo”, è il corpo.

 

Due pertanto le ipotesi: secondo il dualismo, la mente è distinta dal corpo, essa è una cosa pensante (Cartesio). Per il monismo, invece, la mente è il cervello (Amstrong), è fatta di carne, di materia, nulla di più. La mente è il cervello “mascherato”. La questione principale per il materialismo eliminativista è che gli stati mentali “non esistono” e che ci sono soltanto “stati neurologici” (Churchland, Quine, Kuhn).

 

Filosofia e psicologia, secondo le neuroscienze, non sono in grado di cogliere e descrivere l’attività del cervello. Questa visione comporta il rifiuto di qualsiasi riferimento alla filosofia e alla psicologia. Churchland sostiene con forza che la psicologia deve essere eliminata e sostituita dalle neuroscienze, in quanto “incapace” di penetrare in profondità una realtà molto più complessa.

 

E’ un orientamento già presente nella scuola behavioristica, un movimento che si afferma a partire dagli anni ’20 del Novecento, e che cerca di sbarazzarsi di ogni riferimento alla mente e alla coscienza per concentrarsi soltanto sui fenomeni osservabili, sul comportamento, così come appare. In quanto, esperienze soggettive, gli stati mentali “non sono accessibili” all’indagine scientifica. Come reazione al behaviorismo, nasce negli anni ’60 del secolo scorso il cognitivismo, il quale pone al centro delle sue ricerche lo studio dei fatti della mente.

 

Contro ogni tendenza riduzionistica, ci sono autori che sostengono come i fenomeni neurali vadano visti come “modi” di esprimersi della mente. La prima caratterizzazione dell’uomo è l’ Io, cioè la proprietà dello Spirito-Psiche. La vera comprensione dell’ Essere, pertanto, non può risultare dalla ricerca neuro scientifica, ma dalla continua riflessione del suo “senso” metafisico e fenomenologico. Nell’uomo, per Jaspers, vive una “Essenza diversa”, qualcosa di completamente estraneo al mondo animale. Si tratta dello Spirito, dell’Anima, della Psiche.

 

L’Essere-Essenza, secondo questa concezione, comprende proprietà superiori, come ad esempio il pensiero, che non appartengono a nessun altro animale. Il problema è allora quello di accertare chi è colui che muove il pensiero. Per molti autori, è l’Io-Coscienza, una sostanza  considerata come una unica unità. L’Io è l’essenziale dell’essenza umana, mentre la coscienza è il “presupposto” di tutti gli atti dell’Io. Le neuroscienze quindi non possono non tener conto di quanto ci proviene dalle riflessioni di filosofi e teologi dall’antichità ad oggi. In questa visione, la mente diventa l’espressione di ciò che avviene nel cervello, il “promotore” di attività cerebrali.

 

Il punto cruciale rimane ancora il mistero del legame tra mente e cervello: come può una sostanza spirituale modificare una sostanza materiale, e a sua volta come può una sostanza fisica modificare una sostanza spirituale? Il problema finora non è stato risolto, per alcuni autori è un mistero insolubile. Tutto ciò è “oscuro” (McGinn). D’altra parte, se il materialismo neuro scientifico- si chiede McGinn- è vero, noi saremmo degli “zombie”, con la credenza di avere una coscienza.

 

Sta di fatto che noi “non conosciamo” nulla della mente, come possiamo affermare che ci sia “identità” della mente con il cervello? L’uomo “non è riducibile”- precisa questo autore- alla sua fisiologia. Esiste infatti un “abisso” tra neuroni e coscienza, tra natura mentale e natura fisica. La mente, insomma, non è il cervello. La conclusione è che noi non possiamo risolvere il problema mente-cervello perché “non possiamo vedere la mente”.

 

Così sembra che un nuovo principio creativo debba essere ammesso nell’universo. Questo principio “può essere chiamato Dio” (McGinn). E’ una conclusione che coincide come abbiamo notato all’inizio con quella illustrata da Eccles. Noi perciò- concorda Alva Noè- “non siamo il nostro cervello”. Il cervello è solo “una parte” di ciò che noi siamo. La nostra mente è qualcosa che non può essere resa “oggetto” di una scienza naturale. Noi- aggiunge Roger Penrose- non sappiamo come definire la coscienza perché non sappiamo cosa essa sia. Come può infatti la nostra percezione del rosso, della rossità o della felicità avere qualche cosa a che fare con la materia? E’ un mistero.

 

Conclusione.

 

Il concetto di coscienza, d’accordo con S. Sutherland, è “impossibile da definire”, se non in termini “inafferrabili”, senza una vera comprensione di cosa veramente significhi coscienza. Sull’argomento, precisa questo autore, “non è stato scritto nulla che valga la pena di leggere”. Non abbiamo ancora svelato il mistero della mente, della coscienza e della mente. Tre parole che nascondono abissi di ignoranza. Alcuni autori sostengono che esse rimarranno per sempre un enigma. Ci troviamo di fronte a un vasto oceano di ignoranza. Tutto ciò dovrà stimolare la ricerca, un campo che siamo sicuri potrà fornirci nuove conoscenze e nuovi meravigliosi progressi.


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